indice

 

relazione sui sequestri di persona a scopo di estorsione
(Relatore: senatore Pardini)
PARTE QUARTA

i recenti mutamenti e la nuova
percezione del fenomeno

In generale è emersa una nuova percezione del fenomeno dei sequestri che, secondo l'opinione largamente prevalente in tutte le audizioni, è oramai in una fase declinante. Il prefetto Monaco ha definito i recenti episodi come "le ultime code" che concludono una lunga fase storica.
E tuttavia in Sardegna l'allarme per nuovi sequestri rimane elevato. Si è fatto interprete di queste preoccupazioni il dottor Mauro Mura, sostituto procuratore della Repubblica della DDA di Cagliari, il quale ha parlato di "grande pericolo di altri sequestri di persona".
Dalle audizioni, in particolare quelle svolte in Sardegna, sono emerse una visione più aggiornata del fenomeno nell'isola e le novità, registrate negli ultimi anni, che sembrano aver definitivamente chiuso il lungo ciclo dei sequestri di persona di questi ultimi decenni. Gli episodi più recenti delineano una nuova fase con caratteristiche ben diverse rispetto al passato. Ha dato testimonianza di queste tendenze Antonio Serra, ispettore di pubblica sicurezza in pensione, che ha già fatto parte della squadra antisequestri. L'ispettore ha delineato il mutamento intervenuto in alcune figure centrali che, pur formalmente ai margini del sequestro, erano in grado di sapere tutto sui sequestri. Erano figure importanti, significative, nelle piccole comunità sarde; erano persone, generalmente anziane, che godevano di prestigio e di rispetto.
"In questi paesi ci sono determinate persone a cui ci si rivolge. Si dice: "vai da Tizio che ti può dare una mano, è dentro alle cose". Questa figura c'è sicuramente: c'è a Orune, ad Orgosolo, a Mamoiada. Questi personaggi ci sono. Prima forse di più, ma ci sono anche adesso; anche tra i giovani c'è sempre quello che emerge e sa tutto. Diciamo che prima i vecchi personaggi sapevano veramente tutto; se uno di noi riusciva ad agganciare uno di quelli, otteneva molto, perché anche loro qualche volta cedevano: o perché gli occorreva la patente, o perché li mandavano al confino e i familiari cercavano di contattarli, ed allora i familiari stessi davano anche qualche notizia, magari per farlo rientrare con un permesso o cose del genere. Si cercava di lavorare anche in questo modo". Nelle parole dell'ispettore è descritta la tecnica dello scambio tra forze di polizia e informatori.
Una tecnica che è stata lungamente praticata - dappertutto, non solo in Sardegna - e che ha dato risultati di una certa importanza soprattutto quando la fonte informativa era uno di quei "vecchi personaggi". Altra tecnica era quella di pagare una certa cifra per la consegna dei latitanti. Questo modus operandi pare sia stato abbandonato in questi ultimi anni. Il dottor Mura ha affermato:
"Ho notato maturare tra i carabinieri e la polizia una scarsa disponibilità a "prezzolare" la consegna del latitante. Trovo che questo sia per tanti aspetti un segno molto positivo, poiché mi risulta che prima ci fosse una maggiore disponibilità a dare denaro e addirittura ci fosse proprio una sorta di programma di spesa per la costituzione dei latitanti".
Anche l'avvocato Cualbu ha sottolineato altri elementi di mutamento intervenuti nel mondo della criminalità:
