Durante il
periodo 'caldo' dei sequestri di persona, tra la fine degli
anni settanta e i primi anni ottanta si sono verificati
numerosi problemi di coordinamento nel corso delle indagini
e si erano prodotte spesso forme di concorrenzialità
tra le forze di polizia. Per queste ragioni la legge 82/91
ha previsto la possibilità, con decreto del Ministro
dell'interno, di costituire, allorché si realizza un
sequestro, un nucleo interforze alle di pendenze
dell'Autorità giudiziaria competente.
L'articolo 8, comma
2, della legge 15 marzo 1991, n. 82, prevede infatti "che
per le esigenze connesse alle indagini concernenti delitti
di sequestro di persona a scopo di estorsione, sono
costituiti appositi nuclei interforze...".
Questi nuclei, di
solito formati da personale delle forze di polizia operanti
già nella località dell'avvenuto sequestro e
rafforzati da elementi di provata esperienza, hanno il
compito di garantire uno scambio circolare di informazioni
mettendo insieme i tasselli delle investigazioni.
La costituzione di un nucleo
interforze, come hanno dichiarato in sede di Comitato
provinciale dell'ordine e della sicurezza pubblica sia il
Questore di Milano che quello di Brescia "è
essenziale per evitare sprechi di energie e per evitare che
l'indagine possa disperdersi in più filoni". La
costituzione del nucleo, ha affermato il dottor Carmineo,
questore di Milano, è utilissimo per la condizione
delle indagini. Il nucleo si riunisce periodicamente sotto
la direzione del Procuratore distrettuale con i magistrati
che seguono il sequestro e decidono di volta in volta il da
farsi".
Il dottor Carlo
Macrì, nel corso dell'audizione a Reggio Calabria, ci
ha detto che:
"Una
delle armi che sono risultate vincenti è stata la
collaborazione della Procura di Palmi con quelle del Nord.
Nel fare il giro delle Procure di Milano, Torino, Roma, ho
acquisito elementi importantissimi sulla struttura
dell'organizzazione, sulle persone che aderivano a questi
gruppi e sui reati già commessi. Ciò ha
consentito di avviare una collaborazione intensissima con
magistrati del Nord. L'altra arma vincente è stata
quella di indagare sui sequestri non direttamente, ma
attraverso il reato associativo. Questo ha permesso di
trovare delle prove anche attraverso accertamenti bancari
che sono risultati decisivi".
Sulla bontà e
sull'esigenza di reali forme di coordinamento tra inquirenti
il dottor Pennisi, nel corso della sua audizione, ha
dichiarato "solo a partire dal 1991, quando per legge
sono stati attivati alcuni organismi giudiziari c'è
stato un coordinamento che ha consentito una circolazione di
dati da utilizzare in funzione dell'esercizio dell'azione
penale. In precedenza il livello minimo di coordinamento era
garantito solo dagli organismi investigativi centrali che,
disponendo di una conoscenza complessiva del fenomeno, erano
in condizione di lanciare inputs nelle varie parti d'ltalia
e ai vari uffici giudiziari. Ci fu un periodo tra il 1980 e
il 1990 in cui 10 uffici giudiziari si occupavano
contemporaneamente di 10 fenomeni connessi a sequestri di
persona senza che nessuno sapesse niente dell'altro e senza
che ci fosse una circolazione di dati necessari per
affrontare complessivamente il fenomeno ed ottenere
risultati concreti".
In merito ai temi della
carenza della struttura investigativa va notata una positiva
evoluzione. Il dottor Macrì ricordava come allora
(1980-1990) le strutture sia della magistratura che delle
forze di polizia erano modeste: una squadra di polizia
giudiziaria composta da un maresciallo e due brigadieri, la
compagnia dei carabinieri e qualche commissariato di zona.
Solo successivamente furono costituiti i NAPS gruppi
speciali preposti al controllo del territorio. Malgrado
tutto ciò i risultati raggiunti sono stati buoni.
Oggi va sottolineato come dopo il sequestro Melis in
Sardegna sono stati preannunciati rinforzi delle forze di
polizia quantificati in 150 operatori per la polizia di
Stato, solo in minima parte realizzati. Il Comitato auspica
che il programma annunciato venga quanto prima portato a
compimento.
