In generale
è emersa una nuova percezione del fenomeno dei
sequestri che, secondo l'opinione largamente prevalente in
tutte le audizioni, è oramai in una fase declinante.
Il prefetto Monaco ha definito i recenti episodi come "le
ultime code" che concludono una lunga fase storica.
E tuttavia in Sardegna
l'allarme per nuovi sequestri rimane elevato. Si è
fatto interprete di queste preoccupazioni il dottor Mauro
Mura, sostituto procuratore della Repubblica della DDA di
Cagliari, il quale ha parlato di "grande pericolo di altri
sequestri di persona".
Dalle audizioni, in
particolare quelle svolte in Sardegna, sono emerse una
visione più aggiornata del fenomeno nell'isola e le
novità, registrate negli ultimi anni, che sembrano
aver definitivamente chiuso il lungo ciclo dei sequestri di
persona di questi ultimi decenni. Gli episodi più
recenti delineano una nuova fase con caratteristiche ben
diverse rispetto al passato. Ha dato testimonianza di queste
tendenze Antonio Serra, ispettore di pubblica sicurezza in
pensione, che ha già fatto parte della squadra
antisequestri. L'ispettore ha delineato il mutamento
intervenuto in alcune figure centrali che, pur formalmente
ai margini del sequestro, erano in grado di sapere tutto sui
sequestri. Erano figure importanti, significative, nelle
piccole comunità sarde; erano persone, generalmente
anziane, che godevano di prestigio e di
rispetto.
"In questi paesi ci sono
determinate persone a cui ci si rivolge. Si dice: "vai da
Tizio che ti può dare una mano, è dentro alle
cose". Questa figura c'è sicuramente: c'è a
Orune, ad Orgosolo, a Mamoiada. Questi personaggi ci sono.
Prima forse di più, ma ci sono anche adesso; anche
tra i giovani c'è sempre quello che emerge e sa
tutto. Diciamo che prima i vecchi personaggi sapevano
veramente tutto; se uno di noi riusciva ad agganciare uno di
quelli, otteneva molto, perché anche loro qualche
volta cedevano: o perché gli occorreva la patente, o
perché li mandavano al confino e i familiari
cercavano di contattarli, ed allora i familiari stessi
davano anche qualche notizia, magari per farlo rientrare con
un permesso o cose del genere. Si cercava di lavorare anche
in questo modo". Nelle parole dell'ispettore è
descritta la tecnica dello scambio tra forze di polizia e
informatori.
Una tecnica che è
stata lungamente praticata - dappertutto, non solo in
Sardegna - e che ha dato risultati di una certa importanza
soprattutto quando la fonte informativa era uno di quei
"vecchi personaggi". Altra tecnica era quella di pagare una
certa cifra per la consegna dei latitanti. Questo modus
operandi pare sia stato abbandonato in questi ultimi anni.
Il dottor Mura ha affermato:
"Ho
notato maturare tra i carabinieri e la polizia una scarsa
disponibilità a "prezzolare" la consegna del
latitante. Trovo che questo sia per tanti aspetti un segno
molto positivo, poiché mi risulta che prima ci fosse
una maggiore disponibilità a dare denaro e
addirittura ci fosse proprio una sorta di programma di spesa
per la costituzione dei latitanti".
Anche l'avvocato Cualbu
ha sottolineato altri elementi di mutamento intervenuti nel
mondo della criminalità:
"un
tempo, quando un malvivente in campagna incontrava un
magistrato o un avvocato, mostrava rispetto nei suoi
confronti, oggi anche questo aspetto è finito: si
tratta di denaro e basta, non ci sono altre
possibilità! Non solo, ma anche nei rapporti tra i
malviventi, mentre ieri c'erano sicuramente coloro che
pesavano moltissimo ed erano molto rispettati, oggi questo
rapporto di rispetto, alla pari di quanto accade nella
società civile, è fortemente diminuito".