"un tempo, quando un malvivente in campagna incontrava un magistrato o un avvocato, mostrava rispetto nei suoi confronti, oggi anche questo aspetto è finito: si tratta di denaro e basta, non ci sono altre possibilità! Non solo, ma anche nei rapporti tra i malviventi, mentre ieri c'erano sicuramente coloro che pesavano moltissimo ed erano molto rispettati, oggi questo rapporto di rispetto, alla pari di quanto accade nella società civile, è fortemente diminuito".
Questi appaiono mutamenti rilevanti soprattutto perché intervenuti in un ambiente in cui rimangono ancora tracce della antica cultura barbaricina che, seppure ridimensionata e in netto declino, a quanto pare non è stata definitivamente sconfitta. Il prefetto di Nuoro, dottor Giovanni D'Onofrio, ha fatto notare ai commissari del Comitato per i sequestri che la diffusione delle armi in alcune zone della provincia
"rientra nella cultura barbaricina. Potrà sembrarvi strano, ma in alcuni comuni il ragazzo porta il coltello, porta la pistola del padre; è una cultura che loro hanno, la chiamano balentìa. Ora non è che ci sia un traffico di armi a somiglianza di quello che può avere la malavita organizzata, però fra i cittadini, ad esempio, ho riscontrato la presenza di licenze per il porto d'arma in una misura veramente eccezionale; qui non c'è cittadino che non abbia il porto d'arma, ne fa una questione di status symbol, e così anche i ragazzi, su educazione dei genitori, sono soliti portare il coltello o la pistola".
Nonostante questi residui del passato, appare chiaro che non è più la cultura barbaricina a caratterizzare i sequestri di persona. L'idea un tempo prevalente era che i responsabili del sequestro andassero individuati in un ambiente agro-silvo-pastorale; era in questa area che andavano ricercate tutte le figure dei sequestratori, dagli esecutori materiali, ai custodi, alle menti che avevano ideato e organizzato il sequestro. Era un'idea che, seppure diffusa, non sempre reggeva al confronto con l'analisi di alcuni sequestri, e non solo degli ultimi ma, ad una riflessione più attenta, neanche di quelli degli anni cruciali in cui il fenomeno era nel suo pieno vigore.
L'ispettore Serra ha osservato:
"Non sono solo i disoccupati, non sono solo i pastori che fanno i sequestri. Se leggete l'elenco della prima Anonima sequestri, 90 + 1, i servi pastori non sono molti, mi sembra che ce ne sia solo uno; ci sono anche dei proprietari terrieri e di bestiame in quell'elenco e forse avevano più soldi degli stessi sequestrati. Abbiamo avuto dei sequestri tipo il dottor
Toxiri di Tortolì che aveva venti milioni in banca e ne ha pagati seicento; Ninino Sanna, capo dell'ispettorato agrario, aveva settanta milioni in banca e ne ha pagati seicento e così via. In questo elenco dell'Anonima sequestri sarda c'erano persone che avevano più soldi di Ninino Sanna, che ha dovuto vendere la proprietà a 350 milioni per pagare le banche".
E l'ispettore Serra- sollecitato da una domanda del Presidente del Comitato circa l'esistenza di un "livello superiore di persone che usufruiscono dei frutti del rapimento pur non essendo minimamente coinvolte nello stesso" - non ha escluso che l'ipotesi potesse essere valida. Questo spiegherebbe anche la ragione per la quale "pochi organizzatori sono stati scoperti".
L'avvocato Cualbu, con espressione sintetica ma efficace, ha affermato:
"Il sequestro di persona non è roba da poveri".

