C'ero anch'io. Pallido e teso, furioso e dimesso, Matteo Boe confessa. "Ho custodito Farouk Kassam". Neanche una parola, tutto per iscritto. Ieri mattina ha consegnato al gip un memoriale di quattro pagine e chiesto il rito abbreviato. Tutti d'accordo, pubblica accusa e parte civile. Processo già fissato, undici aprile, che poteva essere celebrato in tempo reale ma bisogna attendere uno stop imposto dalla corte costituzionale. Pazienza. Nel frattempo si sappia che "Ciriaco Marras e Mario Asproni sono del tutto estranei al sequestro, perché io vi ho preso parte". Anzi, a dirla tutta, Boe non credeva di dover fare il carceriere di un bimbo, aspettava l'arrivo di un adulto, un "uomo arabo". Incerti del mestiere: come accade con gli acquisti per corrispondenza, gli hanno spedito l'articolo sbagliato. E, a quel punto, non stava bene tirarsi indietro. "Dalla Costa non potevano tornare a mani vuote", spiega la compagna, Laura Manfredi. Comunque sia chiaro che non ha tagliato l'orecchio dell'ostaggio e neppure visto una lira del riscatto. Non c'è pentimento o atto di dolore. A spingere l'ex latitante di Lula ad accendere video e audio coi signori della giustizia dopo un lungo e sprezzante mutismo è stata solo un'esigenza morale: tirare fuori dai guai Marras e Asproni, i due compaesani condannati a trent'anni di reclusione a causa di una serie di foto-ricordo che gli erano state trovate in tasca il giorno dell'arresto, estate '92 a Portovecchio. Non fosse stato per quelle foto, Marras e Asproni non sarebbero finiti in galera. Dunque un certo conto in sospeso c'è. Per il resto, nessuna sottomissione a un sistema di potere "ingiusto e colonialista". Trentotto anni, una ragguardevole collocazione nella lista della Criminalpol (ventesimo posto assoluto), Matteo Boe ha deciso di fare una clamorosa inversione di marcia. Che ha qualche inevitabile contraccolpo, a cominciare dalla convergenza con la tesi ufficiale, la contestatissima versione fornita a suo tempo dal sostituto Mauro Mura e dal procuratore Franco Melis. Davvero Farouk fu liberato senza che fosse pagata una lira di riscatto?, davvero fu deciso che non poteva essere ucciso un innocente? Graziano Mesina è solo un venditore di gazzosa, dissero a palazzo di giustizia all'indomani della liberazione di Farouk, altro che salvatore della patria. In un certo senso adesso Matteo Boe conferma. Anche se la sua, come preme sottolineare a Laura Manfredi, e "soltanto una verità processuale". Vuol dire che potrebbe essere tutto falso, che Boe non ha preso parte al sequestro? "Vuol dire questo e basta". Per Mesina, che insieme al nipote Raimondo Crissantu deve rispondere di favoreggiamento, sarà un bel problema dimostrare il contrario. L'ergastolano, zoccolo duro delle prigioni d'Italia, ha disertato ieri l'udienza davanti al gip e aspetta un regolare processo. "Non mi interessa esserci", ha confidato al difensore, Bernardo Aste, che lo assiste insieme alla torinese Gabriella Banda. Ha altri problemi. Ad Asti lo hanno accusato di aver acquistato e venduto un chilo di eroina mettendosi in diretta (e pericolosa) concorrenza con la mafia locale durante i giorni della libertà vigilata. Fra tre settimane lo aspetta poi il processo d'appello per le armi, per quell'arsenale che gli fu trovato nel casolare di San Marzanotto dove faceva il guardiano per conto di un corregionale, il fonnese Michele Quai (anche lui in carcere). Condannato a otto anni e mezzo in primo grado, si attende molto dal nuovo processo, visto che ha sempre sostenuto d'essere innocente. "Mi hanno fatto pagare il caso Kassam". Ad accusarlo, ora, non c'è solo lo Stato, polizia e magistratura. Ieri Matteo Boe ha sostanzialmente avvalorato la tesi delle forze dell'ordine: l'ostaggio tornó a casa senza pagamento di riscatto. Vale la pena di ricordare a questo punto che a Tempio, nel corso del processo contro Asproni e Marras, Graziano Mesina disse in aula che la liberazione del bambino costó esattamente due miliardi, uno pagato indirettamente dai familiari e l'altro dai servizi segreti. Nessuno l'ha smentito, nessuno l'ha incriminato per queste affermazioni. Il che autorizza a credere che abbia detto la verità. O no? Il caso si fa complicato. E se alcuni retroscena appaiono evidenti, altri galleggiano nel buio. Facile capire