Il vento della Murgia pronto a spazzare via Pdl e Pd

banner_lastampaSardegna al voto tra un mese. La scrittrice in testa ai sondaggi e Cappellacci ora la teme

GIUSEPPE SALVAGGIULO
«Un’occasione di cambiamento così non capiterà mai più. Contavamo di prepararci per il 2019, ma non c’è tempo. La nostra vittoria non è più un azzardo, ma una necessità. Oh, ma un po’ di birra c’è?». Michela Murgia arriva all’inaugurazione del suo comitato elettorale, con 500 persone fin sui marciapiedi tra pane e peperoni.

murgiaE quando arriva, qui nella periferia di Cagliari, si capisce perché Pd e Pdl si siano allarmati per il sondaggio sulla fiducia popolare che la proietta in testa alle prossime regionali. E siano terrorizzati dalla possibilità che possa anche beneficiare dell’assenza del Movimento 5 Stelle. «Entula» dicono i contadini sardi: solo quando soffia il vento si può separare la paglia dal grano. Qui pare che soffi. E potrebbe liquidare in un colpo solo un sistema di potere non solo politico.

Si vota tra un mese: 29 liste (il doppio rispetto a cinque anni fa), 1500 candidati per 60 posti da consigliere, otto aspiranti governatori. In campo debolezze, più che forze politiche: 64 ex consiglieri indagati e quattro agli arresti per peculato sui fondi del Consiglio regionale, usati per pagare di tutto, dai formaggi al carrozziere. Il Pdl li ricandida tutti, anche perché sul governatore Ugo Cappellacci che cerca il bis pesano tre processi penali: affaire P3 e bancarotta. Il Pd è riuscito in un capolavoro di ipocrisia: ne ricandida tre ma ha costretto al passo indietro Francesca Barracciu, trionfatrice alle primarie contro i capataz del partito, indagata per 33 mila euro di rimborsi benzina sospetti. Al suo posto, dopo inenarrabili tormenti, ha pescato l’economista Francesco Pigliaru, ex assessore con Soru, poi emarginato. Persona stimata, ma fredda. I cinquestelle, primi alle politiche con il 29 per cento, si sono scannati con quattro meet up l’un contro l’altro armati, il che ha indotto Grillo e Casaleggio a non concedere il simbolo.

Ordalia in una terra disperata: su poco più di 500 mila occupati, in un anno ha perso 54 mila posti di lavoro. La cassa integrazione in deroga è cresciuta del 500 per cento, il doppio della media nel Sud; gli altri ammortizzatori sociali del 160, il triplo. Dall’industria pesante alle basi militari (due terzi di quelle italiane), il «piano di rinascita» che per decenni ha nutrito la Sardegna – affamandola – è fallito lasciando in eredità povertà, desertificazione imprenditoriale, degrado ambientale. Un giovane su due è senza lavoro.

In questo contesto, qualche tempo fa Michela Murgia si presenta a Torino, agli amici della Einaudi che pubblicano i suoi libri: «Scusatemi, ma per cinque anni ho altro da fare». Politica. Ci arriva dopo aver fatto di tutto: diploma in istituto tecnico, studi di teologia, supplente di religione, cameriera, messo di cartelle esattoriali, impiegata in un’azienda, grafico sul web, telefonista in call center, portiera di notte. E scrittrice di successo internazionale: decine di migliaia di copie vendute, mezza dozzina di premi, traduzioni in venti lingue. «Diciamo la verità: a me di scrivere romanzi non frega niente, io sento la scrittura come un dovere civile. Il mio amico Marcello Fois dice che questa è una malattia esantematica dei giovani scrittori… sarà, ma per me è così».

Indipendentista da dieci anni, nel 2010 con altri 250 militanti («dei quali 249 più giovani di me») lancia ProgReS (Progetu Repùblica), una rifondazione dell’indipendentismo mondato da nazionalismo, reducismi e sentimentalismi antistorici, sostituiti da democrazia, partecipazione, economia di relazione. E comincia a lavorare sul territorio: migliaia di incontri in città, borghi, campagne. Ovunque ci sia una vertenza, un conflitto, uno dei 101 comitati civici nati negli ultimi anni «perché una volta per un problema ci si rivolgeva al politico o al sindacalista, ora ci si organizza da soli e si fa».

Nel frattempo, un’altra sua attività penetra nella carne della Sardegna più remota. Si chiama Liberos ed è un’associazione tra tutti i soggetti della filiera del libro – scrittori, editori, redattori, librai, bibliotecari, lettori – per organizzare in rete eventi, festival, progetti con gli studenti. Risultato: fermata la moria di librerie indipendenti, fatturati raddoppiati, case editrici entusiaste. E decine di migliaia di persone coinvolte.

Dunque è stato naturale, nell’agosto scorso, che questi e altri percorsi sfociassero nella sua candidatura nella coalizione «Sardegna Possibile», in cui agli indipendentisti si sono aggiunti amministratori locali e militanti senza partito. E inevitabile che anche il metodo seguito successivamente per la redazione del programma sia stato rivoluzionario, con la tecnica Open Space Technology, inventata negli Usa vent’anni fa: incontri tematici itineranti (cibo, salute, beni comuni…) in cui è vietato lamentarsi dei problemi ma ciascuno può proporre una soluzione e chiamare gli altri a discuterla. «Obama e Michelle cominciarono così», spiega Iolanda Romano, che insegna questi temi alla Sorbona e ha «aiutato Michela con entusiasmo».

Un migliaio di persone ha partecipato, una dozzina è stata scelta per la giunta, in caso di vittoria. E ciascuno, oltre che una faccia, è una storia: chi lavora sul sistema di baratto multilaterale contro la crisi di liquidità (transazioni per un valore di 14 milioni di euro tra duemila imprese), la prima presidente di Slow Food Sardegna, la massima esperta di turismo in aree protette, l’agricoltore che rileva terreni abbandonati, la giovane sarda entrata nello staff del premier inglese Cameron.

Campagna elettorale low cost: 77 mila euro di autofinanziamento («tra cui 30 mila euro di miei risparmi»), ne servono altri 20 mila e faranno debiti. Pd e Pdl spendono quindici volte tanto. Eppure il vento soffia, la partita è aperta: chi arriva primo, sia pure per un voto, governa da solo grazie al premio di maggioranza. Cappellacci ha già detto che teme solo Michela Murgia. E lei: «C’è un pezzo di sinistra che non vede l’ora di non votare Pd». E i voti di Grillo? «Quelli non sono di Grillo, ma dei sardi».

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