L'originaria
formulazione dell'articolo 630 c.p. prevedeva il delitto del
sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione,
già presente nel codice del 1889 con la denominazione
di ricatto. Secondo il testo originario chiunque sequestrava
una persona allo scopo di conseguire, per sé o per
altri, un ingiusto profitto come prezzo della liberazione,
era punito con la pena della reclusione da 8 a 15 anni. La
pena aumentava da 12 a 18 anni di reclusione nel caso di
conseguimento del profitto da parte del reo. Il reato,
collocato nel codice penale fra i delitti contro il
patrimonio, appariva strutturato in modo da garantire
prevalentemente la tutela del patrimonio piuttosto che la
libertà e l'incolumità personali. Fra il 1950
ed il 1970, ma soprattutto fra il 1970 ed il 1974, si
verificò non soltanto un aumento vertiginoso del
numero dei sequestri di persona, ma anche un mutamento delle
motivazioni che erano alla base del rapimenti:
all'originario fine patrimoniale si aggiunsero i cosiddetti
"motivi politici". Sotto la spinta di avvenimenti allarmanti
e della reazione dell'opinione pubblica, il legislatore
dettò una nuova normativa finalizzata al contenimento
del fenomeno. La fattispecie del sequestro di persona a
scopo di rapina o di estorsione di cui all'articolo 630
c.p., rimasta immutata per un gran numero di anni,
subì a partire dal 1974 numerose
modificazioni.
Con la legge 14 ottobre
1974, n. 497 (Nuove norme contro la criminalità), il
legislatore perseguì, dunque, un duplice obiettivo;
dà un lato fece leva sulla forza intimidatoria e
deterrente derivante dall'inasprimento delle sanzioni: la
pena alla reclusione fu aumentata da 8-15 anni a 10-20 anni
nell'ipotesi base ("Chiunque sequestra una persona allo
scopo di conseguire, per sé o per altri, un ingiusto
profitto come prezzo della liberazione...") e da 12-18 anni
a 12-25 anni nell'ipotesi in cui l'intento (e cioè,
l'ingiusto profitto della liberazione) fosse conseguito;
dall'altro cercò di incentivare la liberazione del
sequestrato concedendo all'agente che si fosse adoperato per
rilasciare l'ostaggio senza contropartite una cospicua
riduzione della pena: fu prevista l'applicazione delle pene
previste dall'articolo 605 c.p. (Sequestro di persona), e
cioè la reclusione da 6 mesi ad 8 anni "... se
l'agente o il concorrente si adopera in modo che il soggetto
passivo riacquisti la libertà senza che tale
risultato sia la conseguenza del versamento del prezzo della
liberazione...". Inoltre la legge stabilì
l'attribuzione del delitto in questione (insieme a quelli di
rapina e di estorsione aggravata), prima di competenza della
Corte d'assise, alla competenza del tribunale e
l'obbligatorietà del rito direttissimo nel caso in
cui non fossero necessarie speciali indagini. Negli anni
successivi al 1974 si ebbe modo di constatare che né
gli aggravamenti di pena né il mite trattamento
previsto nel caso di liberazione del sequestrato servirono a
far diminuire il numero dei sequestri di persona. Fu in
occasione del rapimento, prima, e della morte, poi,
dell'onorevole Moro che la struttura dell'articolo 630 c.p.,
rimasta in sostanza invariata dopo il cambiamento avvenuto
nel 1974, fu rivoluzionata con l'emanazione in tutta fretta
da parte del governo del D.L. 21 marzo 1978, n. 59 (Norme
penali e processuali per la prevenzione e la repressione di
gravi reati) convertito, con modificazioni, con legge 18
maggio 1978, n.191. Il nuovo provvedimento introdusse nel
codice penale, all'articolo 289-bis, fra i delitti contro la
personalità dello Stato, la nuova figura del
sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione,
colmando cosi una lacuna dell'ordinamento. Si è resa
in questo modo concreta la possibilità di sanzionare
quei sequestri determinati da motivi 'politici' e diretti ad
ottenere vantaggi o utilità di carattere non
economico. In teoria, anche ipotesi del genere sarebbero
potute rientrare nella fattispecie dell'articolo 630 c.p.,
ma quanto - secondo la giurisprudenza - ai fini della norma
citata, deve intendersi per ingiusto profitto qualsiasi
utilità, anche di natura non patrimoniale,
purché si risolva in una situazione che abbia
rilevanza per il diritto e che costituisca un vantaggio per
il soggetto attivo del reato. In mancanza, pera, di
finalità del genere, i sequestri "politici" non
sarebbero stati punibili ai sensi dell'articolo 630 c.p. e
perciò la previsione del nuovo reato di cui
all'articolo 289-bis serviva, sia pure con ritardo, a
colmare una lacuna dell'ordinamento rispetto al fenomeno
(sconosciuto nel più lontano passato) di sequestri a
scopi estorsivi (Bertomi R., I sequestri di persona tra normativa vigente e
prospettive di riforma? in Cass. Penale, 1984).