I mutamenti intervenuti hanno riguardato anche la stessa tipologia dei custodi, frequentemente descritti nella stampa e nella letteratura specializzata come latitanti e come pastori.

Giuseppe Vinci ha affermato:
"La teoria dei latitanti che stanno in Supramonte chissà dove è storia del passato; ti accorgi se uno puzza o è pulito e le persone che venivano da me erano sempre linde e lustre, odoravano di sapone. Erano persone che non stavano in campagna mesi, come i banditi degli anni Cinquanta o Sessanta; era gente che sicuramente a casa ci andava spesso. Uno dei rapitori lo definirei laureato o quasi, comunque una persona di una cultura abbastanza elevata. Uno che dice: stiamo alterando il tuo metabolismo, che mi parla di queste cose non è sicuramente uno che non sa né leggere né scrivere; dimostra una certa cultura. Adesso non mi vengono in mente altre frasi, però ho capito chiaramente che era una persona che aveva una cultura anche scolastica. Qualcun altro aveva una cultura abbastanza ampia, però non proprio scolastica... Quindi, livelli culturali diversi: uno sicuramente abbastanza colto, gli altri mediamente, solo uno era un po' più ignorante degli altri".
Naturalmente non è mancato e non manca chi ha custodito gli ostaggi perché è disoccupato. Un sequestratore ha detto a Ferruccio Checchi:
"Io non ho trovato lavoro e quindi me lo sono trovato. Io sto qui con lei, a guardare lei".
Né sono mancati quelli che per certi loro comportamenti denotano una vita vissuta nei boschi che conoscono alla perfezione. "I miei carcerieri" - ha racconta to Giuseppe Soffiantini -
"li ho visti correre accucciati, con le gambe piegate come ho visto fare al circo equestre. Li ho visti correre nel bosco con le gambe piegate, deve essere gente che ha sempre vissuto nei boschi, in campagna".
In generale, I'impressione che se ne ricava è che perfino nell'anello costituito dai carcerieri - che notoriamente non sono la mente dei sequestri - compaiono figure che sono ben lontane da quelle tramandateci finora dei pastori rozzi e ignoranti; si muovono, invece, figure diverse, nuove, acculturate. Anche i luoghi di custodia sembrano variare negli ultimi anni. Non sono solo più le grotte dell'inaccessibile Supramonte, ma anche contesti urbani dove è possibile ricavare piccole celle in appartamenti dove abita un nucleo familiare che, al riparo da occhi indiscreti e coperto dall'anonimato e dalla insospettabilità dei loro componenti, custodisce l'ostaggio. Sembra profilarsi uno spostamento dei luoghi dei sequestri che si indirizzano verso alcuni contesti urbani. Dietro i sequestratori e, in modo particolare dietro i custodi, si intravedono le donne; presenze invisibili, che non appaiono mai direttamente, in prima persona. Si tratta di una presenza mediata attraverso i loro uomini che custodiscono gli ostaggi. E sono proprio gli ex sequestrati ad intuire una mano femminile dietro i loro custodi.
Silvia Melis ha detto: i custodi erano "solo uomini, anche se sicuramente dietro c'erano delle donne, perché per portarmi della roba pulita, compresa la biancheria intima, sicuramente avevano dietro delle donne. Anche per ché mi portavano della roba cucinata e calda. Faccio un esempio: le melanzane alla parmigiana pronte dentro un contenitore non può che averle cucinate una donna".
Giuseppe Vinci ha aggiunto: "Le donne lì sicuramente non c'erano. Alcune cose che mi portavano però erano cucinate altrove: uova ripiene con la pasta d'acciughe e la maionese sicuramente non è un piatto tipico del bandito barbaricino".
L'altro mutamento che è stato notato riguarda le modalità operative delle organizzazioni che hanno fatto i sequestri. L'idea che un tempo si aveva dei sequestratori era quella di uomini organizzati in bande che si scioglievano dopo i sequestri. L'idea, che pure è stata richiamata nelle audizioni di Nuoro, sembra lasciare il posto ad una diversa considerazione. Appartiene oramai al passato la convinzione che una banda, una volta concluso il sequestro, si dedichi ad altre attività, criminose o meno che fossero. Se le bande si sciolgono, è pur vero che se ne formano altre che vedono al loro interno la presenza di alcune persone - sempre le stesse - che avevano partecipato a precedenti sequestri.

Molti - anche se non tutti - di coloro che hanno partecipato ad un sequestro di persona organizzano o prendono parte ad altri sequestri. Appartengono a questa tipologia di sequestratori gli uomini che hanno sequestrato Vinci, Licheri e Checchi o personaggi come Mario Moro, Giovanni Farina e Attilio Cubeddu, implicati nel sequestro Soffiantini. Tutti e tre, in precedenza, erano stati condannati per sequestro di persona. Ma anche una figura storica come Graziano Mesina aveva queste caratteristiche; e tanti altri come lui. Secondo il colonnello dei carabinieri a riposo Vincenzo Rosati, due famiglie di Mamoiada, quella di Annino Mele e quella di Gianni Cadinu, nel 1979 si resero responsabili di ben 18 sequestri di persona nella sola Sardegna. Mele e Cadinu erano due organizzatori di sequestri che agivano dietro la regia di Salvatore Contini, personaggio che operava in Costa Smeralda. Questi, "dopo aver fatto tutta la storia dei sequestri di persona", scappò per un certo periodo in Argentina. Poi andò in Corsica, dove venne arrestato per un sequestro di persona la cui vittima era il capo degli irredentisti corsi.

