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relazione sui sequestri di persona a scopo di estorsione
(Relatore: senatore Pardini)
PARTE SESTA

la legge 15 marzo 1991, n. 82:
critiche e apprezzamenti

La conclusione dei sequestri di Silvia Melis e di Giuseppe Soffiantini ha riaperto una discussione pubblica su tre punti particolari: la validità e l'efficacia della legge 82/91, la controversa figura dell'emissario e la legislazione premiale per i detenuti condannati per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione. Il Comitato ha avuto l'opportunità di ascoltare, su questi argomenti, opinioni e pareri diversi che traevano origine dalla diversa esperienza e sensibilità degli interlocutori. Se la maggior parte degli auditi ha apprezzato i risultati ottenuti e il calo del numero dei sequestri che molti hanno ritenuto essere una delle conseguenze della legge, altri ne hanno criticato alcuni aspetti, suggerendo delle parziali correzioni, altri ancora ne hanno chiesto una radicale modifica mettendo in discussione gli aspetti centrali della legge stessa.

L'apprezzamento più netto è venuto da quasi tutti i componenti dei Comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica, mentre opinioni diverse e a volte contrastanti sono emerse tra i magistrati auditi e tra gli ex sequestrati.
Una delle ragioni che aveva spinto il legislatore del 1991 ad approvare la legge che obbligava il magistrato a bloccare i beni nella disponibilità del sequestrato e dei suoi familiari conviventi, stava nel fatto che si riteneva necessario impedire ogni discrezionalità in capo al magistrato procedente che fino a quel momento era stato libero di decidere, sulla base delle sole convinzioni personali in rapporto al sequestro che stava trattando, se bloccare o meno i beni. Ne erano-nate annose discussioni tra i fautori della cosiddetta linea "dura" e quelli della cosiddetta linea "morbida", cioè tra magistrati che decidevano di bloccare i beni, pur in assenza di una vincolante prescrizione di legge, e magistrati che decidevano di non farlo. Questo comportamento difforme e opposto aveva creato non pochi turbamenti e drammi nei familiari delle vittime e aveva aumentato una ricorrente polemica attorno a sequestri che la stampa definiva, con indubbia efficacia, sequestri di serie A e sequestri di serie B, cioè sequestri che richiamavano l'attenzione della grande stampa nazionale - e per i quali si faceva di tutto per ottenere la liberazione dell'ostaggio compreso, come si sospettò, il pagamento del riscatto da parte di uomini degli apparati dello Stato - e sequestri che invece erano da tutti ignorati, come se non fossero mai esistiti.
I fautori della linea "morbida" erano convinti che qualsiasi intervento dell'autorità giudiziaria potesse compromettere la vita dell'ostaggio, per cui si ritenne che la migliore via fosse quella del non intervento durante la permanenza dell'ostaggio nelle mani dei sequestratori. Le cose cominciarono a cambiare quando non tutti i sequestrati facevano ritorno a casa nonostante i riscatti fossero stati pagati.
Prima timidamente e poi con più nettezza, diverse autorità giudiziarie iniziarono delle attività di intervento a partire dalla fase iniziale del sequestro.
Il clima di quegli anni è stato così sintetizzato dal dottor Fleury:
"In Toscana abbiamo vissuto una fase in cui i sequestrati non tornavano più a casa. Questi fatti hanno in qualche misura condizionato il nostro modo di agire nei sequestri successivi. In alcuni sequestri l'ostaggio non è stato rilasciato ed è stato soppresso. Il riscatto è stato pagato lo stesso e soltanto dopo si è saputo che l'ostaggio era stato soppresso. Dopo queste prime esperienze in cui la magistratura aveva lasciato alla famiglia del sequestrato ampio margine di libertà nel condurre la trattative ed evitando indagini per non disturbare le stesse - e in cui, ripeto, i sequestri si erano conclusi così tragicamente - si è cominciato a pensare a metodologie diverse. Già a partire dalla prima metà degli anni Settanta, sulla base della normativa vigente all'epoca e ad una sua interpretazione un po' forzata, abbiamo iniziato ad applicare il blocco dei beni e, più spesso ancora, il sequestro delle somme che la famiglia destinava al pagamento del riscatto, oltre ad un intervento delle forze di polizia tendente ad intercettare i rapitori nel momento della riscossione del riscatto. Questo tipo di metodologia ha avuto in Toscana dei risultati positivi in quanto si sono cominciati a scoprire gli autori dei sequestri di persona.
Non vi sono state conseguenze negative per gli ostaggi salvo forse il fatto che in certi casi si è prolungata la durata del sequestro".