Oltre all'introduzione
dell'articolo 289-bis, la legge del 1978 apportò
numerose ed importanti modifiche:
la rubrica fu modificata:
dalla formula "Sequestro di persona a scopo di rapina o di
estorsione" fu eliminata la formula "a scopo di rapina ".
Sia la dottrina che la giurisprudenza erano concordi nel
ritenere errata la rubrica comprendente lo scopo della
rapina: ciò che caratterizza il sequestro, infatti,
è la volontà di conseguire un ingiusto
profitto "come prezzo della liberazione". Se il reo avesse
tolto da sé alla vittima ciò che possedeva, si
sarebbe avuto non ricatto, ma rapina, mancando al profitto
conseguito il carattere di prezzo della liberazione
(Manzini, Trattato di diritto penale, vol. IX). Anche in
giurisprudenza, d'altra parte, si era affermato che "il
fatto rapina non rientra nella struttura del delitto di
sequestro (... ) Il suddetto delitto è essenzialmente
una estorsione e deve esser commesso non già per
impossessarsi di una cosa mobile altrui sottraendola a chi
la detiene, ma per conseguire, per sé o per altri, un
ingiusto profitto come prezzo della liberazione della
persona sequestrata" (Cass. Sez. I, lo marzo 1957); la pena
prevista per l'ipotesi base fu ulteriormente aumentata e
fissata da 25 a 30 anni di reclusione; fu stabilita una
distinzione fra il caso in cui la morte del sequestrato
derivi dal sequestro (caso per il quale fu stabilita la pena
della reclusione ad anni 30) ed il caso in cui, invece, la
morte sia volontariamente cagionata (caso per il quale fu
prevista la pena dell'ergastolo); fu eliminata l'aggravante
del conseguimento dell'intento da parte del colpevole:
infatti, una volta aumentata la pena prevista per l'ipotesi
base fino a 30 anni, venne meno la necessità di
aggravarla nel caso in cui l'intento patrimoniale fosse
effettivamente conseguito; furono previste due ipotesi di
ravvedimento attivo: la prima consistente nel mero fatto
oggettivo della liberazione dell'ostaggio prima del
pagamento del riscatto, la seconda consistente nel
comportamento "... del concorrente che, dissociandosi dagli
altri..." si fosse adoperato in modo tale da far
riacquistare al soggetto passivo la libertà, anche in
questo caso senza che fosse pagato il riscatto. infine fu
previsto il caso che il rapito morisse, dopo la liberazione,
"in conseguenza del sequestro".
Con la legge 30 dicembre
1980, n. 384 (Modifiche all'articolo 630 del codice penale),
il legislatore intervenne nuovamente per modificare
l'articolo 630 c.p.
Con quest'ultimo
intervento, però, il legislatore si è limitato
a rivedere la parte "premiale" dell'articolo in questione,
lasciando inalterate sia la struttura ed il trattamento del
reato-base sia le circostanze aggravanti.
E da sottolineare
l'introduzione di una nuova ipotesi di ravvedimento attivo,
a favore del concorrente che si adopera "per evitare che
l'attività delittuosa sia portata a conseguenze
ulteriori", ovvero "aiuta concretamente l'autorità di
polizia o l'autorità giudiziaria".
Inoltre la legge ha
eliminato l'attenuante consistente nella liberazione
dell'ostaggio prima del pagamento del riscatto lasciando
invece inalterata l'attenuante, già prevista dalla
legge del 1978, per il concorrente che dissociandosi
contribuisca a far riacquistare la libertà al
sequestrato. In seguito alle modifiche di disciplina
apportate col D.L. 59/78 alla la legge n. 894/80, l'oggetto
della tutela tende - come già anticipato
prevalentemente a incentrarsi sul bene della libertà
personale del sequestrato, con conseguente ridimensionamento
della dimensione patrimonialistica sottesa alla originaria
conformazione normativa della fattispecie incriminatrice. Un
simile assunto è, in realtà, supportato sia
dalla soppressione dell'aggravamento di pena
antecedentemente previsto per l'ipotesi di un effettivo
conseguimento del riscatto, e dalla sua sostituzione con la
circostanza aggravante della morte dell'ostaggio, sia dalla
esclusione di una attenuazione della pena per il caso di
mancato conseguimento del profitto, sia infine dal completo
sganciamento della prospettiva premiale dalle vicende
relative al pagamento del prezzo.