Gregoriani &endash; così almeno
sembra &endash; ha ripreso le sue funzioni di
comandante in capo. Ma non e tranquillo. Non gli
piace per esempio uno degli emissari dei Troffa,
quel Pietrino Carta (che il giudice Istruttore
scagionerà dall'accusa di aver preso parte
al rapimento dell'industriale sassarese) di
Orgosolo di cui dice "ero convinto che, nonostante
fungesse da emissario, fosse in realtà
interessato al sequestro. Innanzitutto
perché era nipote del latitante Gonario
Carta, che insieme a Salvatore Cassitta aveva in
mano l'ostaggio eppoi per un'altra circostanza,
estremamente singolare. Dalla sentenza di
rinvio a giudizio.
"Antonio Felline aveva riferito di aver sentito
casualmente la moglie, Marta Nuvoli, impiegata di
banca, dire che Troffa aveva da poco incassato 21
miliardi dalla vendita di azioni della "Trans
Tirreno Express". Dopo aver appreso ciò i
malviventi avevano deciso di predisporre un elenco
preciso delle attività dell'industriale per
passarlo poi al Costa che a sua volta avrebbe
dovuto consegnarlo ai latitanti Carta e Cassitta.
In questo elenco, per quanto si riferiva
all'operazione della "Trans Tirreno era stata
volutamente indicata la cifra di venti miliardi
anziché quella esatta di ventuno. E
ciò allo scopo preciso di non far capire al
Troffa che l'informazione era giunta dalla banca".
Eppure Pietrino Carta, in veste di emissario, dice
ai banditi: "Non è vero che Troffa abbia
tanti soldi. Anche quella storia dei venti miliardi
avuti dalle azioni è una diceria".
Gregoriani, insomma, non e
convinto della "onestà" dei suoi complici.
Immagina che gli stiano tirando un brutto scherzo.
E prende in mano le trattative facendo una
telefonata nella quale vuole informare i parenti
dell'ostaggio che Pupo Troffa non sta bene e che
devono sbrigarsi a pagare. "Non pensai di alterare
la voce. Ero sicuro che non mi avreste preso"
dirà durante la confessione.
Le trattative continuano.
Vanno in porto. I banditi si accordano per lo
scambio tra Pupo Troffa ed il suo dipendente
Giovanni Piredda che assieme a Pietrino Carta ha
fatto per lungo tempo da emissario. Si decide di
accettare il nuovo ostaggio ed i sette cento
milioni che la famiglia Troffa ha offerto come
riscatto. E' tutto pronto. Ci vuole, come al
solito, una macchina non sospetta per trasportare
Troffa lontano dalla zona in cui e stato tenuto
prigioniero, in questa occasione Gregoriani
è modesto. Ruba una "500", toglie il sedile
anteriore destro per far spazio all'ostaggio e tenerlo nascosto. Va a
prenderlo. "L'appuntamento per la liberazione del
Troffa con Costa, Marcello, Paolo Mereu, Giuseppe e
Gonario Mureddu era stato fissato al bivio di
Oniferi dove Gregoriani era giunto con
l'autovettura rubata. Allo scopo di controllare
eventuali passaggi di auto della polizia e dei
carabinieri &endash; si legge nella sentenza dl
rinvio a giudizio &endash; erano stati poi
"dislocati" gli altri banditi. Tanti "pali" lungo
la strada: "Pietro di Orune", al bivio di Lula,
Gonario Mureddu all'incrocio della strada che porta
a Pratosardo, Marcello a "Marreri". È tutto
a posto. Si parte: "Gregoriani con la "500";
Giuseppe Mureddu e Paolo Mereu con una "127". Costa
se ne era invece andato.
La processione di auto si
avvia "Paolo Mereu il quale conosceva il punto
esatto in cui avrebbe dovuto verificarsi l'incontro
con i latitanti che avevano in consegna l'ostaggio,
giunto nella zona di "monte Pizinnu" fra "Marreri"
e Siniscola aveva imboccato una stradetta dove poi
tutti avevano atteso per una decina di minuti
finché erano sopraggiunti i latitanti.
Armati e mascherati. Assieme al Troffa. Che si
presentava in condizioni pietose. Il latitante
più grosso di corporatura (Gonario Carta) si
era appartato per parlottare con Paolo Mereu.
L'altro latitante era Salvatore Cassitta". Pupo
Troffa parte per il viaggio che concluderà
la sua avventura. Non lo sa ma gran parte dei
fuorilegge che lo hanno rapito, lo saluta dal
ciglio della strada. Dopo più di sei mesi
viene liberato nelle campagne di "Figa Ruja",
Siligo.
Andrà a prenderlo
(avvertito per telefono da Gregoriani) quel
Pietrino Carta che "non gli piace per
niente".
