MILIARDI QUATTRO CEDESI OSTAGGIO COME NUOVO: PRONTA CONSEGNA
Il sequestro di Pupo Troffa
/ secondo atto
La notte del 4 novembre 1978,
il maresciallo Antonio Chessa dorme sonni agitati.
Non riusciva a togliersi dalla testa quella "128",
targata Genova con due persone a bordo parcheggiata
lungo la via Quarto a Sassari, quasi all'incrocio
con la via Salvemini. Gliene aveva parlato anche la
cugina, Anna Paola Fadda: sembravano proprio dei
criminali. E lui non aveva ancora fatto la
"relazione di servizio". "Magari sarà una
sciocchezza" pensò, rigirandosi nel letto e
riuscendo finalmente ad addormentarsi. Non era una
sciocchezza.
Il maresciallo Antonio Chessa
dormiva ed i banditi rapivano Pupo Troffa. La
"Superanonima" era riuscita a realizzare quel
progetto, lungamente studiato, andato a monte una
prima volta per l'incredibile intervento di un
"topo d'auto" che aveva portato via la macchina con
la quale i banditi dovevano trasportare l'ostaggio.
Pupo Troffa "l'uomo che vale miliardi", è
nelle loro mani: anzi e in quelle di un nuovo
tentacolo della banda, capeggiato a quanto pare da
Giovanni Costa, commerciante nuorese, sospettato
d'essere in buoni rapporti con parecchi latitanti
tra i quali anche Gonario Carta.
Troffa è stato preso.
Adesso bisogna cominciare a trattare il suo
rilascio. "Miliardario" per i banditi, si chiede un
riscatto praticamente fantasioso. I rapitori sono
indecisi: due o tre miliardi? Nel frattempo meglio
prendere i contatti e "firmare" il sequestro con
una telefonata al fratello dell'ostaggio. Al
microfono risponde una nipote di Pupo Troffa,
figlia di Daniele.
"Preparate i soldi ed
aspettate. Ci rifaremo vivi".
Ma è una promessa che
non viene mantenuta.
La telefonata è stata
fatta l'8 novembre. Deve passare un mese e mezzo
prima che i banditi si decidano a mandare il primo
messaggio. Datato 19 dicembre, e scritto di pugno
dall'industriale. "Per liberarmi &endash; dice tra
l'altro &endash; I miei custodi chiedono quattro
miliardi. Se siete disposti a pagare, fate
pubblicare su tutti i quotidiani questo messaggio:
"Se mi date un
bottone, obbligherò la gente a vivere o a
morire per esso"
UN MESSAGGIO
MISTERIOSO
Dopo tanto silenzio, i
banditi scoprono d'essere grafomani. Perchè
un paio di giorni dopo mandano un altro messaggio,
in cui indicano un nuovo annuncio convenzionale da
far stampare sui giornali. Il testo e tanto strano,
quanto succinto. "Nuoro è ammalata, le cure sono
state affidate al dottor Coronas. Sequestro
fallito. Proprietà riservata. Ragionier
Corda". Un testo
incomprensibile.
Se è in codice, non se
ne trova la chiave. Nè in quel momento
nè più tardi. I familiari del rapito
attendono istruzioni. Ne riceveranno in abbondanza.
Nel giro di sei mesi piovono a Sassari, spedite da
varie zone della Sardegna tredici missive. La prima
per la quale i fuorilegge non si servono del
servizio postale, viene ritirata il 21 gennaio 1979
alla all'altezza del Km. 79 della strada
Nuoro-Macomer. Il destinatario il parroco della
chiesa del "Cuore Immacolato di Maria", a Sassari.
Come per il sequestro Casana, la "busta" e una
bottiglietta d'acqua ossigenata. Come in
quell'occasione, il destinatario e un sacerdote. Il
secondo messaggio arriva otto giorni dopo. La buca
delle lettere nella quale è stato
"impostato" una pietra miliare della Carlo Felice.