La scelta della Procura della Repubblica fiorentina ha fatto sì che i sequestri si spostassero nella vicina Emilia-Romagna nella speranza che in quella regione i magistrati adottassero una linea di intervento meno rigida. Il questore di Nuoro, dottor Giacomo Deiana, ha ricordato come prima dell'approvazione della legge lo Stato era stato messo nelle condizioni di piegarsi di fronte al ricatto e la polizia era costretta ad "assistere, a far quasi da notaio all'evolversi delle trattative".
In definitiva la scelta del non intervento da parte degli inquirenti induceva a consolidare la convinzione che il sequestro fosse un fatto privato tra famiglia del sequestrato e sequestratori; tra questi due soggetti - e solo tra loro - doveva svolgersi una trattativa privata che aveva come elemento centrale un baratto: la libertà della vittima in cambio del pagamento; una compravendita con chi usando la violenza si era appropriato di un bene - la vita dell'ostaggio - che apparteneva a chi per riappropriarsene era costretto a pagare. Il dottor Sandro Federico, attualmente questore di Grosseto, che in passato ha seguito direttamente numerosi sequestri in Sardegna e in Toscana, ha rilevato che "il sequestrato viene considerato dai banditi un bene; purtroppo diventa un oggetto con un suo valore. Quindi la trattativa per un sequestro di persona diventa in realtà una compravendita". La persona, nelle mani dei sequestratori, si trasforma in una merce, in un mero strumento di baratto. E ciò a volte crea un particolare stato d'animo in chi subisce il sequestro. Non a caso Giuseppe Vinci ha affermato che "sentirsi oggetto di scambio, strumento di ricatto di questo tipo è davvero umiliante, è una mortificazione".

Lo Stato non doveva intromettersi in questa trattativa privata, non poteva agire; al massimo poteva fungere da notaio. Che i sequestratori abbiano inteso il sequestro nei termini di una trattativa privata è cosa nota. Lo testimoniano i racconti degli ex sequestrati quando parlano delle reazioni dei loro carcerieri alle notizie che i familiari delle vittime intrattengono rapporti con gli inquirenti. Silvia Melis ha notato:
"La prima cosa che loro chiedono è proprio quella, cioè che non si mettano a conoscenza le forze dell'ordine. La cosa che di più li innervosisce è quando la famiglia collabora con le forze dell'ordine".

I sequestratori a volte reagiscono anche alle mobilitazioni estreme. Cesare Casella ha raccontato delle reazioni dei suoi carcerieri dopo il clamoroso viaggio in Calabria di sua madre. Le iniziative della signora Casella ebbero una vastissima eco sulla stampa e su tutte le televisioni.
Ha detto Cesare Casella:
"Si notava che questo episodio dava loro fastidio perché c'è stato un cambiamento di umore... Erano indispettiti del fatto di vedere i loro paesi e le loro case fotografati sui giornali e sono andati fuori di testa".

Anche a Bovalino ci furono numerose mobilitazioni per la liberazione di Adolfo Cartisano. Su iniziativa dei giovani del luogo si costitui un largo fronte antisequestro in un paese di 8.000 abitanti che - come ha ricordato Giuseppe Cartisano - ha subito 18 sequestri di persona. Non si sa come abbiano reagito i sequestratori perché purtroppo Adolfo Cartisano non ha più fatto ritorno a casa.

Negli ultimi anni sono andate via via aumentando le iniziative pubbliche a sostegno dei sequestrati di cui si chiedeva il rilascio. Le ultime si sono verificate durante i sequestri Melis e Soffiantini. Esse sono attestazioni di solidarietà che aiutano le vittime e i loro familiari. Sono anche il segno che il sequestro di persona comincia a toccare vasti strati di popolazione che prendono a considerare il sequestro come un fatto che riguarda tutti e non più come un fatto privato relegato nella sfera dei rapporti tra familiari e sequestratori. Il sequestro, così, appare per quello che è: un delitto odioso che colpisce l'intera comunità e non soltanto le vittime occasionali di quel determinato momento. Tra l'altro questo tipo di manifestazioni sono importanti anche per un altro motivo: creano una cultura diversa da quella finora prevalente, sottraggono consenso ai sequestratori e li isolano nella coscienza pubblica. La discrezionalità dei magistrati venne interrotta dall'entrata in vigore della nuova legge. E comprensibile che ciò abbia prodotto nell'immediato una reazione dei familiari delle nuove vittime che si tramutava in una serie di difficoltà nei rapporti tra gli inquirenti e le famiglie. Ecco come ha descritto la situazione il dottor Mura:
"Da allora non c'è dubbio che progressivamente il rapporto tra la famiglia del sequestrato, le forze di polizia e le autorità giudiziarie è andato progressivamente logorandosi. Il sequestro di un membro di una famiglia di sardi certamente amplifica moltissimo questa situazione di conflitto, questa situazione di tensione, questa scarsa fiducia, perché si parte dalla premessa che tanto il sequestrato, l'ostaggio, non potrà tornare se non si paga il riscatto; siccome il riscatto non si può pagare, siccome l'emissario non si può indicare ufficialmente, o subito, o dopo qualche tempo i rapporti con le forze di polizia si troncano, salvo poi cercare di mantenere il rapporto fiduciario con qualche elemento della polizia o dei carabinieri".

