Mesina: ' Ho mediato, so cosa rischio' Il procuratore Melis: ' Il rilascio del bambino è avvenuto a seguito di una mirabile operazione di polizia' Mentre lo Stato smentisce, in un' intervista al Gr2 l' ex bandito conferma: ' Non ho mai avuto contatti con le forze dell' ordine, ma avevo il consenso della magistratura'
NUORO - Mesina parla, racconta, vuota il sacco: " Sì, sono stato io a mediare. E l' ho fatto con il consenso della magistratura. Le forze dell' ordine? No, con loro nessun contatto...". Dopo il rilascio di Farouk, ecco questa nuova bomba che esplode. Ma Grazianeddu, al microfono del Gr 2 sembra tranquillissimo: "Così sono andate le cose. So benissimo quello che mi può succedere. Ma non mi preoccupo. La cosa più importante è che il bambino sia tornato a casa...". Come un giallo. "Vai, e questa volta porta il piccolo a casa". Grazianeddu riattaccò il telefono e sospirò. Scostò le tende della finestra del piccolo soggiorno e scrutò la strada. Non c' era anima viva in giro. Anche gli alberi, i grandi alberi di sughero che circondano Orgosolo, erano immobili. Tutto sembrava sospeso, bloccato. Perfino il tempo. Guardò d' istinto il vecchio orologio a pendolo: le lancette segnavano le 21 e 10. Era venerdì, venerdì sera: il giorno decisivo. Il piccolo sarebbe tornato a casa. L' avrebbero rilasciato dopo 5 mesi. Farouk Kassam poteva riabbracciare i suoi, la madre, il padre. E lui, il bandito d' un tempo, la primula rossa della Barbagia, reduce da 30 anni di carcere e confinato in Piemonte, ad Asti, lontano dalla sua Sardegna, si sarebbe riscattato. Era ad un passo dal sogno inseguito da qualunque ergastolano. Riabbracciare il sapore della libertà, ottenere la grazia che l' ex presidente Cossiga gli aveva negato. Due mesi di trattativa, di contatti, di mediazioni. Due mesi scanditi da viaggi, spostamenti, telefonate, pressioni e minacce, non avevano scalfito la sua immagine di uomo di rispetto e il suo orgoglio inossidabile. Per chiudere la partita più difficile della sua vita mancava solo l' ultima mano. La più rischiosa, la più imprevedibile. La folla di giornalisti, fotografi e semplici cittadini, invade come una marea il tribunale di Tempio Pausania. E' sabato mattina, ore 11. I massimi responsabili delle indagini sul sequestro dell' anno convocano la stampa. Dietro il lungo tavolo dell' aula d' udienza, siedono il procuratore capo di Cagliari Giorgio Melis, il giudice Mauro Mura, titolare dell' inchiesta, Salvatore Mulas, capo della squadra mobile di Nuoro, il colonnello Sergio Frau, responsabile dei corpi speciali dei Carabinieri. E poi Biagio Di Meo, questore di Sassari, il procuratore di Tempio, Volpe, gli uomini dei nuclei speciali antisequestro. Facce che tradiscono uno strano nervosismo. Ci sono troppe contraddizioni, troppi vuoti negli orari, troppe versioni sul rilascio del piccolo Farouk. Il compito di mettere ordine nei tempi e nelle modalità di questo giallo è affidato al procuratore Melis. Il magistrato soffia le parole nel microfono con un filo di voce: "La liberazione del bambino Farouk Kassam è avvenuta a seguito di un' operazione di polizia mirabilmente eseguita da parte di tutte e tre le forze dell' ordine. Trecento uomini hanno stretto d' assedio la zona dove ritenevamo fosse il gruppo di sequestratori e li ha costretti a rilasciare l' ostaggio. Il piccolo è stato liberato in una zona impervia, nelle montagne di Dorgali, vicino al ponte sul fiume Cedrino. Attorno a questo gruppo di banditi si stava stringendo un cerchio implacabile. Sono stati costretti a rilasciarlo. E lo hanno fatto esattamente alle 0,45, cioè all' una meno un quarto di venerdì notte". Ma la versione ufficiosa racconta altre cose. Il telefono squillò alle 22 e 05 di venerdì. Graziano Mesina afferrò la cornetta. Ascoltò, senza parlare. Dall' altro capo del filo gracchiò la voce amica: "Ho il bimbo, cosa faccio?". Pochi secondi di grandissima