Ilva, il gip respinge il piano dell’azienda. “Non c’è spazio per proposte al ribasso”

Ilva, il gip respinge il piano dell’azienda. “Non c’è spazio per proposte al ribasso”

Ilva, gip respinge piano dell’azienda “Sulla vita non si può mercanteggiare”

Il giudice Patrizia Todisco ha detto no al piano formulato dall’Ilva di 400 milioni di interventi immediati per il risanamento degli impianti inquinanti. I lavoratori protestano: “Noi non siamo contro la magistratura.Vogliamo che lo Stato ci dia risorse per fare acciaio pulito come nel resto d’Europa”

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 26 settembre 2012

Il piano dell’Ilva di Taranto “è inadeguato”, “non c’è spazio per proposte al ribasso” e i beni in gioco, come la salute, l’ambiente, lo stesso diritto al lavoro, “non ammettono mercanteggiamenti”. Il no del gip Patrizia Todisco all’Ilva è arrivato, è nero su bianco, depositato in cancelleria. Il gip si allinea al no già espresso qualche giorno fa dalla Procura. E’ un doppio no quello del magistrato: all’istanza con cui l’Ilva aveva chiesto la possibilità di continuare a produrre, sia pure ad un passo di marcia ridotto, e al piano aziendale da 400 milioni di euro relativo agli investimenti per mettere a norma lo stabilimento e abbattere le emissioni inquinanti. Primi investimenti, ha detto sempre Ferrante, in attesa di avere il quadro della nuova Autorizzazione integrata ambientale e quindi programmare altri investimenti e ulteriori spese.


Già la Procura giorni fa aveva ritenuto inadeguato il piano dell’ilva, rilevando che alcuni degli interventi proposti risalivano addirittura agli atti d’intesa firmati dall’azienda con la Regione Puglia negli anni 2007-2008. Interventi rimasti sulla carta, inattuati. Questo, secondo i magistrati, è uno degli aspetti che rende poco credibile il piano dell’Ilva, mentre Bruno Ferrante, presidente dell’Ilva, ancora ieri l’aveva definito “serio, concreto e responsabile”. Il gip, quindi, sottolineano ora i sindacati, non ha fatto altro che confermare la contrarietà espressa dalla Procura ma anche dai custodi, cui sono affidate le aree sequestrate del siderurgico, i quali per conto della stessa Procura hanno compiuto una valutazione tecnica del piano. E ora, messo nell’angolo il piano Ilva da 400 milioni, resta in piedi quello dei custodi. Un piano dal segno diverso, però, visto che prevede lo spegnimento degli impianti e il loro rifacimento. I custodi l’hanno consegnato all’Ilva diversi giorni fa e poi hanno anche inviato una sollecitazione affinché l’azienda procede.

L’ennesimo no al piano
Il “Piano di investimenti immediati” redatto dall’Ilva è stato consegnato il 18 settembre scorso dal presidenteFerrante in procura. Il piano non è piaciuto da subito: non convinse neppure i sindacati, che già il 18 settembre all’uscita dall’incontro con Ferrante che glielo aveva presentato, giudicarono “inadeguate” le risposte dell’azienda rispetto alle indicazioni operative già allora formulate dalla Procura. Poi, il piano non è piaciuto agli ingegneri-custodi giudiziari Barbara ValenzanoEmanuela Laterza e Claudio Lofrumento, che il 20 settembre si espressero per una bocciatura sostanziale in un documento contenente una relazione tecnica e consegnato al procuratore di Taranto, Franco Sebastio, e ai pm che si occupano dell’inchiesta per disastro ambientale a carico dell’Ilva. Il giorno dopo giunse il “no” della procura sia al piano sia alla richiesta aziendale di mantenere una capacità produttiva minima per tenere in equilibrio la tutela dell’ambiente e del lavoro.

Cosa prevede il piano
Il piano consegnato dall’azienda prevede un impegno finanziario di 400 milioni di euro, 146 dei quali già impegnati per interventi in corso o programmati. Troppo poco, sembra a tutti coloro che si sono espressi negativamente. Troppo scarsi gli investimenti previsti soprattutto rispetto alla direttiva consegnata poche ore prima, la sera del 17 settembre, dai custodi giudiziari all’azienda, nella quale si indicavano dettagliatamente tutti gli interventi da eseguire per risanare l’area a caldo del Siderurgico.

Gli interventi previsti dall’azienda nel Piano avrebbero una durata variabile da un anno, per i più semplici, a quattro anni per quelli più complessi. La vera novità del Piano aziendale riguarda i parchi minerali, per i quali l’Ilva ha affidato uno studio finalizzato ad un progetto di copertura dell’area (70 ettari).

Questo piano prospetta lo stop di cokerie, degli altiforni 1 e 5, dell’acciaieria 1. Stop preliminare ai lavori di messa a norma. Invece per l’altoforno 3, che è già fermo, i custodi chiedono o dismissione o rifacimento. Ed è temendo l’avvio concreto di questo piano che ieri sera un gruppo di lavoratori è salito su una torre dell’altoforno 5 a 60 metri di altezza, rimanendovi tutta la notte, alternandosi in gruppo.