A complicare il rapporto tra familiari e inquirenti è stata anche la radicata convinzione che vi fossero obiettivi diversi proprio tra familiari e vittime.
L'avvocato Giuseppe Frigo, difensore di fiducia della famiglia Soffiantini, ha così sintetizzato la situazione:
"Bisognerebbe cercare di capire che gli obiettivi della famiglia del sequestrato possono essere diversi rispetto a quelli degli inquirenti. Questo però è un male che dovrebbe essere rimosso, perché se la scala dei valori è diversa si crea necessariamente un attrito. La scala dei valori dovrebbe essere la stessa. Sicuramente la famiglia vede al primo posto di questa scala la vita e la libertà del familiare, mentre qualche volta gli inquirenti vedono al primo posto l'individuazione e la cattura dei responsabili".

Anche Giuseppe Vinci ha sottolineato questo aspetto:
"l'obiettivo delle famiglie è riportare a casa il sequestrato, il rapito; quello delle forze dell'ordine è anche questo, ma soprattutto impedire che vengano organizzati altri sequestri; quindi si discostano un po'".

Al di là dei contenuti della legge, ciò che in moltissimi casi ha determinato una vera e propria crisi di fiducia tra familiari delle vittime e inquirenti è stata da una parte la fuga di notizie riservate che ha rischiato di mettere in pericolo la vita dell'ostaggio, dall'altra la qualità delle indagini e la professionalità degli inquirenti che non sempre è stata adeguata, persino sul piano della sensibilità umana nei confronti dei familiari delle vittime che vivevano un dramma sicuramente sconvolgente.

Di fuga di notizie hanno parlato Silvia Melis, Giuseppe Vinci, Giuseppe Soffiantini.

Essi hanno raccontato episodi che segnalano come le lettere da loro inviate o altre notizie segrete erano di dominio pubblico e venivano a conoscenza dei loro sequestratori.
Quanto alla qualità delle indagini la signora Giovanna Ielasi Medici ha affermato:
"c'è stato un momento in cui non sapevo chi erano i veri nemici. Erano i sequestratori?".
La signora Audinia Marcellini Conocchiella ha detto:
"nei rapporti con la magistratura e le forze dell'ordine sono stata particolarmente sfortunata" e ha descritto una serie di divergenze tra le forze dell'ordine e tra queste e la magistratura caratterizzate anche da un reciproco clima di sfiducia; il Procuratore della Repubblica di Vibo Valentia la convoca a casa sua - "non ho ben capito perché" - e le dice:
"non parlare con nessuno, non ti fidare di nessuno, dei carabinieri, della polizia, della guardia di finanza; devi parlare solo con me". Giuseppe Cartisano ha detto:
"Durante gli interrogatori siamo stati trattati come delinquenti". La signora Fausta Rigoli Lupini è convinta che nel suo caso "le indagini non sono state condotte bene".
Francesco Falletti ha espresso in questi termini la sfiducia nei confronti delle forze dell'ordine:
"Non denuncerei il sequestro di mio figlio perché dalle forze dell'ordine posso ottenere solo disturbi ma non aiuti".
Anche Silvia Melis ha parlato di contrasti insorti tra gli inquirenti e la sua famiglia che si è sentita "tradita" perché - a suo dire - una lettera indirizzata al padre e da questi consegnata alla polizia dopo due giorni sarebbe apparsa sui giornali.

E evidente che tali racconti, in parte probabilmente esagerati dato il coinvolgimento emotivo e il mancato ritorno a casa dei loro cari - circostanza, questa, rimarcata dal prefetto di Reggio Calabria dottor Rapisarda -, sollevano in ogni caso il problema della sensibilità degli investigatori e della qualità delle indagini.

