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IL ROMANZO DELLA SUPERANONIMA
di FRANCESCO BASSI
GIORNALISTA

 

MILIARDI QUATTRO CEDESI OSTAGGIO COME NUOVO: PRONTA CONSEGNA
Il sequestro di Pupo Troffa / secondo atto

 

La notte del 4 novembre 1978, il maresciallo Antonio Chessa dorme sonni agitati. Non riusciva a togliersi dalla testa quella "128", targata Genova con due persone a bordo parcheggiata lungo la via Quarto a Sassari, quasi all'incrocio con la via Salvemini. Gliene aveva parlato anche la cugina, Anna Paola Fadda: sembravano proprio dei criminali. E lui non aveva ancora fatto la "relazione di servizio". "Magari sarà una sciocchezza" pensò, rigirandosi nel letto e riuscendo finalmente ad addormentarsi. Non era una sciocchezza.

Il maresciallo Antonio Chessa dormiva ed i banditi rapivano Pupo Troffa. La "Superanonima" era riuscita a realizzare quel progetto, lungamente studiato, andato a monte una prima volta per l'incredibile intervento di un "topo d'auto" che aveva portato via la macchina con la quale i banditi dovevano trasportare l'ostaggio. Pupo Troffa "l'uomo che vale miliardi", è nelle loro mani: anzi e in quelle di un nuovo tentacolo della banda, capeggiato a quanto pare da Giovanni Costa, commerciante nuorese, sospettato d'essere in buoni rapporti con parecchi latitanti tra i quali anche Gonario Carta.

Troffa è stato preso. Adesso bisogna cominciare a trattare il suo rilascio. "Miliardario" per i banditi, si chiede un riscatto praticamente fantasioso. I rapitori sono indecisi: due o tre miliardi? Nel frattempo meglio prendere i contatti e "firmare" il sequestro con una telefonata al fratello dell'ostaggio. Al microfono risponde una nipote di Pupo Troffa, figlia di Daniele.

"Preparate i soldi ed aspettate. Ci rifaremo vivi".

Ma è una promessa che non viene mantenuta.

La telefonata è stata fatta l'8 novembre. Deve passare un mese e mezzo prima che i banditi si decidano a mandare il primo messaggio. Datato 19 dicembre, e scritto di pugno dall'industriale. "Per liberarmi &endash; dice tra l'altro &endash; I miei custodi chiedono quattro miliardi. Se siete disposti a pagare, fate pubblicare su tutti i quotidiani questo messaggio: "Se mi date un bottone, obbligherò la gente a vivere o a morire per esso"

 

UN MESSAGGIO MISTERIOSO

 

Dopo tanto silenzio, i banditi scoprono d'essere grafomani. Perchè un paio di giorni dopo mandano un altro messaggio, in cui indicano un nuovo annuncio convenzionale da far stampare sui giornali. Il testo e tanto strano, quanto succinto. "Nuoro è ammalata, le cure sono state affidate al dottor Coronas. Sequestro fallito. Proprietà riservata. Ragionier Corda". Un testo incomprensibile.