tensione. L' ex bandito del Supramonte rispose di getto. Secco e deciso: "Portalo in strada e consegnalo alla prima camionetta che passa". La comunicazione s' interruppe. Pensò velocemente. Chiamò il suo contatto, un giornalista. Aveva promesso di avvisarlo e così fece. "E' stato rilasciato". Grazianeddu respirò profondamente e crollò, vinto dalla stanchezza, nel divano del soggiorno. Orgosolo tornò come d' incanto a rianimarsi. La gente scese per strada, il parroco fece suonare le campane, qualcuno aprì il bar. Squillò di nuovo il telefono in casa Mesina. Era il sindaco Monni. Grazianeddu confermò la notizia. Ne parlava ormai anche la tv. La Rai. L' ex re del Supramonte tornò a pensare a due giorni prima. La liberazione di Farouk era imminente. Gli onori della cronaca sarebbero spettati proprio al sindaco: lui doveva solo consegnargli il bimbo. Ma era successo un brutto intoppo. Era saltato l' accordo sul riscatto. Qualcuno aveva avvertito la banda di rapitori che la controparte era disposta a pagare oltre la cifra stabilita. Non un miliardo, ma molto di più. Due miliardi e ottocento milioni. La banda si era irrigidita: dieci uomini e una donna disposti a tutto, guidati da una mente raffinata. Un insospettabile. Ognuno aveva il proprio ruolo e tra loro non si conoscevano. Nessun rischio di confessioni, in caso di arresto. L' emissario di fiducia di Mesina era tornato a mani vuote. La situazione diventava pericolosa. Si era giocato su due fronti paralleli e adesso bisognava pagare tutta la cifra. I soldi, del resto, erano stati trovati. Sempre qualcuno li aveva tirati fuori. Qualcuno che rappresentava uno dei due fronti. La storia di Cascella si ripeteva. Era intervenuto lo Stato. Qualcuno lo aveva sollecitato a intervenire, a farsi promotore di questa lunga mediazione in corso ormai da 177 giorni. Nell' aula d' udienza del Tribunale di Tempio parla ancora il procuratore capo Melis. La sua è una raffica di smentite. "Le notizie relative alla mediazione di un noto personaggio sono destituite di fondamento. Non è stato pagato alcun riscatto, non c' è stata alcuna mediazione". E ancora, con voce sempre più dura: "Non è avvenuta alcuna sparatoria. Tutto si è svolto nell' ambito della legge. Solo la tenacia e la costanza delle forze dell' ordine ha ottenuto la liberazione del piccolo ostaggio. Nella notte tra mercoledì e giovedì scorsi 300 uomini hanno passato palmo a palmo il luogo dove era tenuto prigioniero il bimbo. E i banditi hanno pensato di rilasciarlo perchè ormai si sentivano braccati". Graziano Mesina accese la tv. Le notizie sulla liberazione non venivano confermate dagli inquirenti. Guardò ancora il vecchio pendolo: era quasi mezzanotte. Squillò il telefono. Era il suo uomo. "Abbiamo incontrato una camionetta. Ma non avevano la radio. Non hanno potuto avvertire la questura di Nuoro. Adesso lo stanno portando lì". Le voci continuavano a rimbalzare da una città all' altra. Anche il Viminale non confermava. Cresceva l' imbarazzo e il nervosismo. L' ultima telefonata di quel venerdì notte, arriva poco prima dell' una. C' è la conferma ufficiale. Farouk Kassam, infreddolito, magro, affamato ma felice viene abbracciato e coccolato dagli investigatori. Il padre lo stava aspettando in una piazza vicina. Da oltre un' ora. Dopo Melis, parla il giudice Mura. Risponde ancora alle domande sul ruolo di Mesina. "Nessuna rivelazione può essere fatta su questo punto". Il Procuratore capo di Cagliari gli strappa il microfono: "Smentisco categoricamente ogni sorta di mediazione di questo personaggio. Pure fantasie". Poi sferra un attacco alla stampa: "Con le vostre rivelazioni avete rischiato di compromettere l' esito di tutta la vicenda. Chi ha violato il segreto istruttorio pagherà. E duramente". Melis chiude la conferenza stampa con un appello: "Farouk resta con noi, non lasciare la Sardegna". Ma la famiglia Kassam è già decollata verso la Francia.