Non tutti hanno vissuto un'esperienza negativa, e non sempre i rapporti tra familiari e inquirenti sono stati conflittuali o caratterizzati dalla sfiducia. L'esperienza fatta in Toscana - è l'opinione del procuratore aggiunto Fleury - è stata della "massima collaborazione da parte dei familiari dei sequestrati" nel periodo precedente all'approvazione della legge. "Molto spesso i familiari dei sequestrati hanno mostrato gradimento per il blocco dei beni, anche perché dicevano che questo serviva loro per abbassare il prezzo; se non altro si può avere questo effetto favorevole".
A Brescia i rapporti tra i familiari di Giuseppe Soffiantini e gli inquirenti sono stati positivi. Il dottor Alberto De Muro, prefetto di Brescia, li ha definiti "rapporti di collaborazione piena, quasi di amicizia tra la famiglia e gli organi inquirenti". Il questore di Brescia, dottor Gennaro Arena, ha così descritto la situazione:
"Si è stabilito un rapporto personale, amichevole, tra Carlo Soffiantini, il capo della squadra mobile ed il comandante del gruppo dei carabinieri... La famiglia era quotidianamente informata, per quello che si poteva, degli sviluppi delle indagini e sentiva che la tensione degli investigatori era simile a quella della famiglia stessa. Il Capo della mobile era quasi diventato un fratello per Carlo Soffiantini, per cui il raggiungimento di un risultato positivo era voluto allo stesso modo da entrambi".

L'avvocato Frigo ha confermato "la totale collaborazione della famiglia Soffiantini con lo Stato, quindi con le forze dell'ordine, polizia, carabinieri e magistratura". Carlo Soffiantini, riferendosi agli inquirenti ha aggiunto:
"devo dire che tutte le persone che abbiamo conosciuto avevano notevole spessore, capacità ed esperienza".
Anche a Milano, nel corso del sequestro Sgarella, sembra esserci stato un rapporto di collaborazione tra familiari ed inquirenti. Secondo il questore di Milano, dottor Marcello Carmineo, "i rapporti sono ottimi. Finora la famiglia ha fornito la massima e più completa collaborazione; è in stretto contatto con il pool investigativo e su questo terreno fino ad ora non ci sono stati problemi né sbavature di alcun tipo. Praticamente la collaborazione è stata massima".
Anche il dottor Nobili ha definito "decisamente eccezionali" i rapporti con la famiglia Sgarella.

Il Comitato ha ascoltato critiche ed apprezzamenti sulla legge 82/91. Era inevitabile che così fosse, data la delicatezza della materia trattata e la discussione pubblica sviluppatasi dopo gli ultimi sequestri, in particolare quelli di Silvia Melis e di Giuseppe Soffiantini. I verbali delle audizioni sono ricchi di riflessioni, di spunti, di suggerimenti, di suggestioni. Per una esatta valutazione di quanto è emerso nel corso dei numerosi incontri è opportuno richiamare la principali argomentazioni espresse in merito ai problemi sollevati.

I critici della legge sostengono sostanzialmente tre argomenti:

1) il blocco dei beni è questione che i sequestratori non tengono in alcun conto perché sono preparati ad affrontare lunghi mesi di custodia dell'ostaggio. La legge è anche inutile perché il blocco dei beni è comunque aggirato dai familiari che, in un modo o in un altro, riescono a trovare i soldi per pagare il riscatto. Di questa tesi si è fatta portatrice, fra gli altri, Silvia Melis;

2) con il blocco dei beni l'effetto più sicuro è quello del prolungamento dei tempi del sequestro. Hanno sostenuto questa opinione, fra gli altri, il Procuratore della Repubblica di Nuoro, l'avvocato Cualbu e Francesco Falletti che ha detto:
"il mio sequestro si sarebbe potuto risolvere dopo un paio di mesi invece che dopo sei, pagando tra l'altro una cifra di gran lunga inferiore a quella poi effettivamente pagata, cioè 200 milioni. Fui sequestrato a luglio e già alla fine di settembre si erano messi d'accordo; ma poi intervenne il blocco dei beni per cui la mia liberazione avvenne soltanto dietro pagamento di un riscatto maggiore e dopo un periodo più lungo. Questa e la mia esperienza personale".

3) il blocco dei beni produce un effetto immediato che e quello di "porre gli inquirenti innanzitutto contro la famiglia e la famiglia diventa il nostro secondo nemico". E questa la tesi sostenuta, tra gli altri, dal dottor Pennisi, sostituto procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, secondo il quale l'effetto della legge in Calabria sarebbe stato "nefasto".