Se è in codice, non se ne trova la chiave. Nè in quel momento nè più tardi. I familiari del rapito attendono istruzioni. Ne riceveranno in abbondanza. Nel giro di sei mesi piovono a Sassari, spedite da varie zone della Sardegna tredici missive. La prima per la quale i fuorilegge non si servono del servizio postale, viene ritirata il 21 gennaio 1979 alla all'altezza del Km. 79 della strada Nuoro-Macomer. Il destinatario il parroco della chiesa del "Cuore Immacolato di Maria", a Sassari. Come per il sequestro Casana, la "busta" e una bottiglietta d'acqua ossigenata. Come in quell'occasione, il destinatario e un sacerdote. Il secondo messaggio arriva otto giorni dopo. La buca delle lettere nella quale è stato "impostato" una pietra miliare della Carlo Felice. L'hanno nascosto in un barattolo di additivo chimico e per far sapere ai parenti del rapito che hanno qualcosa da dire, i banditi hanno avvertito il parroco della chiesa di "Sant'Agostino", sempre a Sassari. Altre quarantott'ore ed ecco una nuova comunicazione. Indirizzata (e da ritirare sempre sulla Carlo Felice) alla titolare di un'agenzia di onoranze funebri. Continua il valzer delle lettere. Febbraio 1979. Bottiglia di "Citrosodina" lasciata all'altezza del chilometro 3 della strada Porto Conte Capo Caccia. Indirizzata al parroco di Tissi don Tilocca. Dopo questo messaggio una variazione sul tema: niente più religiosi ma rappresentanti d'auto per le informazioni alla famiglia dell'ostaggio. I banditi si rivolgono al dottor Achille Crobeddu, rappresentante della "Mercedes" per la provincia Sassari il quale (dopo una parentesi dedicata alle suore dell'asilo infantile di Thiesi: sesto messaggio, 20 aprile 1979) si rivolgono di nuovo per fargli trovare un nuovo scritto di Pupo Troffa, stavolta custodito in una scatola di cerotti, lasciato al Km. 23 della strada tra Bosa e Sindia. Dai medicinali agli oli minerali. Una bottiglietta di "olio Singer" custodisce la pressante richiesta di Pupo Troffa ai familiari di raccogliere alla svelta il denaro per soddisfare le esigenze dei banditi. Altri "appelli": 10, 16 giugno, primi di luglio. In tutto saranno tredici, con lusinghe; drammatici, minacciosi.

 

 

IL RUOLO DEGLI EMISSARI

 

Ma i rapporti tra familiari e banditi sono soltanto uno del tanti aspetti di ogni sequestro. Dopo il rapimento ci si deve preoccupare di trovare gli emissari. Ed i parenti di Pupo Troffa li avevano recuperati subito. Uno era Giovanni Piredda, dipendente dell'industriale, uomo di fiducia della famiglia. L'altro era Piero Coccone, fratello di Carmelino, non ignoto alle cronache. Emissari e banditi si incontrano per la prima volta nel gennaio del 1979 tra il bivio di "S'Infurcau" e "Sa Janna Bassa", nelle campagne di Orune. I fuorilegge chiedono miliardi, i rappresentanti della famiglia Troffa offrono milioni. L'accordo è lontano. Ma guardandosi intorno gli uomini di fiducia della famiglia Troffa notano una singolarità nell'atteggiamento dei fuorilegge. Tra di loro si rivolgono con i termini di "brigadiere", "maresciallo", "appuntato", come in una gerarchia militare.

Sono garbati, cortesi ma particolarmente duri. Lo dimostreranno un mese dopo ad un'altra coppia di emissari: Costantino Porceddu e Salvatore Pinna si presentano ai fuorilegge nelle campagne di Pratosardo. Non hanno portato i soldi del riscatto. Verranno legati, denudati ed abbandonati sul ciglio della strada. E' un contatto violento ma importante. I carabinieri interrogano i due uomini ancora sotto choc e scoprono che erano partiti da Abbasanta alle sei di sera.

"Siamo stati fermati vicino a Pratosardo nel punto in cui era stato sistemato un bidoncino di plastica. Ci hanno costretti ad imboccare una strada bianca per una cinquantina dl metri. Non volevano convincersi che eravamo senza soldi. Ci hanno prima perquisito, poi spogliato. Quindi cl hanno legato l'uno all'altro". Le trattative, insomma, sono al punto di partenza. Gli ultimi due emissari sono terrorizzati. Bisogna trovarne degli altri. La scelta cade su Pietrino Carta nipote di Gonario Carta e ovviamente, su Giovanni Piredda. Sono pronti a partire ma c'è da risolvere il problema del riscatto. I banditi hanno fatto sapere d'aver dimezzato la richiesta iniziale di quattro miliardi. Si accontentano di due. Ora ridimezzano: da due ad uno.

