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relazione sui sequestri di persona a scopo di estorsione
(Relatore: senatore Pardini)
PARTE QUINTA

la zona grigia del sequestro
di Silvia Melis

Si tratta di un mondo questo che merita di essere attentamente esplorato e che spesso, o meglio quasi sempre fino ad ora, è stato relegato ad una realtà pseudo romanzesca, quasi romantica, popolata di "buoni intermediari", di "amici" il cui unico scopo "è il bene del se questrato".
In realtà attraverso la "zona grigia" dei sequestri di persona non è infrequente approdare a diverse realtà sociali, che hanno particolari attinenze con il mondo di una certa imprenditoria sarda.

Altre circostanze, emerse nella vicenda del sequestro Melis, merita no di essere ricordate.

Il dottor Bardella, dirigente della Digos di Cagliari, durante l'audizione, davanti al Comitato, del 25 maggio dichiara: "mi sono trovato a dover condurre cinque indagini che nascevano l'una dall'altra come scatole cinesi, ma i personaggi che venivano fuori erano sempre gli stessi, tra loro collegati e accomunati da interessi politici-imprenditoriali anche personali... queste persone, interessate allo svolgimento di quelle pratiche imprenditoriali (lavori pubblici a Capoterra, progetto Arbatax 2000, acquisizione Marsilva n.d.r.), del livello che ho descritto, sono riemerse nell'ambito delle vicende del sequestro Melis, soprattutto per la parte che riguarda il pagamento del riscatto". Ancora il dottor Bardella dice "il sequestro di persona in Sardegna è un coagulante di situazioni, che vanno dal mondo dell'imprenditoria al mondo degli interessi personali e professionali. Vi sono personaggi di spicco in Sardegna che hanno rapporti con personaggi del mondo della malavita e contemporaneamente del mondo politico-finanziario. L'avvocato Piras è uno di questi, a lui ci si rivolge per tante questioni e il suo nome compare puntualmente ad ogni sequestro di persona".
Poter infatti adoperarsi per risolvere situazioni le più varie, compresi o forse soprattutto i sequestri di persona, costituisce una credenziale formidabile per la società isolana. Quelli che anche il dottor Bardella chiama "intermediari di professione" aspirano, o svolgono in effetti, questo ruolo di collante di tanti settori, in particolare di quello imprenditoriale-affaristico, della società sarda, e l'accreditarsi come risolutore, se non addirittura, a scopo intimidatorio, ideatore di un sequestro, costituisce un grande mezzo di condizionamento e di prevalenza sociale. E in questo senso che da più parti - dalla Calabria alla Sardegna - ci sono giunte sollecitazioni a considerare, non solo come teorico, il fenomeno di sequestri-lampo, o addirittura anche solo minacciati o temuti.

Le vicende economiche sarde, alcune delle quali, come ad esempio quelle precedentemente citate, oggetto di indagini giudiziarie, sono fortemente connesse con alcuni casi di sequestro di persona, ad esempio con il caso Melis, sia per le persone coinvolte che per i territori in cui si svolgono i diversi avvenimenti, che per le appartenenze di molti dei protagonisti a comuni circoli massonici. E sono connesse a tal punto da far ritenere che ci si potrebbe trovare di fronte ad una evoluzione della criminalità sarda, che finora si era applicata prevalentemente ai sequestri, e che ora potrebbe essere utilizzata altrimenti da certi ambienti, il cui collante è l'appartenenza a circoli segreti o riservati e l'obiettivo il condizionamento politico-affaristico dell'isola. E inoltre meritevole di approfondimento anche la recente massiccia campagna intimidatoria, messa in atto contro molti amministratori locali mediante attentati dinamitardi, per individuarne i reali obiettivi e le eventuali finalità, probabilmente non solo criminali ma anche eversive.
Il dottor Valerio Cicalò della Procura di Cagliari, in un recente articolo per la rivista "Società Sarda" scrive
"la matrice culturale (dei sequestri n.d.r.) è agro-pastorale, sempre più saldamente legata con la criminalità urbana e con i trafficanti di droga. Il frutto del riscatto è spesso destinato ad investimenti nella droga".
Stiamo quindi assistendo ad un'evoluzione definitiva del mondo dei sequestri di persona? I tradizionali investimenti in beni immobili, in incrementi del patrimonio agricolo e pastorale lasciano il posto ad acquisti di droga ed armi? Naturalmente, se così fosse, questa evoluzione non potrebbe avvenire senza il coinvolgimento della criminalità sarda di tipo urbano, quella tradizionalmente legata ai clan siciliani di "Cosa nostra".
A saldare questa unione, a suggellare questo possibile legame tra due mondi da sempre separati, non è sufficiente però ritrovare coinvolti sequestratori storici, oggi in affari con corrieri della droga provenienti dall'Olanda e da altri paesi europei.
E verosimile pensare che esista un livello superiore di garanzia, che è quello appunto che mirerebbe a condizionare comunque e dovunque lo sviluppo economico-sociale e financo politico nell'isola?
L'esportazione all'estero della figura istituzionale dell'intermediario, come è avvenuto in Libia nel caso Sarritzu, disvela anche scenari di possibili rapporti economici internazionali tra questi ambienti e Stati stranieri degni di ulteriore approfondimento.
Le indagini condotte dal pool della Procura di Palermo sul caso Melis, che hanno indicato il coinvolgimento di personaggi come l'avvocato Piras, l'editore Grauso e il magistrato cagliaritano dottor Lombardini, e che in maniera così drammatica nell'agosto di quest'anno sono piombate nella cronaca del nostro Paese, aprono importanti scenari.