Il prefetto
D'Onofrio, ha anche citato la permanenza nella provincia di
Nuoro di circa 40 carabinieri del Battaglione Sardegna.
Il dottor Arena,
questore di Brescia, ha dichiarato che "la costituzione di
un nucleo interforze è essenziale per evitare sprechi
di energia e per evitare che l'indagine si possa disperdere
in più filoni, ognuno dei quali potrebbe seguire
eventualmente degli spunti investigativi senza che le altre
forze di polizia ne vengano a conoscenza e che l'opportuno
coordinamento di questo gruppo sia dato dalla presenza di un
magistrato che dirige le indagini".
Il dottor
Manganelli, questore di Palermo, afferma:
"la
mia opinione è estremamente favorevole ad un lavoro
interforze; credo che tra la disposizione astratta della
norma e l'attuazione pratica si debba passare per la
capacità di influenza della Procura della Repubblica
di ottenere una piena efficacia dello strumento normativo in
questione, che se non fosse tale sarebbe comunque uno
strumento non solamente legittimo ma quasi doveroso: la
Procura della Repubblica per organizzare un momento di
investigazione interforze nell'ambito della sua competenza
non ha bisogno di nessuna legge; la Procura della Repubblica
chiama il capo della squadra mobile, il capo del reparto
operativo e quotidianamente organizza riunioni per
realizzare lo scambio di informazioni sull'operato svolto;
dà le deleghe di indagine, le direttive".
Anche in merito alle
ipotizzate banche dati, il Questore di Brescia ha dichiarato
che, in occasione del sequestro Soffiantini, gli
investigatori hanno potuto mettere a confronto le
modalità di tutti quanti gli altri sequestri di
persona ed hanno provveduto alla completa informatizzazione
del sequestro Soffiantini, al fine di valutare e confrontare
le lettere, le modalità, i tempi.
Questi nuclei però si
sciolgono a sequestro concluso, con il rischio di perdita di
conoscenze specifiche sul fenomeno, pertanto sussiste
l'esigenza di avere a livello centrale un gruppo di persone
di profonda conoscenza e professionalità sul tema dei
sequestri da affiancare, quando necessario, ai nuclei
interforze. E fondamentale a tale proposito il mantenimento
di una "memoria storica", attraverso l'aggiornamento
continuo del personale e la disponibilità in tempo
reale di ogni dato e conoscenza connesso ai sequestri. E
importante ristrutturare i servizi di polizia giudiziaria
sul territorio nelle città a maggiore incidenza del
fenomeno, rivitalizzando le sezioni che svolgono
attività antisequestro, indirizzando
l'attività nella cattura dei latitanti che, come ben
si sa, sono i soggetti che "custodiscono" il sequestrato
nelle zone di campagna e rurali, favorendo infine
un'attività di intelligence, anche attraverso
l'utilizzo di strumenti informativi evoluti e
nell'attività di vera e propria indagine.
Così come appare
utilissimo in fase preventiva rivitalizzare il "controllo
del territorio" delle aree tradizionalmente utilizzate per
la detenzione dei sequestrati.
E da notare che in
determinate aree geografiche, Sardegna, Calabria, Toscana,
l'unico modo per riappropriarsi del territorio è il
controllo minuzioso e continuo da parte dell'operatore.
L'ispettore Serra, nella sua audizione a Nuoro, in merito al
controllo del territorio, ha confermato l'esigenza di
ricostruire le squadriglie nate oltre 20 anni fa e composte
di 10-12 unità, aumentate poi via via negli anni
settanta, con il particolare incremento del numero dei
sequestri.
"Si
usciva in campagna, tutti i giorni in diversi orari e si
"batteva" il territorio fino a che non si raccoglieva
materia sui latitanti o sequestrati. La conoscenza del
territorio, della gente e di certi ambienti è
fondamentale... Bisogna ristrutturare le squadriglie con
personale 'volontario', cinque o sei persone mandate anche
per più giorni fuori in un posto, per vedere se in
quella campagna transita qualcuno, perché se transita
ciò potrebbe avere un significato e voler dire alcune
cose".
