In mancanza di
una legge che disciplinasse la materia, la misura del blocco
dei beni è stata adottata, prima del 1991, da singoli
magistrati in modo del tutto discrezionale, sulla base di
quanto disposto dall'allora vigente articolo 219 c.p.p.
nella parte in cui obbligava la polizia giudiziaria ad
evitare che il reato venisse portato a conseguenze
ulteriori: poiché il pagamento del riscatto doveva
considerarsi conseguenza ulteriore del sequestro, era
legittimo un sequestro preventivo dei beni che
presumibilmente avrebbero costituito "il prezzo della
liberazione" (Brunelli D., Il sequestro di persona a scopo di
estorsione,
1995).
Era però evidente
come simili decisioni non potessero essere lasciate
all'estemporaneità del singolo: solo l'intervento del
legislatore avrebbe consentito il passaggio da una prassi
giudiziaria ad una regola normativa generale, valida
cioè per tutti ed in ogni caso.
Fra l'altro, ciò che
è stabilito dalla legge è noto a tutti: "se
fosse già certo prima del sequestro che il riscatto
non potrebbe essere pagato e che in nessun caso sarebbe
pagato, non si comprende davvero per quale ragione i
criminali dovrebbero imbarcarsi in imprese che non
potrebbero dare il lucro sperato" (Bertoni R., op.
cit.).
Sulla base di queste
considerazioni, con il D.L. 15 gennaio 1991, n. 8 (Nuove
misure in materia di sequestro di persona a scopo di
estorsione e per la protezione di coloro che collaborano con
la giustizia) convertito, con modificazioni, nella legge 15
marzo 1991, n. 82, il legislatore ha innanzitutto previsto
la obbligatorietà del "sequestro del beni
appartenenti alla persona sequestrata, al coniuge, e ai
parenti e affini conviventi", su provvedimento del giudice a
richiesta del pubblico ministero.
Accanto al sequestro
obbligatorio, il legislatore ha previsto un sequestro
facoltativo da disporre nei confronti di "altre persone" nel
caso in cui vi sia "fondato motivo di ritenere che tali beni
possanò essere utilizzati, direttamente o
indirettamente, per far conseguire agli autori del delitto
il prezzo della liberazione della vittima". Oltre alle
disposizioni sul sequestro preventivo del bene oggetto del
riscatto, il legislatore ha previsto delle vere e proprie
nuove figure di reato senza, però, inserirle
nell'impianto codicistico:
la prima
figura rappresenta
un'ipotesi di favoreggiamento reale: viene infatti punito
con le stesse pene previste dall'articolo 379 c.p., chi "si
adopera, con qualsiasi mezzo", al fine di far conseguire
agli autori del delitto il prezzo della liberazione;
la seconda
figura si riferisce
ad un obbligo di denuncia penalmente sanzionato a carico di
chiunque sia a conoscenza non solo di "atti o fatti
concernenti il delitto, anche tentato, di sequestro di
persona a scopo di estorsione ma anche" di circostanze
relative alla richiesta o al pagamento del prezzo della
liberazione "o comunque di altre circostanze utili per
l'individuazione o la cattura dei colpevoli o per la
liberazione del sequestrato";
la terza
figura riguarda la
stipula di contratti di assicurazione contro il rischio del
sequestro: per evitare che tali contratti possano
costituire, per i sequestratore, un incentivo a commettere
il sequestro, il legislatore non solo sancisce la loro
nullità, ma addirittura punisce "con la reclusione da
uno a tre anni" chiunque li ponga in essere.
Il legislatore, poi,
introduce una disposizione che incide, sia pure in minima
parte, sugli articoli relativi al sequestro di persona a
scopo di terrorismo o di evasione ed al sequestro di persona
a scopo di estorsione: è prevista un'ulteriore
diminuzione delle pene stabilite nel caso di "dissociazione"
del sequestratore (comma quarto dell'articolo 289-bis e
commi quarto e quinto dell'articolo 630 c.p.) "se il
contributo fornito dal concorrente del reato dissociatosi
dagli altri è di eccezionale rilevanza, anche con
riguardo alla durata del sequestro e alla incolumità
della persona sequestrata".