Questi appaiono
mutamenti rilevanti soprattutto perché intervenuti in
un ambiente in cui rimangono ancora tracce della antica
cultura barbaricina che, seppure ridimensionata e in netto
declino, a quanto pare non è stata definitivamente
sconfitta. Il prefetto di Nuoro, dottor Giovanni D'Onofrio,
ha fatto notare ai commissari del Comitato per i sequestri
che la diffusione delle armi in alcune zone della provincia
"rientra
nella cultura barbaricina. Potrà sembrarvi strano, ma
in alcuni comuni il ragazzo porta il coltello, porta la
pistola del padre; è una cultura che loro hanno, la
chiamano balentìa. Ora non è che ci sia un
traffico di armi a somiglianza di quello che può
avere la malavita organizzata, però fra i cittadini,
ad esempio, ho riscontrato la presenza di licenze per il
porto d'arma in una misura veramente eccezionale; qui non
c'è cittadino che non abbia il porto d'arma, ne fa
una questione di status symbol, e così anche i
ragazzi, su educazione dei genitori, sono soliti portare il
coltello o la pistola".
Nonostante questi
residui del passato, appare chiaro che non è
più la cultura barbaricina a caratterizzare i
sequestri di persona. L'idea un tempo prevalente era che i
responsabili del sequestro andassero individuati in un
ambiente agro-silvo-pastorale; era in questa area che
andavano ricercate tutte le figure dei sequestratori, dagli
esecutori materiali, ai custodi, alle menti che avevano
ideato e organizzato il sequestro. Era un'idea che, seppure
diffusa, non sempre reggeva al confronto con l'analisi di
alcuni sequestri, e non solo degli ultimi ma, ad una
riflessione più attenta, neanche di quelli degli anni
cruciali in cui il fenomeno era nel suo pieno vigore.
L'ispettore Serra ha
osservato:
"Non sono solo i disoccupati, non sono solo i pastori che
fanno i sequestri. Se leggete l'elenco della prima Anonima
sequestri, 90 + 1, i servi pastori non sono molti, mi sembra
che ce ne sia solo uno; ci sono anche dei proprietari
terrieri e di bestiame in quell'elenco e forse avevano
più soldi degli stessi sequestrati. Abbiamo avuto dei
sequestri tipo il dottor Toxiri di Tortolì
che aveva venti milioni in banca e ne ha pagati seicento;
Ninino Sanna, capo dell'ispettorato agrario, aveva settanta
milioni in banca e ne ha pagati seicento e così via.
In questo elenco dell'Anonima sequestri sarda c'erano
persone che avevano più soldi di Ninino
Sanna, che ha dovuto vendere la proprietà
a 350 milioni per pagare le banche".
E l'ispettore Serra-
sollecitato da una domanda del Presidente del Comitato circa
l'esistenza di un "livello superiore di persone che
usufruiscono dei frutti del rapimento pur non essendo
minimamente coinvolte nello stesso" - non ha escluso che
l'ipotesi potesse essere valida. Questo spiegherebbe anche
la ragione per la quale "pochi organizzatori sono stati
scoperti".
L'avvocato Cualbu, con
espressione sintetica ma efficace, ha affermato:
"Il sequestro di persona non è roba da
poveri".
I mutamenti intervenuti
hanno riguardato anche la stessa tipologia dei custodi,
frequentemente descritti nella stampa e nella letteratura
specializzata come latitanti e come pastori.
Giuseppe
Vinci ha affermato:
"La
teoria dei latitanti che stanno in Supramonte chissà
dove è storia del passato; ti accorgi se uno puzza o
è pulito e le persone che venivano da me erano sempre
linde e lustre, odoravano di sapone. Erano persone che non
stavano in campagna mesi, come i banditi degli anni
Cinquanta o Sessanta; era gente che sicuramente a casa ci
andava spesso. Uno dei rapitori lo definirei laureato o
quasi, comunque una persona di una cultura abbastanza
elevata. Uno che dice: stiamo alterando il tuo metabolismo,
che mi parla di queste cose non è sicuramente uno che
non sa né leggere né scrivere; dimostra una
certa cultura. Adesso non mi vengono in mente altre frasi,
però ho capito chiaramente che era una persona che
aveva una cultura anche scolastica. Qualcun altro aveva una
cultura abbastanza ampia, però non proprio
scolastica... Quindi, livelli culturali diversi: uno
sicuramente abbastanza colto, gli altri mediamente, solo uno
era un po' più ignorante degli altri".