perché Boe abbia chiesto il rito abbreviato: con questa formula ha diritto allo sconto di un terzo della pena. Tenuto conto dei suoi arretrati con la giustizia (sedici anni per il rapimento di Sara Niccoli, sei per l'evasione dall'Asinara), potrebbe evitare il famigerato cumulo ossia un arrotondamento di pena all'ergastolo. Facendo un'ottimistica previsione, potrebbe tornare in libertà tra una ventina d'anni a patto di chiudere in bellezza gli altri due processi in lista d'attesa (sequestri De Angelis e Perrini). Molto provato, scosso (e non solo dai trasferimenti in auto, che lo fanno stare da cani), sta giocando in difesa per strappare alla galera se stesso e i due compaesani che ha messo nei guai. Quando dice, perentorio e notarile, d'essere in grado di affermare che Marras ed Asproni non c'entrano col rapimento Farouk, deve necessariamente offrire una prova forte, granitica: c'ero io, loro no. Aveva provato a dire di meno ma senza grande successo quattro mesi fa al processo d'Appello: poche parole di fronte alla corte per scagionare quei due, disgraziatissimi protagonisti di disgraziatissime fotografie. Il risultato ottenuto non è stato eccellente: condannati in primo grado a ventisei anni, Marras e Asproni sono passati a trenta dopo la sua deposizione. Ci voleva, quindi, qualcosa di più incisivo, più determinato: per esempio, una confessione. Esplosa ieri, con la grazia di una bomba. Assenti Mesina e Crissantu, Boe è atterrato alle nove in punto in un'aula gelida e deserta, gabbia della Corte d'Assise, cornice di otto carabinieri e divieto d'accesso a chiunque. Da circa due settimane è un detenuto sottoposto al trattamento del 41 bis (lo stesso, per intenderci, di Toto Riina) e non puó essere avvicinato per alcun motivo. Peggio: i figli (il più grande ha appena sei anni) non potranno vederlo per almeno un anno, dovrà parlare col suo avvocato attraverso un cristallo blindato. "Un sistema di tortura", dice lui. "L'ennesima infamia di un processo-farsa", puntualizza Laura Manfredi. L'udienza è durata meno di un'ora. Abito di velluto scuro, lupetto verde bottiglia e anfibi, Boe non ha fiatato. Si è limitato a dare un'ultima occhiata al memoriale e ad aggiungere con la biro un termine (colonialista) sfuggito in prima stesura. Poi ha ascoltato il suo avvocato, Franco Luigi Satta, chiedere il giudizio per rito abbreviato. D'accordo il pubblico ministero Mauro Mura, d'accordo anche il rappresentante di parte civile. Non ci fosse stato un inghippo burocratico-giudiziario rimesso alla corte costituzionale, si sarebbe cominciato subito. La posizione di Graziano Mesina e del nipote è stata stralciata, gli atti trasferiti al gip di Nuoro dove sarà definito il processo. Alla fine, tutti soddisfatti. A nome di Fateh Kassam, l'avvocato Mariano Delogu ha detto che non c'è fretta poiché "il nostro scopo è solo quello di ottenere un risarcimento danni". Ha senso avviare un'azione di questo tipo? "Tagliano l'orecchio a un bambino e, secondo voi, non dovremmo chiedere danni? ". A proposito di orecchio, Boe ha precisato nel memoriale di non aver mai sfiorato Farouk. Il chirurgo, dice, è un amico del basista, descritto come un giuda da primato. Giuda a tal punto da non aver soltanto tradito la fiducia di Fateh Kassam ma anche quella dei rapitori. Tant'è che, messo alle corde dai suoi stessi complici, avrebbe ammesso di aver sbagliato tutto. "Era stato lui a compiere un errore di valutazione". Errore grave perché, a sentir Boe, Kassam non aveva alcuna intenzione di pagare ed era indifferente anche all'idea di "cagionare la morte del bambino, cosa che nessuno di noi, ed io per primo, sarebbe stato mai disposto a determinare". Da qui la decisione di rinunciare, mollare l'ostaggio e tagliare la corda. Grosso modo è quello che, nella tempestosa serata della liberazione (11 luglio '92) dichiaró il procuratore Franco Melis: "Il bambino non è stato affatto liberato da Mesina. La verità è un'altra: abbiamo individuato la zona dov'era tenuto prigioniero il piccolo Farouk. Con una manovra di accerchiamento... ". E i servizi segreti, i soldi del riscatto, scene e controscene di quella che fu chiamata la notte delle menzogne? Alla prossima puntata, undici aprile, tribunale di Tempio. La nuova verità, vangelo secondo Matteo.
Giorgio Pisano