Questi stessi scenari sono resi particolarmente inquietanti da altri episodi, come quello di cui parla Carlo Soffiantini nella sua deposizione, e cioè di un contatto con la banda dei sequestratori del padre garantito da un avvocato, di cui però non rivela il nome. Intercettazioni telefoniche eseguite durante le indagini di quel sequestro rivelano ripetuti colloqui tra l'avvocato Piras e persone vicine alla famiglia Soffiantini, i quali avrebbero anche stabilito un appuntamento in Sardegna.
La successiva proposta di Nicola Grauso di mettersi a disposizione della famiglia Soffiantini, quale mediatore per la liberazione del padre, riporta, in quella vicenda, un altro dei protagonisti della indagine siciliana sul caso Melis, a dimostrare come anche le vicende Melis e Soffiantini abbiano più di un punto in comune.
Del resto la stessa attività di questo Comitato della Commissione antimafia è stata oggetto di interesse e preoccupazione da parte di un altro dei protagonisti dell'inchiesta diretta dal dottor Aliquò.

Risulta infatti che il dottor Lombardini ha concordato con il colonnello Rosati, audito dal Comitato il 25 maggio, le modalità e i contenuti di quanto egli avrebbe dovuto dichiarare circa vicende del passato al Comitato e, subito dopo l'audizione, ne ha raccolto il racconto dettagliato.

Il colonnello Rosati ha rivelato uno spaccato di quello che avveniva prima della legge sul sequestro dei beni, relativamente alle trattative per il pagamento del riscatto e che vedevano coinvolti magistrati e ufficiali di polizia giudiziaria in ruoli di primo piano, ma completamente occulti rispetto alle indagini ufficiali.

Infatti, contrariamente a quanto affermato dal colonnello Rosati, che partecipa personalmente al pagamento del riscatto per la liberazione della giovane Esteranne Ricea, a Firenze nel 1988, il dottor Fleury, che conduceva l'inchiesta, non venne messo al corrente di tale attività. Le indagini si conclusero con la liberazione dell'ostaggio, senza che gli inquirenti fossero ufficialmente a conoscenza di un pagamento del riscatto.

Questo episodio che vede protagonista il colonello Rosati - il quale, su sua richiesta, non fa più parte dell'Arma dei carabinieri - ed altri ancora cui lo stesso colonello durante l'audizione davanti al Comitato ha accennato, disvelano uno scenario molto particolare relativamente al mondo dei sequestri sardi, e che l'inchiesta palermitana sul caso Melis sta lentamente cercando di chiarire.

Appare assumere sempre più consistenza l'idea che si sia costituita una forma di "rete" in Sardegna di informatori, di mediatori, di non meglio precisati collaboratori che a vario titolo, con le più disparate motivazioni personali, per una sorta di aggregazione spontanea, si metteva in moto ed operava attivamente ad ogni episodio di sequestro di persona. Questa rete, verosimilmente, non è costituita in forma stabile o formalmente organizzata, e tuttavia era attivamente operante di volta in volta e quando se ne avverte la necessità. Proprio il proeuratore di Palermo Giancarlo Caselli nel corso dell'audizione del 9 settembre ha definito questo meccanismo una rete, che attiene e si collega a quella che la Commissione antimafia ha definito "zona grigia" e che aveva quale punto di riferimento il dottor Lombardini. Questi per tanti anni, durante il periodo caldo dei sequestri, dalla metà degli anni settanta alla metà degli anni ottanta, ebbe a gestire in "maniera quasi esclusiva", per dirlo con il dottor Mura, tutti i casi di sequestro di persona in Sardegna. In questo periodo si ottennero effettivamente importanti risultati nella lotta ai sequestri ed il dottor Lombardini si conquistò, come si dice, sul campo, la fama di abile investigatore, la stima di tanti collaboratori, ma soprattutto riuscì ad intessere stretti rapporti e conoscenze con il mondo criminale, in particolare barbaricino. Destinato ad altro ufficio, tuttavia, il dottor Lombardini ha indubbiamente, pur non avendone alcun titolo, continuato ad occuparsi di sequestri di persona e proprio per aver ricoperto un ruolo attivo durante il sequestro Melis veniva indagato dalla Procura di Palermo.