Accanto a questi argomenti, che sono quelli prevalenti, ne sono emersi altri che è utile riportare. Il dottor Chessa, procuratore della Repubblica di Nuoro, ha sollevato un problema più di fondo, quello della contraddizione tra due beni che non sono tutelati alla stessa maniera: il bene patrimoniale e la libertà personale:
"vale la pena di allungare il sacrificio di un bene importante, quale la libertà personale, sperando che forse non possa essere pagato il riscatto?
Ne vale la pena?
Noi cioè dobbiamo chiederci tra i due valori, la vita e il patrimonio, quale è quello prevalente.
E quello della vita?
E quello della libertà personale?
Qualunque sia la rubricazione codicistica di - questo reato, che è inserito come sappiamo tutti - nell'ambito dei reati contro il patrimonio, pregiudica un altro interesse, costituzionalmente garantito molto più di quanto non siano gli interessi patrimoniali, quello alla libertà personale, che è un interesse prevalente". L'avvocato Cualbu, presidente dell'Ordine forense di Nuoro, ha anche affermato che se anche si dovesse eliminare il blocco dei beni, ciò non avrà come conseguenza l'aumento del numero dei sequestri. Francesco Falletti ha dichiarato che il blocco dei beni è un provvedimento anticostituzionale, inefficace, antigiuridico, assolutamente illiberale e immorale.
Di parere opposto sono le opinioni di molte altre persone - e sono la grande maggioranza - ascoltate dal comitato. Il dottor Guglielmo Palmeri, magistrato della DNA, e il prefetto Monaco, vice capo della polizia e direttore della polizia criminale, hanno insistito sul fatto che la legge, scegliendo la linea "dura", ha avuto come effetto la diminuzione del numero dei sequestri; e dunque sarebbe un errore modificarla.
L'opinione del dottor Mura, sostituto procuratore della DDA di Cagliari, è che "la misura del blocco dei beni possa e debba essere mantenuta, in termini obbligatori e non discrezionali, ma penso anche che il pagamento del riscatto debba essere previsto non più soltanto per l'individuazione dei responsabili, ma semplicemente come unica misura per arrivare alla liberazione dell'ostaggio". Il magistrato, riferendosi all'opinione che il blocco dei beni porti al prolungamento della durata del sequestro, ha aggiunto:
"è assolutamente falso che il blocco dei beni allunghi il periodo della cattività. Posso infatti indicare tantissimi sequestri in cui vi è stata una cattività lunghissima anche senza che si ricorresse al blocco dei beni. Intendo ad esempio riferirmi al sequestro di Salvatore Troffa, un ricco commerciante sassarese, sequestrato nel novembre 1978 e rilasciato nel luglio dell'anno successivo dopo il pagamento di ben 800 milioni di allora: in quel caso non vi era assolutamen te il blocco dei beni".
Ancora il dottor Mura ha affermato:
"personalmente penso che la normativa sul blocco dei beni non debba essere modificata, cioè che non debba essere introdotta una facoltatività del provvedimento: il blocco o c'è o non c'è... Il problema fondamentale è che si deve passare da una concezione privatistica, o tendenzialmente privatistica, della lotta al sequestro di persona ad una visione completamente diversa in cui è lo Stato che deve farsene carico, così come per tutti i fenomeni criminosi, e particolarmente per quelli che vengono considerati da tutti come i fenomeni criminosi più gravi e quindi che certamente attentano all'ordine pubblico in misura pesante, facendo dello Stato il protagonista fondamentale".

Anche il dottor Giuseppe Porqueddu, procuratore della Repubblica di Sassari, si è dichiarato "assolutamente favorevole al blocco dei beni perché effettivamente lo Stato non può lasciare la partita nelle mani del sequestratore e dei familiari dei sequestrati". Giuseppe Vinci ha affermato:
"attribuire la responsabilità di tutto questo alla legge è un po' sminuire l'entità del problema".
Per Giuseppe Soffiantini "dire che bisogna abolire questa legge mi sembrerebbe troppo semplicistico". Anche Cesare Casella e sua madre sono dell'opinione che il blocco dei beni vada mantenuto. Il dottor Carlo Macrì, sostituto procuratore generale di Catanzaro, ritiene che la legge ha "indubbiamente un valore di remora per il compimento dei sequestri". Nel contempo ha sollevato un problema di primaria importanza:
"un provvedimento che impedisce in maniera rigorosa il pagamento del riscatto deve presupporre la capacità dello Stato di arrivare alla liberazione del sequestrato in tempi congrui. Se lo Stato non ha la capacità di liberare l'ostaggio in tempi brevi, cioè nel giro di alcuni mesi, allora non vedo come si possa impedire in assoluto il pagamento del riscatto".