2013, Bersani imbarca tutti

di Marco Damilano
Vendola, certo. ma anche Rutelli, i socialisti, i verdi, i transfughi dell’Idv e qualche ‘tecnico’. Per arrivare alle elezioni con un listone che faccia il pieno a sinistra. E subito dopo allearsi con il centro di Casini e Passera

La ricetta, in fondo, è di una semplicità assoluta. «Ragazzi, si vince a sinistra». Ovvio se a dirlo è il segretario del principale partito di sinistra, un emiliano di 61 anni, eletto consigliere della regione rossa per eccellenza nel 1980 sotto il simbolo del Partito comunista italiano? Mica tanto, se in quasi settant’anni di storia repubblicana non è mai successo. Perché quando il centrosinistra ha vinto, nel 1996 e nel 2006, il candidato premier era il cattolico Romano Prodi. E quando si è presentato con il volto di un ex esponente del Pci, versione Massimo D’Alema (regionali 2000) o Walter Veltroni (2008), ha sempre perso.

Tocca a Pier Luigi Bersani provare a riuscire dove i suoi predecessori hanno fallito, con una lunga campagna elettorale in due tappe: le elezioni primarie e il voto politico. La lunga rincorsa del leader del Pd è cominciata sabato 25 agosto all’inaugurazione della festa di Reggio Emilia, dopo la vacanza in Sicilia, sulle coste siracusane, con sosta alla raffinata vineria-libreria Liccamuciula di Marzamemi dove il segretario ha affidato al registro dei visitatori il suo apprezzamento: «Un posto speciale». Quasi uno strappo alla regola per lui che predica, ostenta, rivendica la normalità. Il Candidato Bersani va all’arrembaggio di Palazzo Chigi senza effetti speciali,«senza promettere nulla, senza miracoli, senza contratti con gli italiani e senza sogni irrealizzabili. Da garantire c’è solo il mio impegno». Una promessa, però, almeno una, il segretario-candidato ha in mente di farla, quando verrà il momento. Ed è di quelle capaci di rovinare il sonno ai potenziali alleati e ai notabili del Pd. Se toccherà a lui formare il nuovo governo, saranno tenuti lontani dai ministeri i vertici dei partiti. Paradossale che a progettare un’esclusione così clamorosa sia proprio un politico di professione che intende chiudere con la stagione dei tecnici e conquistare la premiership come capo del partito di maggioranza relativa. Ma Bersani ricorda bene l’esperienza dell’ultimo governo Prodi, dove tutti i partiti avevano piazzato i loro numeri uno: Rutelli, Pecoraro Scanio, Di Pietro, Mastella, D’Alema… E non intende ripetere l’errore: in un eventuale governo Bersani non ci saranno segretari che si improvvisano ministri. Fuori i partiti, dentro i politici competenti, amministratori, soprattutto. «Ci saranno sorprese», assicura, manco fosse un rottamatore.

Con Matteo Renzi che ha rotto gli indugi e ha finalmente annunciato che sfiderà Bersani alle primarie, a dispetto delle apparenze, c’è simpatia. Telefonate, sms, amichevoli sfottò. Il riconoscimento che il sindaco di Firenze, in ogni caso, è un dirigente del partito, «uno della Ditta», un bel rompiscatole, d’accordo, ma almeno non conformista. A dispetto di quello che dicono i colonnelli bersaniani, a partire da Stefano Fassina per cui il rottamatore è qualcosa di simile al male assoluto: un portaborse, un figlio di papà, un infiltrato della destra. Ma l’insospettabile feeling di Bersani con lo sfidante Renzi ha una ragione tutta politica: l’ingresso nella mischia per le primarie del sindaco in maglietta viola restituisce calore a una competizione altrimenti spenta e scontata. «Anche perché, senza coalizione, non ha senso fare le primarie per eleggere un candidato premier», fanno notare i più maliziosi: «Al massimo si sceglie il capolista». Primarie farsa? Sarà, ma intanto la competizione con Renzi ha come gradito effetto per Bersani il ricompattamento dell’intero gruppo dirigente attorno a lui, nonostante le rivalità e le ambizioni post-elettorali dei notabili di sempre. E la vittoria sarebbe la consacrazione per il leader senza carisma.

Per questo Bersani che ha sempre giurato di detestare la personalizzazione della politica, che ha dichiarato di non voler mai e poi mai il suo nome sul simbolo elettorale del Pd, l’uomo che su di sé ironizza, «sono moderatamente bersaniano», si prepara a investire ogni risorsa sulla sua persona. Tutt’altro che moderata, molto bersaniana.

2 Comments

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