Dritti al cuore del sequestro dei misteri. Si ricomincia da Matteo Boe e Graziano Mesina stamattina davanti al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cagliari, Michele Jacono, che dovrà dare il via al secondo processo per il rapimento di Farouk Kassam. Il pubblico ministero Mauro Mura ha messo sotto accusa due illustri ex primule rosse del banditismo. L'ex latitante di Lula è accusato di essere il capo della banda, l'anima del sequestro dal prelievo del piccolo ostaggio dalla villa di famiglia in Costa Smeralda il 15 gennaio del 1992 alla sua custodia per sei lunghi, drammatici mesi nella grotta sul Montalbo. L'ex re del Supramonte deve rispondere di favoreggiamento e, se fare l'emissario è reato, è praticamente reo confesso avendo praticamente urlato al mondo intero il suo «interessamento» al caso del bimbo di Porto Cervo. Il gip dovrà decidere se rinviarli a giudizio davanti al Tribunale di Tempio. Matteo Boe sarà a Palazzo di giustizia e ha tutta l'intenzione di difendersi da un'accusa che ha sempre respinto nonostante la pesantissima ipoteca di un riconoscimento fotografico di Farouk nelle indagini preliminari e delle due sentenze del processo Asproni-Marras che ruotano intorno all'assioma della sua colpevolezza. Graziano Mesina, invece, ha rinunciato ma ha dato mandato ai suoi avvocati perchè l'udienza si possa comunque svolgere. Si ricomincia da dove sarebbe dovuta iniziare la storia processuale del sequestro Kassam se i tempi lunghi dell'estradizione di Boe non avessero costretto allo stralcio della sua posizione da quella di Mario Asproni e Ciriaco Marras, condannati a trent'anni sabato scorso dalla Corte d'appello di Sassari. La svolta nell'inchiesta arriva nell'autunno del 1992. In ottobre l'inafferrabile latitante viene arrestato a Porto Vecchio, in Corsica, durante un incontro con la sua compagna Laura Manfredi, in attesa del terzo figlio, e i due bambini. In una borsa la polizia trova una serie di foto e negativi molto compromettenti. Raffigurano Boe e altre due persone davanti a una grotta. Si va avanti in silenzio e, un mese dopo, si arriva ad identificare la grotta sul Montalbo che più tardi sarà riconosciuta da Farouk Kassam come la sua prigione. Finisce in carcere Ciriaco Marras, 28 anni, lulese, mentre un anno dopo toccherà al compaesano Mario Asproni, 38 anni, che nel frattempo si era dato alla latitanza. Matteo Boe, tornato in Italia qualche mese fa, nell'aula della Corte d'appello ha fatto i salti mortali per non cedere di un millimetro sulla sua posizione cercando però di salvare i due compaesani che si erano fatti immortalare in sua compagnia. Ha dato la sua versione dei fatti, parlando di incontri che non avevano niente a che vedere con un sequestro ma c'era solo la sua parola (oltre a quella della sua compagna) e i giudici non gli hanno creduto. Graziano Mesina, invece, ha raccontato tutta la sua verità a Tempio, nel processo di primo grado. Era un Mesina già travolto dall'inchiesta sulle armi ma non ha avuto alcuna esitazione nel ripetere di fronte al pubblico ministero le verità più scomode: il pagamento del riscatto e la partecipazione finanziaria dello Stato al prezzo della libertà di Farouk. Stato e servizi segreti: Mesina li ha chiamati in causa più volte senza altra prova che la sua parola. È stato invece ampiamente provato che, durante la prigionia di Farouk, Boe ebbe un incontro con agenti dei servizi. Ma non si è mai approfondito il tema di quell'incontro. I punti più importanti della storia di Farouk Kassam sono stati appena sfiorati nel primo processo. È per questo che l'udienza di oggi va molto al di là della semplice suggestione di due generazioni di banditi a confronto.