L'obiettivo in tal senso
assunto dal Dipartimento della polizia di Stato, Direzione
centrale di polizia criminale, è quello di
ricostituire le "squadriglie antisequestro" utilizzando le
professionalità ancora presenti e le nuove che si
sono via via formate.
L'attività di
controllo deve sostanziarsi nella capacità di
"vivere", il territorio, conoscere le persone che lì
operano, lavorano e vivono.
Nelle zone impervie
del Supramonte in Sardegna, come in aree del la Toscana o
della Calabria, non è sufficiente operare con i
classici mezzi come il fuoristrada o l'elicottero, bisogna,
come si dice in gergo, "depositare" il personale e lasciarlo
agire in zone anche per più giorni in modo che si
riappropri del territorio, contatti i pastori che spesso
rimangono per mesi nelle zone.
Sul tema del
controllo del territorio c'è da notare come nella
provincia di Nuoro è stato promessa ma non ancora
attuata la riattivazione di un vecchio, ma ancora attuale,
programma predisposto dall'Arma dei carabinieri che
prevedeva la realizzazione di 10 casermette in altrettanti
punti nevralgici del territorio. Il completamento delle
strutture (attualmente ne sono state completate 6)
consentirebbe di collocarvi le squadriglie anticrimine la
cui forza si basa su 10-12 elementi e di avere sul
territorio una rete di presenze notevoli, da integrare con
il sistema delle stazioni dei Calabinieri e raccordate alle
autorità di polizia di Stato provinciali. E
indispensabile procedere in tempi brevi al completamento di
questo programma.
Oggi molte stazioni non sono
più attive 24 ore su 24: vi sono quelle definite di
prima fascia, aperte dalle ore 8,00 alle ore 11,00 e di
seconda che terminano la propria attività alle ore
22,00.
Soltanto il 25 per
cento delle stazioni è aperto 24 ore su 24.
Il tema richiama
all'esigenza di una più compiuta razionalizzazione
delle risorse e della loro ridistribuzione sul territorio.
Il prefetto Monaco,
vice capo della Polizia e direttore centrale della polizia
criminale, in occasióne della sua audizione, ha anche
segnalato, come elemento strategico nel potenziamento del
controllo del territorio, la recente direttiva del Ministro
e del Capo della polizia - direttore generale della pubblica
sicurezza - che ha riorganizzato i presidi del territorio in
Sardegna, alla stregua di quanto già predisposto in
Campania e in Sicilia e nella stessa Roma. I presidi avranno
come principale compito quello del controllo del territorio,
riconducendo tutte le altre attività alla struttura
centrale. Tra gli interventi più efficaci per
contrastare il fenomeno dei sequestri di persona viene
segnalata da tutti la "necessità" di un impulso forte
alla ricerca dei latitanti dal momento che i rapimenti "sono
effettuati da organizzazioni criminali che trovano il loro
punto di coesione nella presenza dei latitanti".
Il latitante non
può dedicarsi ad un tipo di attività che lo
metta in contatto con un centro abitato e con la
popolazione, e del resto il latitante, meglio di chiunque
altro, conosce la morfologia del territorio e quindi i
ricoveri dove custodire l'ostaggio. Sono esperti,
determinati, abituati a tempi lunghi e agli eventi
imprevisti e, da ultimo, la loro mancata presenza
dall'ambiente in cui normalmente vivono è chiaramente
un fatto che di per se stesso non desta sospetto.
Per tutte queste
ragioni, il latitante diventa un momento fondamentale di
riferimento per il sequestro di persona e tra i momenti
centrali della attività di prevenzione dei sequestri
di persona c'è da sottolineare "quello teso alla
cattura dei latitanti" che, nonostante recenti risultati
positivi, restano ancora molti. Precisamente quelli di
origine calabrese risultano essere complessivamente 70, dei
quali 8 compresi nell'elenco dei 30 più pericolosi,
anche se nessuno è ricercato per sequestro di
persona. In Sardegna, i latitanti sono 10, di cui 3
ricercati per sequestro di persona a scopo di estorsione e
compresi nei 30 più pericolosi a livello nazionale; 7
latitanti sono inclusi nell'elenco dei 500 e 5 di essi sono
ricercati per sequestro di persona.