Come accadde in Calabria alla fine degli anni Ottanta, anche in Sardegna l'area dei sequestri sembra restringersi sempre di più, sia dal punto di vista geografico, sia dal punto di vista dei sequestratori che rimangono coinvolti. Secondo il questore di Sassari, dottor Antonio Pitea, essi "sono circa 150 persone che fanno solo questo e sanno fare solo questo". E sempre di più è possibile notare che i medesimi soggetti sono implicati in più sequestri di persona. Lo dimostra il fatto che i sequestratori sono sempre più professionalizzati e che poco o nulla lasciano al caso e all'improvvisazione. Questa tendenza, probabilmente, è anche il frutto indiretto della legge 82/91. La legge - come ha osservato il dottor Alfredo Robledo, sostituto procuratore della Repubblica della DDA di Milano - ha fatto in modo che "chi sequestra sia persona esperta in materia, che appartenga ad organizzazioni dedite a tali attività e che abbia un grado di professionalità elevato. Per un verso restringe il campo, nel numero almeno, dei possibili sequestri e, per l'altro, si traduce quanto meno in un non svantaggio perché le ricerche sono sempre orientate sulle persone che o per motivi territoriali o per motivi specifici abbiano avuto a che fare con sequestri di persona. Quindi, ci limita il campo delle indagini o fa sì che non si allarghi a dismisura".

La legge sembra aver funzionato come una sorta di selezione. Ha tolto dal "mercato" dei sequestri le bande non organizzate, quelle che si formavano occasionalmente e che erano più pericolose dal punto di vista della salvaguardia della vita dell'ostaggio. Anche se la professionalità dei sequestratori non esclude in maniera assoluta la possibilità della soppressione dell'ostaggio, è certo che riduce notevolmente il numero delle vittime che non fanno più ritorno a casa. Sulla "piazza" rimangono le organizzazioni di professionisti e, poiché queste si vanno sempre di più restringendo, ciò dovrebbe rendere più facile per gli investigatori concentrare le indagini per individuarli. Novità rilevanti sembrano emergere anche sul piano del riciclaggio del denaro che si riesce ad ottenere con i riscatti. E convinzione diffusa - largamente presente nelle audizioni - che il denaro acquisito da un se questro, dovendosi redistribuire tra un numero elevato di persone che partecipano al sequestro, sia di scarsa entita, al punto da poter essere investito senza che sia visibile per gli investigatori. E questa la ragione principale che spiegherebbe perché non ci sono state significative confische di beni provenienti dal riscatto dei sequestri. Il tenente colonnello Guido Esposito, comandante del gruppo della Guardia di finanza di Nuoro, ha affermato:
"Quando un sequestro rende un miliardo, un miliardo e mezzo e dura nove mesi, i sequestratori devono sostenere delle spese, hanno dei debiti che soddisfano alla fine del sequestro, una volta conseguito il riscatto. Quindi il quantum del reato viene polverizzato; magari al capo, al latitante, di quella cifra, una volta pagati tutti i debiti, rimangono cinquanta milioni, non una grossa cifra, per la quale è facile dimostrare un provento lecito. A volte con tale cifra acquistano magari venti pecore per aumentare il gregge; una parte magari viene messa "sotto il mattone"; un'altra parte serve per completare il primo piano di una villetta e così via".
Anche il questore di Nuoro, dottor Giacomo Deiana, ha affermato che le cifre che si ricavano dal sequestro sono "veramente parcellizzate: siamo a livello di cifre comprese tra i 10 e i 30 milioni".
Della medesima opinione è il prefetto di Nuoro, il quale ritiene che con simili cifre si soddisfino soprattutto le elementari esigenze dei latitanti di sostenere economicamente le proprie famiglie, o che le somme ricavate vengano impiegate nella costruzione di abitazioni. A questo proposito il Prefetto ha raccontato un episodio significativo perché indica come nelle zone dei sequestri si sa sempre tutto di tutti, anche se, ovviamente, non sempre è agevole trovare prove tali da sostenere una fondata accusa in un pubblico processo:
"Quando arrivai a Nuoro ricordo che il mio autista, mentre andavamo con la macchina, mi indicava le varie abitazioni dicendomi quale di quelle era stata costruita con i proventi di uno o di un altro sequestro".
La tipologia e le modalità del riciclaggio e degli investimenti dei proventi criminosi non sono sempre gli stessi dappertutto.
Il dottor Mura ha descritto una realtà articolata che sembra contraddistinguere la moderna criminalità sarda:
"il latitante investe all'estero e sono dei percorsi che sono appunto quelli della Svizzera, del Venezuela o della Colombia, mentre il semplice favoreggiatore inteso come il vivandiere, il telefonista o lo stesso prelevatore, che è persona che svolge un'altra attività professionale, qualora si tratti di denaro pulito è molto probabile che lo investa, attraverso gli schermi del caso, intestando magari le cose alla sorella compiacente, nell'acquisto di un bar o di un altro tipo di operazione commerciale o di investimento agricolo. Non si può quindi fare un discorso unico, mentre occorre fare un discorso articolato, sulla base dei dati che abbiamo acquisito".
Anche il dottor Fleury ha fatto osservare come accanto ad un riciclaggio "artigianale" fatto mediante piccoli acquisti o versamenti in banca di importi di modesta entità, ci siano state operazioni ben più complesse.
"Per tre sequestri di persona, Del Tongo, Ciaschi e Niccoli, il provento del sequestro, che era complessivamente di 5 miliardi, venne trasferito in Venezuela e investito in operazioni immobiliari. Stavano costruendo un grosso complesso alberghiero, vennero individuati in Venezuela e arrestati e questi immobili naturalmente furono sequestrati".