Da una lettera ai familiari dell'ostaggio: "siamo disposti ad accettare un miliardo solo ed a rilasciare Pupo Troffa a patto che il suo posto venga preso dal fratello Daniele o dalla moglie o dal figlio o dall'avvocato Paolo Riccardi, presidente deI Consorzio della Costa Smeralda e vostro buon amico".

 

 

GLI AVVISI SUI GIORNALI

 

L'ultima frase è stata aggiunta per convincere i banditi a farsi di nuovo vivi. Il giorno dopo Daniele Troffa riceve una telefonata anonima. Gli comunicano che 700 milioni sono sufficienti per rivedere vivo il fratello. Che sarebbe stato rilasciato anche senza riscatto. "Per convincervi che siamo persone serie ve lo restituiremo subito. Terremo con noi come garanzia il vostro emissario Giovanni Piredda". Tutto a posto quindi. E invece sorgono subito le complicazioni. Arriva un messaggio inatteso e sconvolgente. "D'accordo per i quattrini ma Piredda non va bene. E troppo vecchio e troppo grasso. Trovatene un altro e fateci sapere.

 

"Vendesi o affitasi appartamento quattro vani più servizi con orticello. Rivolgersi al signor Barbaresco Pellegrino via XX Settembre".

Questo annuncio, pubblicato sul giornali significava:

"Siamo pronti a proporvi un altro ostaggio al posto di Troffa". Ma c'era una postilla. Contratto dovrà essere preceduto da scrittura privata autografa e accertamento buone condizioni. Urge concordare. Inintermediari"

I banditi capiscono e rispondono. "Fateci sapere chi avete intenzione di offrirci al posto di Giovanni Piredda. Quando avrete deciso pubblicate un'altra inserzione. Con questo testo: Vendesi 103 pecore unico segno rivolgersi al sig.... (E qui indicate il nome della persona designata". L'annuncio viene pubblicato. Il "signore" a cui rivolgersi e ancora Giovanni Piredda "quand'anche &endash; come dice la sentenza di rinvio a giudizio &endash; questo ultimo fosse poco gradito ai banditi". "Ma appariva chiaro dall'insistenza dei banditi per concludere le trattative che l'ostaggio doveva essere allo stremo delle forze". I fuorilegge (che come si vedrà hanno incominciato a litigare tra di loro ed a mettersi in contatto più o meno autonomamente con la famiglia Troffa) si rendono conto che è arrivato il momento dli stringere i tempi. Giovanni Piredda e grasso e vecchio ma e l unico disponibile a farsi sequestrare al posto del datore di lavoro.

Il 29 giugno il custode dello stabilimento della famiglia Troffa si consegna ai fuorilegge. Ora gli ostaggi sono due. Riscatto? Per ora neanche una lira.

 

 

UNA LETTERA DI CONDOGLIANZE

 

Gli "affari" vanno male. All'"incasso" si arriva soltanto a meta luglio quando Pupo Troffa, dopo più di sei mesi, e tornato a Casa ed ha raccontato di esser sempre stato tenuto segregato in campagna. A volte tenuto come un maiale. "Mi mettevano al collo un collare legato con una catena ad un albero. Ed io non potevo muovermi per più di qualche passo". Racconta anche altri particolari della prigionia. Tanto da convincere carabinieri e polizia che Pietrino Carta e Carmelino Coccone (che però verrà scagionato) hanno perlomeno infilato il naso in questa vicenda Su Pietrino Carta (emissario) esiste agli atti una documentazione che per gli inquirenti e particolarmente importante. Il giudice istruttore la sintetizza così: "Era infatti emerso avere il Carta Pietrino, nei corso della fase finale delle trattative condotte in prima persona, taciuto agli inquirenti numerosi particolari, specie con riferimento al progetto di scambio Troffa - Piredda. Ulteriori sospetti nei confronti del Carta nascevano allorquando verso le prime ore del mattino del 4 luglio 1979 una pattuglia di carabinieri del Nucleo operativo di Sassari bloccava in viale Italia una autovettura Fiat 131 condotta dal Carta e con a bordo Troffa Salvatore giacche in quella occasione il conducente aveva tenuto un comportamento assai ambiguo mostrando nei confronti dei tutori dell'ardine imbarazzo, disorientamento e addirittura paura. Lo stesso Carta era apparso quel giorno talmente impaurito da non essere neppure in grado di rispondere alle più elementari domande che i carabinieri gli avevano rivolto"