Naturalmente non
è mancato e non manca chi ha custodito gli ostaggi
perché è disoccupato. Un sequestratore ha
detto a Ferruccio
Checchi:
"Io non
ho trovato lavoro e quindi me lo sono trovato. Io sto qui
con lei, a guardare lei".
Né sono mancati
quelli che per certi loro comportamenti denotano una vita
vissuta nei boschi che conoscono alla perfezione. "I miei
carcerieri" - ha racconta to Giuseppe Soffiantini -
"li ho
visti correre accucciati, con le gambe piegate come ho visto
fare al circo equestre. Li ho visti correre nel bosco con le
gambe piegate, deve essere gente che ha sempre vissuto nei
boschi, in campagna".
In generale,
I'impressione che se ne ricava è che perfino
nell'anello costituito dai carcerieri - che notoriamente non
sono la mente dei sequestri - compaiono figure che sono ben
lontane da quelle tramandateci finora dei pastori rozzi e
ignoranti; si muovono, invece, figure diverse, nuove,
acculturate. Anche i luoghi di custodia sembrano variare
negli ultimi anni. Non sono solo più le grotte
dell'inaccessibile Supramonte, ma anche contesti urbani dove
è possibile ricavare piccole celle in appartamenti
dove abita un nucleo familiare che, al riparo da occhi
indiscreti e coperto dall'anonimato e dalla
insospettabilità dei loro componenti, custodisce
l'ostaggio. Sembra profilarsi uno spostamento dei luoghi dei
sequestri che si indirizzano verso alcuni contesti urbani.
Dietro i sequestratori e, in modo particolare dietro i
custodi, si intravedono le donne; presenze invisibili, che
non appaiono mai direttamente, in prima persona. Si tratta
di una presenza mediata attraverso i loro uomini che
custodiscono gli ostaggi. E sono proprio gli ex sequestrati
ad intuire una mano femminile dietro i loro
custodi.
Silvia
Melis ha detto:
i custodi erano "solo uomini, anche se sicuramente dietro
c'erano delle donne, perché per portarmi della roba
pulita, compresa la biancheria intima, sicuramente avevano
dietro delle donne. Anche per ché mi portavano della
roba cucinata e calda. Faccio un esempio: le melanzane alla
parmigiana pronte dentro un contenitore non può che
averle cucinate una donna".
Giuseppe
Vinci ha
aggiunto: "Le donne lì sicuramente non c'erano.
Alcune cose che mi portavano però erano cucinate
altrove: uova ripiene con la pasta d'acciughe e la maionese
sicuramente non è un piatto tipico del bandito
barbaricino".
L'altro mutamento che
è stato notato riguarda le modalità operative
delle organizzazioni che hanno fatto i sequestri. L'idea che
un tempo si aveva dei sequestratori era quella di uomini
organizzati in bande che si scioglievano dopo i sequestri.
L'idea, che pure è stata richiamata nelle audizioni
di Nuoro, sembra lasciare il posto ad una diversa
considerazione. Appartiene oramai al passato la convinzione
che una banda, una volta concluso il sequestro, si dedichi
ad altre attività, criminose o meno che fossero. Se
le bande si sciolgono, è pur vero che se ne formano
altre che vedono al loro interno la presenza di alcune
persone - sempre le stesse - che avevano partecipato a
precedenti sequestri.
Molti - anche se non tutti -
di coloro che hanno partecipato ad un sequestro di persona
organizzano o prendono parte ad altri sequestri.
Appartengono a questa tipologia di sequestratori gli uomini
che hanno sequestrato Vinci, Licheri e Checchi o personaggi
come Mario Moro, Giovanni Farina e Attilio Cubeddu,
implicati nel sequestro Soffiantini. Tutti e tre, in
precedenza, erano stati condannati per sequestro di persona.