Il contrasto del fenomeno va
fatto sul territorio e "necessita di un forte impegno
coordinato e sinergico tra le forze locali". A livello
centrale si possono dare inputs, far circolare le
informazioni, offrire l'esperienza e il supporto di elementi
che sul campo hanno maturato adeguato know how.
Purtroppo la
concorrenzialità tra le forze di polizia, un
malcelato e dannoso spirito di emulazione, alcune volte
fanno sì che le energie profuse non siano sommate. Lo
stesso magistrato che indaga, alcune volte, non è in
grado di conoscere tutti i dati acquisiti e ciò
è pernicioso per l'indagine, e rischia di ledere il
rapporto di fiducia con le famiglie.
Il dottor Pennisi, sostituto
procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, ha
ricordato come questo sia stato per molto tempo un vero
problema:
"Per
tanto tempo è sembrato decisivo, nell'economia delle
indagini relative ai sequestri di persona, quale fosse il
berretto che si metteva in testa all'ostaggio liberato.
Arrivava la televisione ed era importante vedere se il
berretto era della Polizia di Stato o dell'Arma dei
carabinieri e così via (oppure il giubbotto o la
giacca). Tutto questo poteva portare, e probabilmente ha
portato, ad una mancanza di coordinamento, allo svolgimento
di indagini autonome, per proprio conto, spesso anche
divergenti le une dalle altre. Dico "probabilmente",
perché non fa parte della mia esperienza diretta.
Infatti, da quando ha iniziato a operare la Direzione
distrettuale antimafia, questo non è successo, tutte
le forze dell'ordine hanno operato congiuntamente, in
maniera coordinata, con una direzione quasi dittatoriale da
parte dell'ufficio del pubblico ministero. Il coordinamento
tra le forze dell'ordine è pertanto indispensabile
per affrontare fenomeni criminali di questo tipo e dal
coordinamento dipende anche l'efficienza delle
azioni". Altro versante
dell'attività di prevenzione sono gli accertamenti
patrimoniali. Le risorse umane - magistrati e forze di
polizia - impegnate su questo versante sono ancora troppo
poche, il processo penale ne assorbe la maggior parte.
Eppure sul piano della prevenzione lo strumento è
importante perché per pervenire al risultato della
confisca e del sequestro dei beni, cioè
dell'aggressione al patrimonio delle organizzazioni
criminali, non è necessaria la stessa "forza",
indispensabile ad una condanna penale.
C'è da
sottolineare come in occasione dei sequestri la somma pagata
viene divisa tra più persone, per cui spesso non
c'è un "cambiamento" sostanziale nelle
possibilità economiche personali, tale da richiedere
giustificazioni particolari. E comunque un aspetto della
prevenzione, questo, che va affrontato decisamente,
perché l'eventuale presenza di modificazione dei
patrimoni, anche non ingenti, può essere un indice
dell'avvenuto pagamento del riscatto. In occasione
dell'audizione del dottor Vincenzo Macrì e del dottor
Palmeri della Direzione nazionale antimafia, è stato
portato a conoscenza che "in aderenza agli articoli 371-bis
del c.p.p. e 8 del decreto-legge 8 del 1991, si sta
studiando la creazione di vere e proprie strutture di
intelligence, cioè di strumenti investigativi
stabili, indipendentemente dal verificarsi di un sequestro
di persona, di alta professionalità, che operino fra
di loro in piena sintonia. Anche le forze di polizia hanno
sperimentato strumenti particolarmente sofisticati
(telecamere a raggi infrarossi, rilevatori di fonte di
calore), ma ne sono subito chiaramente apparsi i limiti,
data la conformazione del terreno dove vengono tenuti i
sequestrati che rende ancora "l'uomo" la risorsa
fondamentale, per la ricerca e l'osservazione.
Sul piano della
raccolta dei dati oggi l'obiettivo della DNA è quello
di ricreare una struttura che accumuli, anche attraverso
l'istituzione di una apposita banca dati, tutte le
informazioni possibili sui rapimenti così da poterli
mettere a disposizione, al momento opportuno, dei
Procuratori della Repubblica, che sono e debbono restare gli
unici titolari delle indagini.