L'hanno nascosto in un barattolo di additivo
chimico e per far sapere ai parenti del rapito che
hanno qualcosa da dire, i banditi hanno avvertito
il parroco della chiesa di "Sant'Agostino", sempre
a Sassari. Altre quarantott'ore ed ecco una nuova
comunicazione. Indirizzata (e da ritirare sempre
sulla Carlo Felice) alla titolare di un'agenzia di
onoranze funebri. Continua il valzer delle lettere.
Febbraio 1979. Bottiglia di "Citrosodina" lasciata
all'altezza del chilometro 3 della strada Porto
Conte Capo Caccia. Indirizzata al parroco di Tissi
don Tilocca. Dopo questo messaggio una variazione
sul tema: niente più religiosi ma
rappresentanti d'auto per le informazioni alla
famiglia dell'ostaggio. I banditi si rivolgono al
dottor Achille Crobeddu, rappresentante della
"Mercedes" per la provincia Sassari il quale (dopo
una parentesi dedicata alle suore dell'asilo
infantile di Thiesi: sesto messaggio, 20 aprile
1979) si rivolgono di nuovo per fargli trovare un
nuovo scritto di Pupo Troffa, stavolta custodito in
una scatola di cerotti, lasciato al Km. 23 della
strada tra Bosa e Sindia. Dai medicinali agli oli
minerali. Una bottiglietta di "olio Singer"
custodisce la pressante richiesta di Pupo Troffa ai
familiari di raccogliere alla svelta il denaro per
soddisfare le esigenze dei banditi. Altri
"appelli": 10, 16 giugno, primi di luglio. In tutto
saranno tredici, con lusinghe; drammatici,
minacciosi.
IL RUOLO DEGLI
EMISSARI
Ma i rapporti tra familiari e
banditi sono soltanto uno del tanti aspetti di ogni
sequestro. Dopo il rapimento ci si deve preoccupare
di trovare gli emissari. Ed i parenti di Pupo
Troffa li avevano recuperati subito. Uno era
Giovanni Piredda, dipendente dell'industriale, uomo
di fiducia della famiglia. L'altro era Piero
Coccone, fratello di Carmelino, non ignoto alle
cronache. Emissari e banditi si incontrano per la
prima volta nel gennaio del 1979 tra il bivio di
"S'Infurcau" e "Sa Janna Bassa", nelle campagne di
Orune. I fuorilegge chiedono miliardi, i
rappresentanti della famiglia Troffa offrono
milioni. L'accordo è lontano. Ma guardandosi
intorno gli uomini di fiducia della famiglia Troffa
notano una singolarità nell'atteggiamento
dei fuorilegge. Tra di loro si rivolgono con i
termini di "brigadiere", "maresciallo",
"appuntato", come in una gerarchia militare.
Sono garbati, cortesi ma
particolarmente duri. Lo dimostreranno un mese dopo
ad un'altra coppia di emissari: Costantino Porceddu
e Salvatore Pinna si presentano ai fuorilegge nelle
campagne di Pratosardo. Non hanno portato i soldi
del riscatto. Verranno legati, denudati ed
abbandonati sul ciglio della strada. E' un contatto
violento ma importante. I carabinieri interrogano i
due uomini ancora sotto choc e scoprono che erano
partiti da Abbasanta alle sei di sera.
"Siamo stati fermati vicino a
Pratosardo nel punto in cui era stato sistemato un
bidoncino di plastica. Ci hanno costretti ad
imboccare una strada bianca per una cinquantina dl
metri. Non volevano convincersi che eravamo senza
soldi. Ci hanno prima perquisito, poi spogliato.
Quindi cl hanno legato l'uno all'altro". Le
trattative, insomma, sono al punto di partenza. Gli
ultimi due emissari sono terrorizzati. Bisogna
trovarne degli altri. La scelta cade su Pietrino
Carta nipote di Gonario Carta e ovviamente, su
Giovanni Piredda. Sono pronti a partire ma
c'è da risolvere il problema del riscatto. I
banditi hanno fatto sapere d'aver dimezzato la
richiesta iniziale di quattro miliardi. Si
accontentano di due. Ora ridimezzano: da due ad
uno.
Da una lettera ai familiari
dell'ostaggio: "siamo disposti ad accettare un
miliardo solo ed a rilasciare Pupo Troffa a patto
che il suo posto venga preso dal fratello Daniele o
dalla moglie o dal figlio o dall'avvocato Paolo
Riccardi, presidente deI Consorzio della Costa
Smeralda e vostro buon amico".
