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relazione sui sequestri di persona a scopo di estorsione
(Relatore: senatore Pardini)
PARTE OTTAVA

nel diritto penale sostanziale e nelle
norme procedurali idonee a
migliorare lo svolgimento delle indagini

Fin dall'inizio della sua attività di indagine il Comitato per i sequestri ha sentito sollevare il problema, da parte di tutte le personalità audite, soprattutto da parte dei rappresentanti delle associazioni ex sequestrati e contro i sequestri, del titolo del reato, che attualmente è collocato tra i delitti contro il patrimonio.
Ebbene, ci pare ragionevole accogliere i suggerimenti proposti, anche da alcuni disegni di legge presentati in Parlamento, perché si modifichi la collocazione sistematica del reato non più contro il patrimonio ma contro la persona, anche alla luce delle modifiche normative dell'articolo 630 c.p., che hanno spostato in tal senso l'attenzione sull'oggetto della tutela personale. Questa modifica, oltre a produrre sulla società anche un diverso impatto psicologico trasferendo contro la persona umana l'offesa subita, introduce una successiva modifica legislativa a nostro parere ben più significativa. Riteniamo, infatti, che si possa introdurre, nell'articolo 7 della legge 82/91, la possibilità di autorizzare il pagamento controllato anche al fine di salvaguardare la vita dell'ostaggio e di ottenerne la liberazione, purché in funzione dell'approfondimento delle indagini e della successiva cattura dei rapitori, cattura che non necessariamente si deve produrre all 'atto della consegna del riscatto, ma anche in seguito. Collegare la liberazione dell'ostaggio alle indagini è, come suggeriscono molti inquirenti- forze di polizia e magistratura - che hanno studiato a fondo il problema, l'unico modo per evitare da una parte di tornare ad un eccesso di discrezionalità del magistrato nell'applicazione del dispositivo, dall'altra per non rischiare che i sequestratori utilizzino fin da subito metodi di pressione, quali mutilazioni o violenze in genere. D'altra parte tutti gli inquirenti, magistrati e forze dell'ordine, auditi dal Comitato hanno ascritto una notevole importanza, ai fini investigativi, alle dichiarazioni rese dagli ostaggi una volta liberati. Il dottor Fleury ha definito "una miniera di notizie" quanto un ex sequestrato è in grado di raccontare e quindi riteniamo che sia estremamente importante, ai fini dell'implementazione delle indagini, favorire appunto, anche attraverso una specificazione nel dispositivo di legge, la liberazione dell'ostaggio mediante il pagamento controllato. Agendo in questa maniera è ragionevole pensare che vengano inoltre superati molti degli ostacoli, delle diffidenze, che quasi sempre si sono prodotti tra inquirenti e familiari. Silvia Melis ha dichiarato che "mentre ai magistrati e ai carabinieri interessava catturare i rapitori, alla mia famiglia interessava soprattutto liberare me".
Ebbene, questa che appare una sostanziale divergenza di obiettivi, anche se nella realtà non è tale, e che costituisce la base di tentativi di contrattazione parallela, di depistaggi delle indagini e di interferenze le più varie, può essere risolto esplicitando, nelle motivazioni per il pagamento controllato, proprio la liberazione dell'ostaggio. Dalla lettura del provvedimento di richiesta del pagamento controllato del procuratore Tarquini e dell'autorizzazione del GIP di Brescia, si evince come la liberazione del signor Soffiantini fosse considerata l'obiettivo, anche perché questo avrebbe perrnesso poi una accelerazione delle indagini
(vedi allegato 1). Riteniamo che questa sia la vera arma legislativa per fare accettare sul piano sociale il concetto di 'blocco dei beni', che, da un dispositivo come sopra proposto, non subirebbe oltretutto alcuna riduzione di significato. Il 'blocco dei beni' è infatti disposto dal magistrato principalmente a difesa della famiglia del sequestrato, perché toglie la stessa dalla mercé dei sequestratori; diversamente, come del resto tanti casi hanno dimostrato in passato, non si vede perché i sequestratori dovrebbero limitarsi ad una prima o seconda richiesta di riscatto. A questo proposito va ricordato quanto detto da Cesare Casella:
"Vi prego non togliete il blocco dei beni, altrimenti i ricatti non finiranno mai".

