«Troppo cara per lei», borsa negata a Oprah

Svizzera, la star della tv Usa: «Un caso di Schermata 2013-08-10 a 14.07.59razzismo»

banner_corseraLa borsa costava 35 mila franchi (38 mila dollari). Quello che Oprah Winfrey guadagna, sonno incluso, in poco più di mezz’ora. Però Oprah, a Zurigo per il matrimonio dell’amica Tina Turner, 360 milioni di dollari di reddito annuo e 2,7 miliardi di patrimonio, il volto più noto e potente della tv Usa, al Trois Pommes non è stata riconosciuta. E allora si è presa la sua rivincita. Un po’ come Julia Roberts nella scena cult di Pretty Woman , quando dopo uno shopping spudorato a Beverly Hills ritorna vestita da signora nel negozio che l’aveva cacciata e, cinque borse in mano, fulmina la commessa esterrefatta che si era rifiutata di servirla: «Lei lavora a percentuale vero? Bello sbaglio».

Ebbene, Oprah offesa è andata alla trasmissione tv di Larry King e si è vendicata della Svizzera: «Potevo tirar fuori la carta di credito nera e tutto quanto… Invece me ne sono andata. Certo che esiste, il razzismo. Eccome se esiste». Colpito, e affondato, un intero Paese. La proprietaria del negozio di Zurigo, Trudie Götz, ha telefonato alla Bbc , si è scusata in diretta parlando di fraintendimento. La ragazza, ha provato a spiegare, è italiana e non parla bene l’inglese. Anzi di solito non sta neppure a Zurigo ma a Saint-Moritz, frequentata da italiani. È bravissima e (come le commesse di Pretty Woman ) «riveste i clienti da capo ai piedi». Ieri mattina, con Oprah si è scusato il capo dell’Ufficio del turismo svizzero.

Però quel bollino di razzismo è difficile da lavare,l’accusa è entrata in circolo, l’intervista di Oprah è stata diffusa dalle emittenti di mezzo mondo. Tanto più che sulla Svizzera si erano aperti i riflettori ed erano piovute le critiche già nei giorni scorsi. Si è scoperto infatti che Bremgarten, 6.500 abitanti sotto le Alpi, vieta ai 150 rifugiati – che pure ospita – di frequentare i campi sportivi e le piscine. Non solo. Nel paesino che ha poco da offrire oltre alla chiesa e al municipio sono state delineate 30 zone (scuole, piazze, casa di cura per gli anziani) dove l’accesso ai profughi è limitato o concesso solo a determinate condizioni. «È per tutelare l’ordine pubblico, funziona benissimo», spiega il sindaco, stupito dello scandalo. L’idea della segregazione, dopotutto, non è sua, lui l’ha semplicemente copiata. Le zone no-profughi esistono in altri comuni, da Eigenthal e Nottwill a Lucerna a Alpnach nel cantone di Obwalden.

E allora la Svizzera, con 48.000 persone in cerca d’asilo, il doppio della media Ue, un porto sicuro per tanti perseguitati e emigrati celebri del Novecento, il Paese della Convenzione di Ginevra, delle organizzazioni internazionali e delle iniziative di pace, sta veramente diventando insofferente? Meno tollerante, più simile al Paese immaginato nei manifesti elettorali del partito anti-immigrati di Christoph Blocher di qualche anno fa, dove la «pecora nera» veniva espulsa con un calcio nel sedere? Due mesi fa, un referendum approvato con il 78% di sì ha molto inasprito le condizioni per ottenere l’asilo. L’agenzia Onu per i rifugiati, Unhcr, protesta da tempo per il trattamento dei profughi, il Consiglio svizzero per i rifugiati definisce le aree no-profughi «indifendibili in termini umanitari e legali». E però, quanta pubblicità negativa in più, rispetto alle proteste Onu, possono produrre una star nera con voglia di shopping, una commessa italiana sbadata e il suo «bello sbaglio»?

 

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