"Trattasi di comportamento &endash; prosegue il magistrato nella sentenza istruttoria&endash; che non può trovare logica spiegazione se non con l'imbarazzo nascente dal ruolo non certo limpido tenuto dal prevenuto nella vicenda". Troffa e comunque arrivato a casa. Ed incomincia a raccontare i sette mesi di guai nei quali e incappato. "Troffa Salvatore sia pure sommariamente &endash; riferisce il rapporto dei carabinieri &endash; ed il fatto e facilmente spiegabile con il trauma provocato dai lunghi mesi di prigionia &endash; forniva tutta una serie di dettagli che si sarebbero rivelati estremamente utili nel proseguo delle indagini". Seduto sulla poltrona del suo salotto di via Muroni 5, dimagrito, accaldato, Pupo Troffa spiega al capo della Criminalpol di aver tra l'altro sentito uno dei banditi "dettare una lettera di condoglianze ad un altro fuorilegge. Si trattava di uno scritto assai lungo, diretto ad una ragazza di cui aveva udito il nome (Franca Carta) ed il recapito, situato presso un ristorante. Una ragazza alla quale venivano rivolte parole di conforto per la perdita di una persona cara con l'incitamento a perseverare negli studi".

Il "lutto" viene spiegato così. "Gli uomini della Criminalpol dopo pazienti ed intelligenti indagini riuscivano in breve ad identificare la destinataria della lettera in Carta Maria Francesca, nipote del noto latitante Carta Gonario; nell'abitazione della giovane, la quale aveva effettivamente perduto di recente il padre, fratello di Gonario, veniva infatti reperita e sequestrata una lettera a lei indirizzata presso il ristorante "Alpino" di Londra, dal tenore identico a quello menzionato da Troffa".

È una lettera che incuriosisce gli investigatori.

Perché "particolare poi estremamente significativo è che, pur figurando come mittente un non meglio identificato Mereu Carmine via Spano n. 6, Orgosolo, la missiva risultava firmata "tuo zio Gonario", con una grafia del tutto identica a quella del latitante come poteva rivelarsi dal confronto dell'istanza scritta, dallo stesso inoltrata anni prima e giacente presso il commissariato di pubblica sicurezza di Orgosolo".

 

 

UN RISCATTO DI 700 MILIONI

 

Anche se ora Pupo Troffa è finalmente libero, nelle mani dei banditi c'e il suo uomo di fiducia. Ha già pagato settecento milioni di riscatto e spera di poter essere lasciato tranquillo. Ma la "Superanonima" che a quanto pare ha ingaggiato un latitante del calibro di Gonario Carta per garantirsi sulla custodia degli ostaggi, non ha nessuna intenzione di accontentarsi.

Il "dissidio interno" che si e manifestato con lettere e telefonate contraddittorie, pare ormai superato.

Gonario Carta ha però qualcosa da dire prima che i membri dell'organizzazione originale si riuniscano per decidere in quali percentuali dividere il riscatto. Per ora ci sono settecento milioni in cassa. La "Superanonima" tenterà di averne altri duecento. Pupo Troffa è libero. Giovanni Piredda è in ostaggio. Luciano Gregoriani, tornato a Santulussurgiu, sta facendo i suoi conti. Come "esecutore materiale del sequestro" ha diritto ad almeno settanta milioni. Serviranno per acquistare la pala meccanica con la quale ha intenzione di arricchirsi. Sogna una vita tranquilla, lontano dai guai e dalla polizia. Ma per il momento, non ha ancora conclusa la sua avventura da bandito. La sua banda ha in mano un nuovo ostaggio. Il prezzo di Giovanni Piredda è già stato stabilito: duecento milioni tondi.

 CONTINUA