Questa norma del blocco, da alcuni oggi contestata, ha, come abbiamo descritto nella prima parte della relazione, un ulteriore effetto e cioè quello di abbassare sensibilmente il prezzo del riscatto, mettendo la famiglia nelle condizioni di non poter disporre di grosse somme. Del resto, proprio con tale finalità, come ha riferito il dottor Manganelli, veniva disposto il blocco dei beni dai magistrati, quasi sempre con il pieno accordo dei familiari, anche prima del '91. Rimuovere il blocco dei beni al fine di liberare il sequestrato deve restare una possibilità unicamente nelle mani del magistrato e con un fine ben preciso: le indagini; in tal modo non solo non viene lasciata sola la famiglia nella trattativa, ma la normativa stessa costituisce una formidabile arma di solidarietà tra inquirenti e familiari. Ancora il dottor Manganelli ha messo in guardia il Comitato dal proporre una revisione dell'articolo 7 della legge 82/91 che formalizzi la liberazione dell'ostaggio come fine esclusivo del pagamento controllato perché questo fatto "è pericoloso farlo sia per un segnale di inversione di tendenza che potrebbe dare e sia per il fatto che legare l'apertura della finestra al pericolo della vita dell'ostaggio significa aprire non solo le porte ma anche le finestre, i balconi e tutto il resto. Insomma, io non vorrei che domani oltre ai lobi delle orecchie cominciassero ad arrivare le dita, le mani o le braccia. Questo significherebbe aprire la strada ad una pressione: chiunque sa che i beni si sbloccano mettendo in pericolo la vita dell'ostaggio potrebbe farlo. Il pericolo per la vita dell'ostaggio deriva dalla sua condizione: l'ostaggio muore perché non ha le medicine al momento giusto, perché riconosce il bandito, perché deve morire o perché succedono delle cose durante i trasferimenti; si tratta di situazioni fisiche che in molti casi hanno determinato la morte dell'ostaggio".

La misura del blocco dei beni così modificata non ridurrebbe la sua forza in termini di dissuasione, di scoraggiamento al commettere il crimine, perché al contrario fornirebbe al magistrato il controllo certo e assoluto di qualunque tipo di pagamento, perché, evidentemente, la famiglia non avrebbe più alcun interesse ad attivare suoi canali alternativi di abboccamento con i sequestratori. Privati di questi canali alternativi, privati della possibilità di gestire in proprio il pagamento del riscatto, i rapitori diventerebbero estrema mente deboli proprio nei due momenti in cui maggiormente esercitano un grande elemento di pressione sulle famiglie: il primo, quando impongono la trattativa occulta, minando il rapporto fiduciario tra famiglia e inquirenti, l'altro quando stabiliscono, a loro piacimento, le modalità di pagamento. In entrambi questi momenti i sequestratori agiscono attraverso la figura dell'emissario, figura emblematica nel rapimento sardo, praticamente sconosciuta nelle altre tipologie del reato e di cui abbiamo ampiamente parlato in altra parte della relazione. Già questa considerazione è meritevole di attenzione: perché esclusivamente il rapimento di matrice sarda vede all'opera in maniera costante la figura dell'emissario, del mediatore? Perché questa invece nel rapimento calabrese non è istituzionalizzata? Non è facile dare una risposta che sia semplice e risolutiva, dato che la figura stessa dell'emissario è strettamente legata al fenomeno dei rapimenti in Sardegna e si ricollega a quanto dicevamo nell'introduzione, cioè alle tradizioni del mondo agro-pastorale in cui questo reato è nato e si è sviluppato quale diretta continuazione dell'abigeato. Certo è che, soprattutto negli ultimi casi di sequestro in Sardegna, si è configurata una chiara tendenza alla "professionalizzazione" del mediatore. Mentre in passato questo poteva essere un amico di famiglia, un parente, a volte addirittura un sacerdote, che costituiva duplice garanzia: nei confronti della famiglia circa la vita dell'ostaggio, in quelli della banda, circa il pagamento del riscatto; oggi la situazione è diversa. Spesso il mediatore di un rapimento è stato poi trovato coinvolto con un ruolo attivo in un altro caso di sequestro di persona, a realizzare quindi un quadro di mobilità di ruoli all'interno di bande dedite a questo tipo di reato. Soprattutto dopo l'introduzione della legge sul sequestro dei beni, essendo punita l'azione del mediatore, è evidente che tale tipo di intervento è gravato di un tale rischio che non si vede come esso possa essere considerato possibile da chi non fa parte dell'organizzazione stessa, con appunto un ruolo preciso, quello dell'emissario.