GLI AVVISI SUI
GIORNALI
L'ultima frase è stata
aggiunta per convincere i banditi a farsi di nuovo
vivi. Il giorno dopo Daniele Troffa riceve una
telefonata anonima. Gli comunicano che 700 milioni
sono sufficienti per rivedere vivo il fratello. Che
sarebbe stato rilasciato anche senza riscatto. "Per
convincervi che siamo persone serie ve lo
restituiremo subito. Terremo con noi come garanzia
il vostro emissario Giovanni Piredda". Tutto a
posto quindi. E invece sorgono subito le
complicazioni. Arriva un messaggio inatteso e
sconvolgente. "D'accordo per i quattrini ma Piredda
non va bene. E troppo vecchio e troppo grasso.
Trovatene un altro e fateci sapere.
"Vendesi o affitasi
appartamento quattro vani più servizi con
orticello. Rivolgersi al signor Barbaresco
Pellegrino via XX Settembre".
Questo annuncio, pubblicato
sul giornali significava:
"Siamo pronti a
proporvi un altro ostaggio al posto di Troffa".
Ma c'era una
postilla. Contratto
dovrà essere preceduto da scrittura privata
autografa e accertamento buone condizioni. Urge
concordare. Inintermediari"
I banditi capiscono e
rispondono. "Fateci sapere chi avete intenzione di
offrirci al posto di Giovanni Piredda. Quando
avrete deciso pubblicate un'altra inserzione. Con
questo testo: Vendesi
103 pecore unico segno rivolgersi al
sig.... (E qui
indicate il nome della persona designata".
L'annuncio viene pubblicato. Il "signore" a cui
rivolgersi e ancora Giovanni Piredda "quand'anche
&endash; come dice la sentenza di rinvio a giudizio
&endash; questo ultimo fosse poco gradito ai
banditi". "Ma appariva chiaro dall'insistenza dei
banditi per concludere le trattative che l'ostaggio
doveva essere allo stremo delle forze". I
fuorilegge (che come si vedrà hanno
incominciato a litigare tra di loro ed a mettersi
in contatto più o meno autonomamente con la
famiglia Troffa) si rendono conto che è
arrivato il momento dli stringere i tempi. Giovanni
Piredda e grasso e vecchio ma e l unico disponibile
a farsi sequestrare al posto del datore di
lavoro.
Il 29 giugno il custode dello
stabilimento della famiglia Troffa si consegna ai
fuorilegge. Ora gli ostaggi sono due. Riscatto? Per
ora neanche una lira.
UNA LETTERA DI
CONDOGLIANZE
Gli "affari" vanno male.
All'"incasso" si arriva soltanto a meta luglio
quando Pupo Troffa, dopo più di sei mesi, e
tornato a Casa ed ha raccontato di esser sempre
stato tenuto segregato in campagna. A volte tenuto
come un maiale. "Mi mettevano al collo un collare
legato con una catena ad un albero. Ed io non
potevo muovermi per più di qualche passo".
Racconta anche altri particolari della prigionia.
Tanto da convincere carabinieri e polizia che
Pietrino Carta e Carmelino Coccone (che però
verrà scagionato) hanno perlomeno infilato
il naso in questa vicenda Su Pietrino Carta
(emissario) esiste agli atti una documentazione che
per gli inquirenti e particolarmente importante. Il
giudice istruttore la sintetizza così: "Era
infatti emerso avere il Carta Pietrino, nei corso
della fase finale delle trattative condotte in
prima persona, taciuto agli inquirenti numerosi
particolari, specie con riferimento al progetto di
scambio Troffa - Piredda. Ulteriori sospetti nei
confronti del Carta nascevano allorquando verso le
prime ore del mattino del 4 luglio 1979 una
pattuglia di carabinieri del Nucleo operativo di
Sassari bloccava in viale Italia una autovettura
Fiat 131 condotta dal Carta e con a bordo Troffa
Salvatore giacche in quella occasione il conducente
aveva tenuto un comportamento assai ambiguo
mostrando nei confronti dei tutori dell'ardine
imbarazzo, disorientamento e addirittura paura. Lo
stesso Carta era apparso quel giorno talmente
impaurito da non essere neppure in grado di
rispondere alle più elementari domande che i
carabinieri gli avevano rivolto"
"Trattasi di comportamento
&endash; prosegue il magistrato nella sentenza
istruttoria&endash; che non può trovare
logica spiegazione se non con l'imbarazzo nascente
dal ruolo non certo limpido tenuto dal prevenuto
nella vicenda". Troffa e comunque arrivato a casa.