Verso lo sciopero per domani
”Stiamo lavorando per cercare di fare uno sciopero nella giornata di domani, ma ne stiamo ancora discutendo e attendiamo di incontrare questo pomeriggio alle 16 il presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante”. Questa la dichiarazione del segretario provinciale della Fim Cisl, Mimmo Panarelli, dopo aver parlato con i delegati di fabbrica che questa mattina hanno avuto un confronto con il dirigente del personale dell’acciaieria.

Quanto al fatto che l’azienda stia consentendo ai lavoratori di entrare e uscire dallo stabilimento lasciando i reparti, Panarelli afferma che si tratta di una scelta che non condivide. “Per noi – ha aggiunto – i lavoratori devono tornare sugli impianti a lavorare. E’ il sindacato che deve decidere se proclamare azioni di lotta”. C’è da attendere anche per la Fiom: “Se ci fossero risposte insufficienti da parte dell’azienda, so che il mio interlocutore diventa la mia controparte e ci saranno conseguenze”.

L’operaio a Clini: “Quanto vale la mia vita?”

“Vorrei sapere dal ministro Clini e da Riva: quanto vale la mia vita e quanto vale quelle dei miei figli?” chiedeCataldo Ranieri, un operaio dell’Ilva componente del Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti che, insieme con un gruppo di compagni di lavoro, si trova davanti allo stabilimento. “Noi non siamo contro la magistratura – chiarisce – Vogliamo che lo Stato ci dia risorse per fare acciaio pulito come accade nel resto d’Europa, e non bastano 400 milioni di euro. Non siamo noi di certo – aggiunge – a volere la chiusura dello stabilimento, è Riva che vuole la chiusura se non mette i soldi. E chi non mette i soldi per far si che i nostri colleghi, che noi tutti, non si muoia a 50 anni: ogni giorno noi qui, vediamo davanti alla fabbrica manifesti listati a lutto. Questo è giusto?”.

Clima teso, proteste, sciopero della fame e della sete
E’ sempre più teso, intanto, il clima dentro e fuori lo stabilimento siderurgico. Stamani 9 operai sono saliti sulla passerella in cima al camino E312 dell’area agglomerato dove si sono incatenati esponendo tre striscioni di protesta. I nove operai si aggiungono ai gruppi – cinque a turno – che da ieri sera si stanno alternando in presidio sulla torre di smistamento dell’altoforno 5, il più grande d’Europa, uno degli impianti sotto sequestro perché inquinanti. L’altoforno 5, con l’altoforno 1, secondo le disposizioni dei custodi giudiziari, va spento e sottoposto a rifacimento. Uno dei manifestanti dell’Afo5 ha consegnato una lettera al segretario provinciale della Uilm di Taranto, Antonio Talò. “Aiutateci, non spezzate il mio futuro”, scrive tra l’altro l’operaio. Gli operai sulla passerella del camino hanno annunciato lo sciopero della fame e dellasete.

In fabbrica, vicino alla direzione di stabilimento, almeno un centinaio di lavoratori si è radunato in attesa della decisione del gip; un presidio di operai c’è anche all’esterno della fabbrica. E’ in corso una riunione delle segreterie provinciali di Fim, Fiom e Uilm per decidere le iniziative da intraprendere. Per il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti, quello dell’Ilva “è un problema drammatico, un problema che sarà dieci volte più grave di quello della Fiat in termini di impatto sociale, di perdita della ricchezza, di occupazione e di competitività di questo paese”. “Magari – ha aggiunto Angeletti – se ci fosse una certa proporzione di attenzione tra quello che avviene all’Ilva e quello che avviene alla Fiat questo Paese andrebbe un po’ meglio”.

“La protesta degli operai? Esprime l’esasperazione in fabbrica”
La Fiom appare preoccupata. Il segretario provinciale Donato Stefanelli denuncia che “1uello che è accaduto, con la decisione di alcuni operai, di salire sull’altoforno e il camino è l’espressione della esasperazione che c’è in fabbrica”. “Si tratta – ha aggiunto – di manifestazioni incontrollate. Poco fa, alcuni operai sono saliti anche sulle passerelle della batterie e poi sono scesi, e siamo preoccupati, siamo preoccupati per la situazione di pericolo in cui si possono trovare questi operai”.

“E’ arrivato il momento – dichiara il sindacalista – di fare le assemblee e decidere insieme ai lavoratori cosa fare. Non è più rinviabile”. Secondo il segretario provinciale della Fiom, inoltre, “non bisogna bloccare la città, tra i lavoratori e la città bisogna costruire ponti del dialogo”. Di qui un appello forte alla città: “Non bisogna lasciare soli questi lavoratori. E’ il momento di parlarsi e non di contrapporsi; occorre il dialogo e non bisogna scavare le trincee”.

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