Ma anche una figura storica come Graziano Mesina aveva
queste caratteristiche; e tanti altri come lui. Secondo il
colonnello dei carabinieri a riposo Vincenzo Rosati, due
famiglie di Mamoiada, quella di Annino Mele e quella di
Gianni Cadinu, nel 1979 si resero responsabili di ben 18
sequestri di persona nella sola Sardegna. Mele e Cadinu
erano due organizzatori di sequestri che agivano dietro la
regia di
Salvatore
Contini,
personaggio che operava in Costa Smeralda. Questi, "dopo
aver fatto tutta la storia dei sequestri di persona",
scappò per un certo periodo in Argentina. Poi
andò in Corsica, dove venne arrestato per un
sequestro di persona la cui vittima era il capo degli
irredentisti corsi.
Come accadde in Calabria
alla fine degli anni Ottanta, anche in Sardegna l'area dei
sequestri sembra restringersi sempre di più, sia dal
punto di vista geografico, sia dal punto di vista dei
sequestratori che rimangono coinvolti. Secondo il questore
di Sassari, dottor Antonio Pitea, essi "sono circa 150
persone che fanno solo questo e sanno fare solo questo". E
sempre di più è possibile notare che i
medesimi soggetti sono implicati in più sequestri di
persona. Lo dimostra il fatto che i sequestratori sono
sempre più professionalizzati e che poco o nulla
lasciano al caso e all'improvvisazione. Questa tendenza,
probabilmente, è anche il frutto indiretto della
legge 82/91. La legge - come ha osservato il dottor Alfredo
Robledo, sostituto procuratore della Repubblica della DDA di
Milano - ha fatto in modo che "chi sequestra sia persona
esperta in materia, che appartenga ad organizzazioni dedite
a tali attività e che abbia un grado di
professionalità elevato. Per un verso restringe il
campo, nel numero almeno, dei possibili sequestri e, per
l'altro, si traduce quanto meno in un non svantaggio
perché le ricerche sono sempre orientate sulle
persone che o per motivi territoriali o per motivi specifici
abbiano avuto a che fare con sequestri di persona. Quindi,
ci limita il campo delle indagini o fa sì che non si
allarghi a dismisura".
La legge sembra aver
funzionato come una sorta di selezione. Ha tolto dal
"mercato" dei sequestri le bande non organizzate, quelle che
si formavano occasionalmente e che erano più
pericolose dal punto di vista della salvaguardia della vita
dell'ostaggio. Anche se la professionalità dei
sequestratori non esclude in maniera assoluta la
possibilità della soppressione dell'ostaggio,
è certo che riduce notevolmente il numero delle
vittime che non fanno più ritorno a casa. Sulla
"piazza" rimangono le organizzazioni di professionisti e,
poiché queste si vanno sempre di più
restringendo, ciò dovrebbe rendere più facile
per gli investigatori concentrare le indagini per
individuarli. Novità rilevanti sembrano emergere
anche sul piano del riciclaggio del denaro che si riesce ad
ottenere con i riscatti. E convinzione diffusa - largamente
presente nelle audizioni - che il denaro acquisito da un se
questro, dovendosi redistribuire tra un numero elevato di
persone che partecipano al sequestro, sia di scarsa entita,
al punto da poter essere investito senza che sia visibile
per gli investigatori. E questa la ragione principale che
spiegherebbe perché non ci sono state significative
confische di beni provenienti dal riscatto dei sequestri. Il
tenente colonnello Guido Esposito, comandante del gruppo
della Guardia di finanza di Nuoro, ha affermato:
"Quando
un sequestro rende un miliardo, un miliardo e mezzo e dura
nove mesi, i sequestratori devono sostenere delle spese,
hanno dei debiti che soddisfano alla fine del sequestro, una
volta conseguito il riscatto. Quindi il quantum del reato
viene polverizzato; magari al capo, al latitante, di quella
cifra, una volta pagati tutti i debiti, rimangono cinquanta
milioni, non una grossa cifra, per la quale è facile
dimostrare un provento lecito. A volte con tale cifra
acquistano magari venti pecore per aumentare il gregge; una
parte magari viene messa "sotto il mattone"; un'altra parte
serve per completare il primo piano di una villetta e
così via".
Anche il questore di
Nuoro, dottor Giacomo Deiana, ha affermato che le cifre che
si ricavano dal sequestro sono "veramente parcellizzate:
siamo a livello di cifre comprese tra i 10 e i 30
milioni".