A questo proposito è istruttiva la lettura degli atti del dibattimento in corso a Cagliari per il sequestro della signora Licheri, dove il testimone Gaddone viene chiaramente indicato dal PM dottor Mura non tanto come l'emissario per la trattativa, ma realmente come complice dei sequestratori, col ruolo di mediatore o percettore del riscatto. Vi sono ragionevoli sospetti per ritenere che anche figure clamorose di emissari coinvolti negli ultimi casi di sequestro possano avere avuto un ruolo attivo, se pur a livello diverso da quello operativo della banda, nella realizzazione del reato. Senza di loro non si potrebbe accedere al pagamento del riscatto, che oggi deve avvenire soprattutto con ogni garanzia per i sequestratori più che per la famiglia, data la pressione che le indagini sono in grado di creare. Garanzia questa che pare si estenda anche al dopo sequestro e alla eventualità che la banda venga arrestata, se non vogliamo considerare casuale che, sia nel caso Vinci che in quello Soffiantini, gli ex sequestrati non si sono costituiti parte civile nel processo. Potremmo arrivare a dire, condividendo l'opinione espressa da autorevoli esperti di sequestri sardi, che probabilmente non esisterebbero più sequestri in Sardegna se si togliesse di mezzo la figura dell'emissario, come del resto anche l'esperienza calabrese insegna. Pur condividendo l'idea del dottor Pennisi, e cioè che i sequestri in Calabria sono scomparsi perché la resa economica è poco interessante per la 'ndrangheta, è pur certo che questi si sono interrotti, per lo meno quelli con certe caratteristiche organizzative, proprio in concomitanza con la legge del 1991 e soprattutto perché il reato si è dimostrato poco appagante anche in termini penali: circa L'80 per cento dei responsabili di sequestri sono stati catturati e condannati.

In Sardegna, invece, la figura dell'emissario ha subìto una modificazione nel senso di una sua specializzazione, se così possiamo dire, al punto che in alcuni casi ne è stata tentata l'esportazione, se pur senza successo. Riteniamo importante non solo mantenere, come previsto dalla normativa in vigore, la punibilità di chi a qualunque titolo intralcia le indagini, ma proponiamo di individuare con precisione la condotta del mediatore, che procede al pagamento non autorizzato del riscatto, perché venga punito a titolo di concorrente nel reato di sequestro di persona. Un ulteriore significativo intervento legislativo, nell'ottica di rendere più agevole la persecuzione e la punibilità di colui che si frappone tra gli investigatori, le famiglie ed i rapitori, sarebbe quello di estendere la portata dell'articolo 12-quinquies della legge 7 agosto 1992 n. 356 anche al reato di sequestro di persona a scopo di estorsione (in aggiunta, quindi, alle ipotesi già previste di ricettazione, riciclaggio e relative alla punibilità di chi impiega somme di denaro, beni, utilità di provenienza illecita): questo articolo prevede, infatti, che possa essere comminata una pena da due a sei anni di reclusione a chiunque "attribuisce fittiziamente ad altri la titolarità o la disponibilità di denaro, beni od altre utilità al fine di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli articoli 648, 648-bis e *er c.p.". La previsione espressa del reato di sequestro di persona a scopo di estorsione renderebbe punibili tutte quelle condotte di intermediazione o di partecipazione nel reato qualificate da un rapporto diretto del soggetto con il denaro destinato al pagamento del riscatto. D'altra parte, in materia di norme applicabili alle ipotesi di sequestro di persona a scopo di estorsione, il successivo articolo 12-sexies della legge citata, disciplinando "casi particolari di confisca", indica, tra le ipotesi, anche la condanna per il reato di cui all'articolo 630 c.p., disponendo che "è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o del le altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giulidica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito dichiarato ai fini delle imposte sul reddito o alla propria attività economica".