La DNA ha istituito,
con provvedimento del 13 dicembre 1997, un apposito
servizio, di cui sono stati chiamati a far parte magistrati
che ben conoscono questo tipo di reato, in relazione alle
loro esperienze, così da creare un collegamento
investigativo nei distretti di Corte d'appello più
direttamente coinvolti: in Sardegna, in Calabria e in Lom
bardia.
La struttura mira "a
studiare il fenomeno sotto il profilo normativo e ad
approfondire le modalità per la migliore
realizzazione del collega mento delle attività
relative alla prevenzione e repressione del delitto".
Indubbiamente il
coordinamento delle indagini deve rimanere in capo al
Procuratore distrettuale che guida l'indagine sul
reato.
La DNA, come ha dichiarato
il dottor Fleury, "potrebbe raccogliere i dati, come
già avviene, attraverso il sistema SIDDA da parte
della Procura distrettuale, così da fornire, a
qualsiasi Procura distrettuale che vi faccia richiesta, il
necessario supporto informativo".
La DNA, in relazione
alla norma del lo comma dell'articolo 8 avente ad oggetto il
collegamento interforze delle attività relative alla
prevenzione e repressione del delitto di sequestro di
persona a scopo estorsivo e nel quadro dell'esercizio delle
funzioni di coordinamento e di impulso attribuite al
Procuratore nazionale antimafia dall'articolo 371-bis c.p.p.
- "ha organizzato con la DIA e con i Servizi centrali e
interprovinciali una serie di incontri nella prospettiva di
porre un rimedio alle manchevolezze che, purtroppo, si sono
riscontrate".
In particolare
l'obiettivo della DNA è "la creazione" di vere e
proprie intelligence, cioè di strumenti investigativi
stabili, di alta professionalità, che operino in
piena sintonia tra loro, senza riserve e senza
rivalità, individuando i migliori meccanismi di
contrasto sia sotto l'aspetto tecnologico, tenendo conto dei
continui progressi fatti dalla scienza nel campo delle
telecomunicazioni, sia approfondendo i temi della cattura
dei latitanti e degli accertamenti sui patrimoni.
Riassumendo, si ritiene di avanzare le seguenti
proposte:
aumento del controllo del
territorio attraverso il ripristino e la rivitalizzazione
delle squadriglie con una redistribuzione sul territorio del
personale dell'Arma dei carabinieri e della Polizia di Stato
tenendo conto delle loro articolazioni anche al fine di
permettere l'apertura degli uffici nell'arco delle
ventiquattr'ore; completamento degli organici delle forze di
polizia in Sardegna; conclusione del programma di
costruzione e apertura delle "casermette" dell'Arma dei
carabinieri in Sardegna;
mantenimento a livello
periferico dei nuclei interforze coordinati dai Procuratori
allorché si realizza un sequestro di persona;
costituzione, a livello di dipartimento della pubblica
sicurezza, di un gruppo di investigatori con profonda
conoscenza e professionalità sul tema dei sequestri
da affiancare ai nuclei periferici, quando se ne ravvisi la
necessità. Questo gruppo avrebbe il compito di un
continuo aggiornamento del personale, la raccolta di ogni
dato o elemento di conoscenza, nonché
dell'attività preventiva; rivitalizzazione presso i
servizi di polizia giudiziaria dei territori interessati ai
fenomeni dei sequestri di sezioni che svolgano
attività antisequestro; impulso nella ricerca dei
latitanti implicati nelle vicende dei sequestri; impulso
delle indagini patrimoniali; costituzione di una sezione DIA
in Sardegna; completamento degli organici dei magistrati,
degli uffici e dei distretti giudiziari delle realtà
maggiormente interessate al fenomeno; applicazione dei
magistrati delle Procure periferiche della Sardegna presso
la DDA di Cagliari.
Si condividono infine le
iniziative assunte dalla DNA e in particolare la
costituzione di un servizio a cui chiamare i magistrati dei
distretti di Corte d'appello più direttamente
coinvolti per creare un collegamento delle
attività.