Quale il ruolo di questa rete che, come ha dichiarato in un'intervista uno dei suoi appartenenti, quel Carboni che verrà poi arrestato a Palermo, era organizzata dal dottor Lombardini? Quali erano le solidarietà che la mantenevano in vita? A quale scopo le persone più disparate, piccoli imprenditori, geometri, pregiudicati, ufficiali dei carabinieri si associavano tra loro e facevano riferimento particolare al dottor Lombardini?
Le indagini in questo senso della Procura di Palermo sono appena avviate e sono alla stadio di ipotesi di lavoro e quindi è oggi impossibile effettuare una ricostruzione di tutti questi aspetti che sia minuziosa ed attendibile. Certo, numerosi fatti inquietanti si sono verificati negli ultimi casi di sequestri in Sardegna, sui quali il dottor Mura ha riferito al Comitato, come ad esempio una fuga di notizie durante una delle fasi cruciali del sequestro Vinci, per cui il nome del mediatore, che la famiglia aveva individuato per trattare con i sequestratori, venne pubblicato sui giornali e così bruciandolo.
Chi aveva saputo la notizia?
E chi l'aveva passata ai giornali?
Ed ancora, in un momento particolarmente drammatico del sequestro Melis, sull'Unione Sarda comparve il titolo "Momenti decisivi per il sequestro Melis", ma non un articolo né in prima pagina né all'interno che ne spiegasse le ragioni.
Che senso ebbe quel titolo? Molti sono i quesiti che gli stessi inquirenti a Cagliari, che indagano sul sequestro Melis, ed a Palermo si pongono, e solo il prosieguo delle indagini potrà chiarirli. Certo è che sistematicamente, ad ogni episodio di sequestro degli ultimi anni si sono verificati depistaggi, indagini parallele, manovre diversive ad opera di questa diffusa "zona grigia" e che hanno costituito forte ostacolo all'opera della magistratura. Tra le manovre diversive verosimilmente va inquadrata, ad esempio, una fortissima campagna di stampa condotta contro gli inquirenti della DDA di Cagliari, accusati dalla famiglia - e ciò può anche essere per certi versi comprensibile - ma in altri momenti anche da rappresentanti delle istituzioni, di mettere a grave rischio la vita degli ostaggi, applicando la legge. L'intricatissima vicenda del caso Melis, del quale volutamente, date le indagini in corso, non abbiamo compiuto una minuziosa ricostruzione come invece per i casi Soffiantini e Sgarella, sta a testimoniare di quanto diffusa ed efficace sia questa "zona grigia" nel depistaggio delle in dagini ufficiali.
Le indagini sul sequestro di Silvia Melis sono tuttora in corso ed occupano sia la Procura di Cagliari, legittima titolare, ma anche quella di Palermo, per quanto attiene soprattutto alle fasi conclusive della liberazione della giovane professionista di Tortolì. Queste sono ancora lontane dall'essere concluse, ma certo è che in questo caso, in maniera più clamorosa che in altri, questa "rete" si è mossa pesantemente, ha interferito, ostacolato con la precisa e deliberata collaborazione della famiglia stessa che ha finito per esserne strumentalizzata. Questa è ricorsa, anziché ad una stretta collaborazione con gli inquirenti, ad una solidarietà di certi ambienti, soprattutto massonici, convinta com'era che solo questa strada avrebbe portato alla liberazione di Silvia.
Quali, dicevamo, gli scopi di questa "rete" e a che titolo gli associati si impegnavano in vicende così intricate come i sequestri di persona?
Se per qualcuno si possono fare solamente delle ipotesi, aspirazioni di carriera, malinteso attaccamento ad una funzione un tempo ricoperta, frustrazioni personali, per altri gli intenti sono pubblicamente dichiarati. Nicola Grauso, in un'intervista rilasciata a "La Stampa" di Torino, non ha difficoltà ad ammettere di essersi proposto quale mediatore del caso Melis al solo scopo di ottenere gratuitamente facile pubblicità. Se già questa giustificazione suona come frutto di un mostruoso cinismo, il fatto di averla poi sfruttata per un fine politico, per costruire la base per un proprio movimento politico, da una parte trasforma la vicenda in una inquietante operazione di manipolazione del consenso e dagli sviluppi potenziali, oscuri e pericolosi, e dall'altra costituisce una seria fonte di rischio per l'incolumità dello stesso ostaggio. Lo stesso imprenditore del resto, forte forse di qualche solidarietà personale, arriva a promettere, come ha confermato il dottor Di Leo del la Procura di Palermo, a Silvia Melis una forma di rimborso del riscatto pagato, mediante una serie di apparizioni in esclusiva sulle televisioni del circuito Mediaset. Fatto che puntualmente si realizza e che si interrompe solo quando Silvia Melis, insospettita sul reale andamento delle fasi finali del suo sequestro e sul ruolo di Nicola Grauso, non decide di tralasciare questa sua esposizione sui media. E facile ritenere, in conclusione, che quello che la tradizione, accreditata anche da tante istituzioni pubbliche, considerava un fenomeno criminale relegato al mondo agro-pastorale, ad un mondo quindi di subalterni, di economia elementare, in realtà ha oggi altri livelli di azione e di sviluppo. Del resto non si spiegherebbe altrimenti la possibilità, ventilata da tanti esponenti anche di rilievo delle istituzioni sarde, di una trattativa diretta, economica, da parte dello Stato con, ad esempio, alcuni latitanti. Dichiararsi disponibili a trattare la costituzione del latitante da parte di alcuni di coloro che questa latitanza dicono di voler combattere, significa che se ne riconosce per certi versi la legittimità fino a poterla trattare economicamente, quasi fosse una prerogativa, una professiona lità commerciabile.