Una modifica legislativa che ci pare condivisibile è quella, suggerita ancora da alcuni disegni di legge giacenti in Parlamento, di rendere maggiormente punibile il sequestratore che produce lesioni all'ostaggio. E infatti ormai una triste costante di questo reato la mutilazione dell'ostaggio o comunque l'abitudine di sottoporlo a continue, gratuite e inaudite violenze fisiche e psicologiche. Tali condotte non possono non aggravare la situazione processuale del responsabile, ma devono anche impedire poi che allo stesso si possano applicare eventuali benefici penitenziari. Un ulteriore livello legislativo su cui agire riteniamo sia quello che consenta di favorire, ancor più concretamente di quanto già fa la legge 82/91, la dissociazione e il ravvedimento di chi ha partecipato al sequestro. Riteniamo del resto che, come avvenuto durante il periodo del terrorismo, sia compito dello Stato tentare di disarticolare direttamente i legami che tengono insieme le bande di sequestratori e l'unico sistema che fino ad ora si è dimostrato efficace è proprio rendere estremamente significativo il premio per colui che si dissocia. Dissociazione che deve essere chiara, completa, deve contribuire realmente alla liberazione dell'ostaggio e alla risoluzione dell'indagine in tutti i suoi aspetti e deve prevedere che il "pentito" non abbia commesso a sua volta violenza di alcun tipo sull'ostaggio. Non sarebbe del resto comprensibile alcuna forma di indulgenza per chi, pur dissociatosi, avesse portato a termine azioni di violenza fisica sul rapito. Inoltre va rotto quel legame omertoso, solidaristico che spesso lega le bande di sequestratori a chi consente loro di mantenersi in latitanza, a chi rifornisce loro vitto, abiti, soluzioni logistiche. Si potrebbe ipotizzare, ad esempio, di trovare gli strumenti legislativi per superare la possibilità che alcuni testimoni, quali i parenti, si rifiutino di deporre, per esempio, abolendo il comma 2 dell'articolo 3 della legge 82/91, anche se ci rendiamo conto della delicatezza dell'argomento. Abbiamo appreso che oggi i sequestri vengono compiuti anche in ambienti urbani, approfittando della solidarietà complice di parenti ed amici. Molti sequestrati hanno riferito di avere abitato, almeno per certi periodi, in case riscaldate, di aver mangiato pasti cucinati in genere: ebbene, ciò è possibile solo mediante anche l'intervento di donne, magari parenti dei sequestratori. Obbligare queste persone a testimoniare, quando non ne fossero manifeste e quindi perseguibili le complicità, riteniamo possa essere un'arma importante, non solo per le indagini, ma anche per creare veri ostacoli logistici alla commissione di questo reato. Infine, e ci rendiamo conto di toccare un punto molto delicato, sarebbe probabilmente opportuno sanzionare con maggior rigore chi, venuto a conoscenza di particolari circa un sequestro, non riveli quanto saputo alle autorità inquirenti, come del resto già previsto dall'articolo 3 della legge 82/91. Sbloccare l'omertà, favorire e, dove occorre, obbligare le testimonianze e le dissociazioni, riteniamo possano essere alcuni interventi legislativi utili ad affrontare in maniera certo radicale, ma forse più decisa un reato così odioso come il sequestro di persona. Nella fase delle indagini preliminari potrebbe valutarsi la possibilità di restringere l'accesso al giudizio abbreviato, che comporta in caso di condanna una riduzione di un terzo della pena, per 630 c.p. e altri gravi reati quali quelli indicati all'articolo 4-bis Ord. pen. e 407 c.p.p. Sugli strumenti operativi e preventivi, in altre parti della relazione, abbiamo già svolto alcune riflessioni, tuttavia è giusto precisare ulteriormente alcuni punti. Innanzitutto non riteniamo si debba procedere, come per la verità da alcuni auspicata, alla istituzione di un nucleo stabile, centrale di indagine sui sequestri di persona, che divenga, in caso di necessità, dominus delle indagini.