Ed incomincia a raccontare i sette mesi di guai nei
quali e incappato. "Troffa Salvatore sia pure
sommariamente &endash; riferisce il rapporto dei
carabinieri &endash; ed il fatto e facilmente
spiegabile con il trauma provocato dai lunghi mesi
di prigionia &endash; forniva tutta una serie di
dettagli che si sarebbero rivelati estremamente
utili nel proseguo delle indagini". Seduto sulla
poltrona del suo salotto di via Muroni 5,
dimagrito, accaldato, Pupo Troffa spiega al capo
della Criminalpol di aver tra l'altro sentito uno
dei banditi "dettare una lettera di condoglianze ad
un altro fuorilegge. Si trattava di uno scritto
assai lungo, diretto ad una ragazza di cui aveva
udito il nome (Franca Carta) ed il recapito,
situato presso un ristorante. Una ragazza alla
quale venivano rivolte parole di conforto per la
perdita di una persona cara con l'incitamento a
perseverare negli studi".
Il "lutto" viene spiegato
così. "Gli uomini della Criminalpol dopo
pazienti ed intelligenti indagini riuscivano in
breve ad identificare la destinataria della lettera
in Carta Maria Francesca, nipote del noto latitante
Carta Gonario; nell'abitazione della giovane, la
quale aveva effettivamente perduto di recente il
padre, fratello di Gonario, veniva infatti reperita
e sequestrata una lettera a lei indirizzata presso
il ristorante "Alpino" di Londra, dal tenore
identico a quello menzionato da Troffa".
È una lettera che
incuriosisce gli investigatori.
Perché "particolare
poi estremamente significativo è che, pur
figurando come mittente un non meglio identificato
Mereu Carmine via Spano n. 6, Orgosolo, la missiva
risultava firmata "tuo zio Gonario", con una grafia
del tutto identica a quella del latitante come
poteva rivelarsi dal confronto dell'istanza
scritta, dallo stesso inoltrata anni prima e
giacente presso il commissariato di pubblica
sicurezza di Orgosolo".
UN RISCATTO DI 700
MILIONI
Anche se ora Pupo Troffa
è finalmente libero, nelle mani dei banditi
c'e il suo uomo di fiducia. Ha già pagato
settecento milioni di riscatto e spera di poter
essere lasciato tranquillo. Ma la "Superanonima"
che a quanto pare ha ingaggiato un latitante del
calibro di Gonario Carta per garantirsi sulla
custodia degli ostaggi, non ha nessuna intenzione
di accontentarsi.
Il "dissidio interno" che si
e manifestato con lettere e telefonate
contraddittorie, pare ormai superato.
Gonario Carta ha però
qualcosa da dire prima che i membri
dell'organizzazione originale si riuniscano per
decidere in quali percentuali dividere il riscatto.
Per ora ci sono settecento milioni in cassa. La
"Superanonima" tenterà di averne altri
duecento. Pupo Troffa è libero. Giovanni
Piredda è in ostaggio. Luciano Gregoriani,
tornato a Santulussurgiu, sta facendo i suoi conti.
Come "esecutore materiale del sequestro" ha diritto
ad almeno settanta milioni. Serviranno per
acquistare la pala meccanica con la quale ha
intenzione di arricchirsi. Sogna una vita
tranquilla, lontano dai guai e dalla polizia. Ma
per il momento, non ha ancora conclusa la sua
avventura da bandito. La sua banda ha in mano un
nuovo ostaggio. Il prezzo di Giovanni Piredda
è già stato stabilito: duecento
milioni tondi.
CONTINUA