Della medesima opinione
è il prefetto di Nuoro, il quale ritiene che con
simili cifre si soddisfino soprattutto le elementari
esigenze dei latitanti di sostenere economicamente le
proprie famiglie, o che le somme ricavate vengano impiegate
nella costruzione di abitazioni. A questo proposito il
Prefetto ha raccontato un episodio significativo
perché indica come nelle zone dei sequestri si sa
sempre tutto di tutti, anche se, ovviamente, non sempre
è agevole trovare prove tali da sostenere una fondata
accusa in un pubblico processo:
"Quando
arrivai a Nuoro ricordo che il mio autista, mentre andavamo
con la macchina, mi indicava le varie abitazioni dicendomi
quale di quelle era stata costruita con i proventi di uno o
di un altro sequestro".
La tipologia e le
modalità del riciclaggio e degli investimenti dei
proventi criminosi non sono sempre gli stessi dappertutto.
Il
dottor Mura ha descritto una realtà articolata che
sembra contraddistinguere la moderna criminalità
sarda:
"il
latitante investe all'estero e sono dei percorsi che sono
appunto quelli della Svizzera, del Venezuela o della
Colombia, mentre il semplice favoreggiatore inteso come il
vivandiere, il telefonista o lo stesso prelevatore, che
è persona che svolge un'altra attività
professionale, qualora si tratti di denaro pulito è
molto probabile che lo investa, attraverso gli schermi del
caso, intestando magari le cose alla sorella compiacente,
nell'acquisto di un bar o di un altro tipo di operazione
commerciale o di investimento agricolo. Non si può
quindi fare un discorso unico, mentre occorre fare un
discorso articolato, sulla base dei dati che abbiamo
acquisito".
Anche il dottor Fleury
ha fatto osservare come accanto ad un
riciclaggio "artigianale" fatto mediante piccoli
acquisti o versamenti in banca di importi di modesta
entità, ci siano state operazioni ben più
complesse.
"Per tre sequestri di persona, Del Tongo, Ciaschi e Niccoli,
il provento del sequestro, che era complessivamente di 5
miliardi, venne trasferito in Venezuela e investito in
operazioni immobiliari. Stavano costruendo un grosso
complesso alberghiero, vennero individuati in Venezuela e
arrestati e questi immobili naturalmente furono
sequestrati".
Il trasferimento
all'estero dei proventi del riscatto sembra essere
l'obiettivo dei sequestratori di Giuseppe Soffiantini, che
hanno preteso il pagamento in dollari invece che in lire
italiane, come abitualmente è avvenuto per tutti gli
altri sequestri. La recente cattura di Giovanni Farina in
Australia pare confermare questa ipotesi. Le movimentazioni
di denaro all'estero indubbiamente segnano un salto di
qualità rispetto alla tradizionale criminalità
sarda perché presuppongono una rete di conoscenze e
di collegamenti, una capacità di rapporti che erano
sconosciuti al bandito sardo del passato. In questi ultimi
anni i latitanti e i sequestratori sardi hanno valicato i
confini nazionali e cominciano ad investire in
attività criminali acqui tando armi e stupefacenti.
In tal modo il mercato dei sequestri alimenta nuovi mercati
criminali, così come era accaduto per la 'ndrangheta
calabrese.
Alcuni episodi sembrano
confermare queste nuove tendenze. Il noto latitante Matteo
Boe è stato arrestato in Corsica. Giovanni Farina
è stato catturato nel 1982 a Caracas dove aveva fatto
una serie di investimenti immobiliari. Mario Moro, oltre ai
sequestri di persona, gestiva rapine e traffici di sostanze
stupefacenti e di armi; alcuni componenti del la banda di
Nicolò Cossu, detto "Cioccolato", implicati nei
sequestri Vinci, Licheri e Checchi, pensavano - come si è
compreso da alcune in tercettazioni ambientali - di
investire il denaro dei riscatti nell'acquisto di sostanze
stupefacenti. Questi episodi confermano, ancora una volta, i
recenti mutamenti della criminalità sarda dedita ai
sequestri di persona e prefigurano sviluppi del tutto
inediti per l'isola, giacché l'acquisto di armi e di
droga presuppone un contatto e un rapporto con le
organizzazioni mafiose storiche.