TORINO - Ostaggi dei banditi che hanno sequestrato il piccolo Farouk, dello Stato italiano che ha bloccato i loro beni e forse anche di due sciacalli che hanno tentato di estorcere 2 milioni e mezzo di dollari, circa 3 miliardi di lire. Potrebbe essere questa la situazione della famiglia belga- libanese Kassam, a due giorni dall' arresto, a Viverone, cittadina che si affaccia sull' omonimo lago in provincia di Vercelli, di due nordafricani coinvolti nell' inchiesta sul rapimento. Si tratta di due fratelli di nazionalità marocchina, Mohamed e Abdel Aziz Moutazakki, 29 e 33 anni, residenti a Desenzano del Garda, in provincia di Brescia. Il più anziano si presenta come laureato in Economia e dice di essere un mediatore di affari. Il procuratore di Biella Federico Panichi li accusa di concorso in sequestro di persona. Il sospetto degli inquirenti è che siano "sciacalli" che hanno tentato di farsi pagare il riscatto, fingendosi i rapitori di Farouk. Ieri, in serata, gli arrestati sono stati interrogati dal sostituto procuratore Mario Mura, coordinatore del pool antisequestri di Sassari giunto dalla Sardegna. E al magistrato i due marocchini hanno dato una versione che contribuirebbe a renderli molto distanti dalla banda che ha organizzato il kidnapping nel regno dell' Aga Khan. "Non c' entriamo nulla con il sequestro - si sono difesi - Ci è venuta l' idea di telefonare al padre di Farouk leggendo i giornali. Ci faceva pena sapere che c' era un cittadino musulmano che soffriva perchè non aveva più notizie del figlio. E così abbiamo deciso di rasserenarlo dandogli noi notizie sul piccolo Farouk, dicendogli di non preoccuparsi perchè stava bene. E per farlo abbiamo telefonato al parroco spacciandoci per i sequestratori e dicendogli di riferire alla famiglia i nostri messaggi". Uscendo dall' ufficio del giudice per le indagini preliminari, il sostituto Mauro Mura, dopo aver affermato che "verosimilmente, si è trattato di un atto di sciacallaggio", ha ricordato "l' appello per il silenzio stampa lanciato dalla famiglia Kassam", invitando a rispettarlo poichè "la vita del bambino è veramente in pericolo". Il gip, Carlo Gaddi, in serata ha convalidato il fermo di polizia giudiziaria per i due fratelli con l' accusa di tentata estorsione. Fin dall' inizio, del resto, gli inquirenti avevano nutrito seri dubbi che i telefonisti facessero effettivamente parte della banda, anche perchè non avevano rispettato la condizione fondamentale per poter iniziare una trattativa di questo genere. Non avevano dato, cioè, prove certe sullo stato di salute del sequestrato. I sospetti che fossero sciacalli si erano poi rafforzati quando era emerso, attraverso le intercettazioni, che le telefonate arrivavano dal Piemonte. Non s' era mai verificato, infatti, nella storia dell' "anonima sarda", che un rapito lasciasse la Sardegna. E' stata una donna poliziotto della Squadra Mobile di Torino a bloccare Abdel Aziz, mercoledì sera, puntandogli la pistola alla testa mentre stava parlando con il parroco di Porto Cervo, l' incaricato della famiglia del rapito che fa da intermediario con i sequestratori per consentire ai familiari del piccolo ostaggio, di fede musulmana, di non trasgredire ai dettami del Corano che vietano di rendersi complici di un misfatto. Il fratello Mohamed, invece, si trovava al volante di una "A112". Doveva essere una delle ultime telefonate, quella per concordare il posto dove lasciare i soldi, dopo una lunga trattativa iniziata dieci giorni dopo il sequestro e che aveva portato ad un accordo sull' entità del riscatto. E proprio mentre le trattative parevano avviarsi verso la fase conclusiva, la superprocura di Cagliari aveva disposto il sequestro in tutta Italia del numero del settimanale Epoca che aveva pubblicato una lettera scritta dal piccolo Farouk. Intanto, polizia e carabinieri da tempo stavano controllando le cabine telefoniche di alcune cittadine del nord Piemonte, in provincia di Torino e di Vercelli, nel Canavese e nel Biellese, da dove erano partite le telefonate all' intermediario della famiglia Kassam. telefonate all' intermediario della famiglia Kassam. La trappola scatta mercoledì sera. Quando a Porto Cervo squilla il telefono a casa del parroco, i poliziotti e i carabinieri in Piemonte bloccano tutte le persone che stanno telefonando dai posti pubblici controllati. Sono una decina le persone bloccate al telefono durante il blitz, fra cui anche un carabiniere. Ma i marocchini vengono subito smascherati e portati nel commissariato di Biella.