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la Repubblica - Domenica, 7 giugno 1992 - pagina 21
di MARINA GARBESI

Solo silenzi a 5 mesi dal sequestro. Il giallo degli stivaletti
' SU FAROUK CHI SAPEVA HA TACIUTO' L' ARMA ACCUSA: BASTA OMERTA'

Il colonnello Tornar: ' Sardi, abbandonate viltà e ipocrisie e collaborate'

ROMA - Un atto d' accusa, senza precedenti per asprezza, contro l' omertà che avvelena la Sardegna. Un grido d' allarme per la vita in bilico di un bambino, da cinque mesi ostaggio dell' Anonima. Parole affilate, amareggiate. Non sono calate dalla tribuna di un politico. Le ha pronunciate un uomo in divisa, il colonnello Arturo Tornar, comandante della Legione Carabinieri di Cagliari, investigatore di punta nel sequestro di Farouk Kassam, rapito il 15 gennaio in Costa Smeralda. Spogliatosi del riserbo militare, il colonnello Tornar ha mirato al cuore del problema: in questa vicenda, ha detto, "chi poteva parlare ha taciuto". Dunque è stato vile, o addirittura complice. Paura, ipocrisia, omertà. Sono i "vizi" della terra sarda, secondo Tornar, che nemmeno un bambino di otto anni minacciato di morte è riuscito a scalfire. Il colonnello, già impegnato nelle indagini di altri sequestri, ha scelto la platea della Festa dell' Arma per dire forte e chiara la sua disillusione, la sua rabbia di "detective" intrappolato nel muro di gomma del silenzio, della calcolata "non collaborazione" della gente. Davanti alle autorità della regione e a migliaia di persone ha esordito: "In questa amata terra di Sardegna, accarezzata da un mare di cristallo azzurro e soffusa dal profumo del mirto, dove si trovano lembi di Grecia, di Spagna e di Oriente e dove ancora sembrano esistere la generosità e il credo del giusto, udiamo però sempre più lontano il pianto disperato di un bambino ormai da cinque mesi nelle mani di squallidi individui, spietati ricattatori, protagonisti di un ripetuto copione che li vede maschere tragiche in attesa che il terrore delle vittime suggerisca loro la trama dell' ultima scena. Un epilogo che si svolge in un teatro di seggiole vuote, immerso nel fumo dell' omertà, della paura e soprattutto dell' ipocrisia. Ipocrisia dei tristi silenzi di chi poteva parlare e non ha parlato, di chi potrebbe parlare e non parla perché pellegrino irrisolto dalla doppia natura di imbelle e di complice". "Rituali avvilenti che portano solo morte e sconfitte - ha aggiunto Tornar - Non devono dimenticare, quegli individui, che anche il loro comportamento giungerà al giudizio finale, e allora sarà troppo tardi per chiedere perdono". Frasi da pulpito di chiesa, accorate, dietro le quali si legge non solo la condanna per i criminali ma anche il rancore per l' infrangibile cortina di indifferenza che ha circondato questo sequestro. Come dimostra l' appello che segue: "Fiera e generosa gente di Sardegna, si dica basta a un codice di barbarie che in nome di una folle interpretazione della giustizia e del prestigio dell' uomo contempla la pena di morte, la vendetta e l' omertà; si dica basta alla violenza di una minoranza che offende la laboriosa vita quotidiana degli onesti e la cultura di un popolo che si è formato sul sacrificio, sul lavoro, sul coraggio. Si dica basta alla cultura dell' incomunicabilità e di quella ancor più sottile e pericolosa che tende a creare nelle vittime dirette o indirette dei sequestri, che non si piegano al ricatto, il rimorso per la loro determinazione, paragonandoli ai carnefici che li crocefiggono". Tornar ha chiuso con un invito a sostenere il lavoro degli inquirenti, cosa che evidentemente non è accaduta finora. Un lungo applauso ha segnalato che il messaggio era stato recepito. Prima di lui, il giorno di Pasqua, era stata la mamma di Farouk in una chiesa di Orgosolo a tentare di rompere la rete dei silenzi, sperando anche di riallacciare i contatti sfumati da mesi coi rapitori. Qualcosa si sarebbe inceppato da subito in questo sequestro. Pare che ci siano addirittura motivi religiosi a complicare le "comunicazioni" con la banda. La fede del padre di Farouk, che è ismailita, membro della comunità dell' Aga Khan, costituirebbe, secondo alcuni, un serio impedimento nelle trattativa con l' Anonima. Ogni mediazione, anche solo ogni "contatto", sarebbero ritenuti colpevoli. Confortato dalle lettere che proverebbero che il bimbo è vivo, papà Kassam resiste con pazienza senza cercare, né favorire, l' appoggio degli investigatori. Ieri, intanto, mentre continuavano le battute nell' entroterra di Arzana, diventava concreto il sospetto che fossero di Farouk i due stivaletti di gomma da bambino, trovati nell' auto di alcuni banditi dopo uno scontro a fuoco coi carabinieri. Non si esclude che la macchina da cui sono partiti gli spari fosse un' auto civetta, che copriva il passaggio di alcuni latitanti. I rapitori di Farouk? Va ricordato che quando fu catturato, il bambino era scalzo e gli stivaletti, del numero 32, gli calzerebbero perfettamente.