DISSIDI INTERNI
TRA I RAPITORI
Daniele Troffa ha pagato. Ma
ai malviventi non tornano i conti. Anziché
settecento milioni se ne ritrovano soltanto
seicentonovanta e, tanto per cambiare riprendono a
litigare tra di loro. Non tornano i conti
neppure dopo la liberazione di
Piredda che per i rapitori valeva duecento milioni
e ne raggranellano soltanto la meta. Rischiano di
venire alle mani perché dopo aver sognato di
diventare miliardari si ritrovano con poche decine
di milioni a testa. Si lasciano, da buoni nemici, e
si ritroveranno a Buoncammino. Dove Luciano
Gregoriani, "pentito" o no, ha appena finito di
raccontare al giudice la sua versione del sequestro
Troffa. Il magistrato ha preso appunti. Scatta il
primo "blitz" (siamo nel febbraio del 1980) contro
il banditismo sardo. Decine di agenti di polizia e
di carabinieri trascorrono notti insonni. Si
presentano in varie case con i giubbotti
antiproiettile e con la pistola in pugno.
Arrestano, arrestano, arrestano. Fanno anche
qualche piccolo errore di persona ma rimediano alla
svelta. Il 4 marzo 1980 il giudice Luigi Lombardini
può incominciare a raccogliere i frutti del
suo lavoro. Interroga Gonario Mureddu,
trentacinquenne auto trasportatore di Sarule, che
Gregoriani ha appena finito di collocare tra i suoi
"fidi". Ecco il verbale: "A questo punto voglio
mettermi reo confesso e dichiarò che tutto
quanto dichiarato dal Gregoriani corrisponde a
verità. Effettivamente ho avuto venticinque
milioni. Cinque li ho dati a Pietro Ruju, di Orune.
Sono disposto a restituire i venti milioni che ho
avuto come compenso del sequestro Troffa...". Poi
interroga Mario Ladu, autonoleggiatore di Sarule.
"Mi e stato offerto di partecipare al sequestro. Fu
Felline a chiedermelo. Mi offrirono venti milioni
soltanto perché sapevo chi c'era in mezzo.
Non volli accettare".
"VOLEVANO UCCIDERE
I MIEI BAMBINI"
Quando e la volta di Elsa
Sotgia, la "confessione" è completa. O
quasi. "Qualche giorno prima del sequestro Troffa,
Gregoriani venne a casa mia. Mi consegno una borsa.
La aprii per curiosità e mi accorsi
che conteneva delle armi. Ma
Felline non mi aveva detto niente del sequestro.
Neppure quando mi portò in macchina davanti
alla casa dei Troffa mi accorsi di quello che stava
accadendo. O meglio. Me ne resi conto il giorno
dopo, quando lo lessi sui giornali. E lui mi
minaccio. Disse che mi aveva coinvolto direttamente
nel rapimento in modo che non lo potessi accusare.
Aggiunse che non voleva farmi male in, alcun modo.
Che non volava perdermi a nessun costo ma che se io
avessi riferito quanto sapevo la avrei pagata cara.
Avrebbe ucciso i miei figli". Antonio Felline,
invece, non ha alcuna voglia di parlare. Nel primo
interrogatorio fa mettere a verbale:
"Mi fa ridere l'idea che la
mia carcerazione sia legata alle affermazioni fatte
da Gregoriani e mi fa pensare quanto sia fallace la
giustizia degli uomini. Vivo un romanzo
allucinante. Certo che tra le persone coinvolte ci
può essere qualche colpevole, ad
incominciare da Gregoriani".
Poi, messo a confronto col il
suo accusatore, ammette: "Per quanto riguarda il
sequestro Troffa ho avuto una parte, ma molto
limitata. Non ho infatti preso parte al rapimento
materialmente ne ho partecipato alla custodia
dell'ostaggio. Il mio compito, così come era
stato concordato, era solo quello di partecipare
agli abboccamenti con gli emissari della famiglia
Troffa. Con me dovevano esserci Mario Marcello,
Gonario Mureddu e Luciano Gregoriani".
Il fascicolo Troffa si
arricchisce ancora quando Salvatore Cassitta
(indicato come uno dei due latitanti che
custodivano Pupo Troffa) decide di consegnarsi alla
giustizia. Nella sua cella risponde così
alle domande del magistrato: "Non è vero che
abbia preso parte al sequestro Troffa. Durante
tutto il tempo in cui si e protratta la mia
latitanza sono rimasto a casa mia. Ho non meno di
cinquanta o sessanta testimoni". Non confessa ma
sembra inchiodato dalle dichiarazioni di Luciano
Gregoriani. Che ha deciso di vuotare non uno ma
più sacchi. Ed ha ancora molte cose da
raccontare. Ha partecipato ad altri rapimenti,
è stato uno dei cervelli della
"Superanonima". Ha una memoria di ferro. Prima la
usava per immagazzinare i dati relativi ai conti in
banca delle sue possibili vittime. Adesso deve
farne un uso meno piacevole.