Non crediamo sia azzardato oggi ipotizzare che si starebbe consolidando in Sardegna una forma di "vertice gestionale" di una certa economia, di una certa politica, di una certa imprenditoria, di cui anche i sequestri di persona possono far parte e che vedrebbero nel controllo di ambiziosi progetti economici e nell'adesione a comuni circoli anche massonici dei protagonisti, il loro collante, la loro ragione sociale. Resta a questo punto da chiedersi se questo supposto vertice gestionale, questa "rete", questa "zona grigia" siano sempre state e intendano operare solo entro i confini dell'isola o, come nel passato, cerchino di esportare in Continente la propria sfera di azione. In questo senso la comparsa, nel caso del sequestro Soffiantini, di un uomo come il generale Delfino, che a vario titolo si era occupato di casi di sequestri di persona solo di matrice calabrese, e per alcuni dei quali fu sottoposto ad indagine dalla DDA di Milano, potrebbe aprire ulteriori spunti di approfondimento. Come poteva il generale Delfino proporsi quale mediatore presso i sardi per Soffiantini?
Attraverso quali canali pensava di operare?
Si potrebbe ipotizzare uno stretto rapporto, testimoniato peraltro da una conoscenza certa e da contatti tra i due proprio in costanza del sequestro Soffiantini, tra Lombardini e Delfino quali possibili comuni appartenenti a centrali segrete e/o a Servizi di sicurezza. D'altra parte inquieta l'episodio del coinvolgimento di due ufficiali dei carabinieri di Brescia, il capitano Acerbi e il tenente colonnello Pinto, nell'inchiesta Delfino, coinvolgimento che a sua volta è difficile ritenere casuale.

La rete sarda e le sue propaggini in Continente sono l'espressione di una tendenza all'autosufficienza tipica del mondo sardo, derivante dall'atavico isolamento e distanza dallo Stato centrale, o sono invece uno strumento usato in maniera spregiudicata dai vari apparati, che così affrontano e risolvono con tornaconti personali non necessariamente sempre economici casi clamorosi e di grande valenza sociale quali i sequestri di persona?
Quest'ultima ipotesi potrebbe fare giustizia di quella che, in altra parte della relazione, abbiamo chiamato "tradizione popolare" e che ascrive ai Servizi un ruolo attivo in alcuni casi di sequestro del passato. Episodi come il caso Lombardini e il caso Delfino starebbero a di mostrare come, a differenza del passato, oggi le istituzioni siano in grado di mettere in luce deviazioni e sanzionarle. Certo è che, al fine di approfondire tutta questa materia, sarà indispensabile che il Comitato continui ad operare seguendo da vicino gli sviluppi delle indagini di Cagliari, Brescia, Palermo e Milano.