Riteniamo, come già detto, che debbano continuare ad essere le DDA presso le Procure protagoniste e titolari delle indagini, ben sapendo che compete ad un procuratore distrettuale coordinare le indagini per questo tipo di reato. Tuttavia i nuclei interforze che il Ministro dell'interno insedia, quando si verifica un sequestro, debbono prevedere l'utilizzo, anche attraverso le applicazioni e i trasferimenti temporanei, tutte le migliori professionalità disponibili. Inoltre la DNA dovrebbe, come del resto già fa ora, mettere a di sposizione delle DDA non solo tutti i dati di cui la costituenda banca dati nazionale dispone, ma anche, se necessario, distaccare un suo magistrato particolarmente esperto in materia, allo scopo di coordinare il la voro inquirente, esperienza del resto già vissuta, ad esempio, durante le indagini del caso Soffiantini. E pertanto auspicabile che alla DNA vengano attribuite le prerogative atte a rendere effettive ed efficaci queste funzioni di coordinamento. Dal punto di vista delle dotazioni strumentali sarà sicuramente interessante seguire i progressi della tecnologia, anche se, come riferito da più esperti, anche nel passato molte speranze riposte nella strumentazione sono cozzate contro difficoltà logistico-ambientali, per il momento ancora difficilmente superabili.

Sul piano più generale abbiamo già parlato di piani di ristrutturazione delle squadriglie antisequestro, sulla apertura di un maggior numero di caserme dei Carabinieri nelle zone più a rischio, insomma quello che auspichiamo è una maggiore razionalizzazione dell'utilizzo delle risorse umane sul territorio, così che non vi sia una eccessiva concentrazione nelle zone urbane, di carabinieri, di uomini della polizia e della Guardia di finanza, ma vi sia una loro razionale distribuzione sul territorio extraurbano, perché venga fortemente rilanciata la ricerca dei latitanti. Va caldeggiata a questo scopo - come si è già accennato - la costituzione di una centrale DIA in Sardegna. Ancora vanno fortemente intensificate le presenze di magistrati nelle zone più a rischio, quindi negli uffici e nei distretti giudiziari sardi e calabresi maggiormente esposti a questo tipo di reato, dando assoluta priorità alla copertura degli organici nelle realtà più disagiate, incentivando l'applicazione di magistrati del pubblico ministero di uffici periferici presso la DDA, di uomini della Guardia di finanza, così da incrementare le purtroppo relativamente scarse indagini patrimoniali, che in questo campo sono difficili ma indispensabili. A conclusione di questo paragrafo circa l'organizzazione delle indagini e l'implementazione degli strumenti preventivi, ci sembra doveroso accennare a due aspetti, spesso misconosciuti, ma fortemente sottolineati da famiglie ed ex sequestrati. Il primo aspetto da considerare è quello della "fuga di notizie" e quindi il ruolo dei mezzi di informazione nei casi di sequestro di persona. Se da una parte è doveroso accertare le responsabilità delle fughe di notizie e sanzionare pesantemente gli eventuali autori, dall'altra è indispensabile richiamare i media ad un particolare codice deontologico in questi frangenti. È da ricordare come una notizia apparsa sui giornali, quando doveva restare segreta, è costata la seconda mutilazione a Giuseppe Soffiantini. Non diciamo si debba ricorrere a norme legislative che regolamentino in forma restrittiva quella che deve restare una assoluta libertà di stampa, se pur contemperata dal divieto di pubblicazione degli atti di indagine, riteniamo però che la particolarità di questi avvenimenti richieda una particolare sensibilità da parte di tutti i mezzi di informazione.

Il secondo aspetto sottoposto al Comitato, soprattutto durante l'audizione a Nuoro di Giuseppe Vinci, è stato quello di una particolare attenzione da parte del Ministero delle finanze nei confronti delle famiglie costrette a pagare ingenti riscatti ove essi avvengano nell'ambito del pagamento controllato. Questo potrebbe costituire un forte incentivo per le famiglie alla collaborazione con gli inquirenti e a non ricercare nelle zone grigie canali altemativi di pagamento del riscatto. Ci rendiamo conto che la materia è estremamente delicata e particolarmente pericolosa, per il rischio di abusi, e tuttavia riteniamo giusta una riflessione sulla materia da parte degli organismi competenti, ai quali si chiede sensibilità e ragionevolezza, anche dopo la soluzione di un caso di sequestro di persona, nello studiare meccanismi fiscali che tengano conto delle particolari condizioni economiche delle famiglie e non gravino come ulteriore balzello su economie già provate.