Il trasferimento all'estero dei proventi del riscatto sembra essere l'obiettivo dei sequestratori di Giuseppe Soffiantini, che hanno preteso il pagamento in dollari invece che in lire italiane, come abitualmente è avvenuto per tutti gli altri sequestri. La recente cattura di Giovanni Farina in Australia pare confermare questa ipotesi. Le movimentazioni di denaro all'estero indubbiamente segnano un salto di qualità rispetto alla tradizionale criminalità sarda perché presuppongono una rete di conoscenze e di collegamenti, una capacità di rapporti che erano sconosciuti al bandito sardo del passato. In questi ultimi anni i latitanti e i sequestratori sardi hanno valicato i confini nazionali e cominciano ad investire in attività criminali acqui tando armi e stupefacenti. In tal modo il mercato dei sequestri alimenta nuovi mercati criminali, così come era accaduto per la 'ndrangheta calabrese.
Alcuni episodi sembrano confermare queste nuove tendenze. Il noto latitante Matteo Boe è stato arrestato in Corsica. Giovanni Farina è stato catturato nel 1982 a Caracas dove aveva fatto una serie di investimenti immobiliari. Mario Moro, oltre ai sequestri di persona, gestiva rapine e traffici di sostanze stupefacenti e di armi; alcuni componenti del la banda di Nicolò Cossu, detto "Cioccolato", implicati nei sequestri Vinci, Licheri e Checchi, pensavano - come si è compreso da alcune in tercettazioni ambientali - di investire il denaro dei riscatti nell'acquisto di sostanze stupefacenti. Questi episodi confermano, ancora una volta, i recenti mutamenti della criminalità sarda dedita ai sequestri di persona e prefigurano sviluppi del tutto inediti per l'isola, giacché l'acquisto di armi e di droga presuppone un contatto e un rapporto con le organizzazioni mafiose storiche.