indice 

    

Al processo assente l'orgolese Raimondo Crissantu

 

"Il tassista di Mesina"

 

Accusato di favoreggiamento come lo zio

   

Raimondo Crissantu? «È il tassista di Mesina: delle trattative per il rilascio di Farouk Kassam, lui non sa niente». L'avvocato Bernardo Aste regala certezze. E aggiunge altri particolari sul ruolo del nipote di Graziano per il quale il sostituto procuratore Mauro Mura ha chiesto il rinvio a giudizio. «Mesina non ha la patente. Quando gli è stato chiesto di occuparsi del sequestro Kassam ha telefonato al nipote che lo ha scarrozzato per la Sardegna». Un tassista molto particolare chiamato a rispondere delle stessa accusa dello zio: ha organizzato i contatti con i rapitori e ha condotto le trattative per il rilascio dell'ostaggio, discutendo il prezzo e le modalità del riscatto. Nato a Orgosolo 25 anni fa e fratello di Tonino (in carcere perché coinvolto nelle inchieste sui sequestri di Giuseppe Vinci e Ferruccio Checchi), Raimondo Crissantu ha ammesso di aver accompagnato lo zio nella sua singolare missione. Interrogato una prima volta il 21 ottobre del 1992, il tassista conferma i viaggi a Cagliari, Nuoro, Fonni e in una località vicina a Simaxis. Ma nega di conoscere retroscena e particolari delle trattative condotte dallo zio. «Per la cresima mi ha regalato un Golf bianca: potrà valere cinque, sei milioni. Abbiamo girato con questa e non con una Fiat Tipo».   Nei verbali di interrogatorio, Crissantu ricorda che Mesina «provava molta pietà per Farouk», ma giura di non sapere altro. «È a piede libero», aggiunge l'avvocato Aste «e, durante il sequestro, si è sposato. Oggi vive a Orgosolo, fa l'agricoltore». Un agricoltore che rischia da uno a cinque anni di galera. Intercettate dalla polizia giudiziaria, una serie di telefonate tra zio e nipote, secondo l'accusa dimostrano che Crissantu non era un semplice autista. Il fratello Tonino è considerato dagli inquirenti un pezzo pregiato del banditismo sardo: difficile per chi è abituato a indagare sui sequestri di persona non tener conto di questa ingombrante parentela. Anche perché il 2 maggio 1992, ventotto giorni prima di prendere moglie, Crissantu riceve un compito dallo zio.   Mesina. «Diglielo per quel terreno di Ilole al capraio».   Crissantu. «Per quel terreno di Ilole?».   Mesina. «Si, a fotografarlo».   Crissantu. «Già va bene».   Le intercettazioni e la conversazione con lo zio gli vengono contestate nel terzo interrogatorio: Crissantu non da una versione convincente. O, almeno, così appare al sostituto procuratore. «Il terreno volevo comprarlo», sostiene il nipote di Mesina. Ma, invitato a indicare il nome del capraio, afferma di non voler più rispondere alle domande degli inquirenti. Che, a questo punto, non hanno più dubbi: Crissantu ha svolto alcune attività proibiti per aiutare lo zio. Da tassista a indagato il passo è breve, l'accusa precisa. Quando Mesina è stato incaricato di interessarsi della liberazione di Farouk Kassam, Crissantu è stato messo al corrente dalla zio e ha partecipato a tutti gli effetti alla trattativa parallela che ha poi portato alla liberazione dell'ostaggio.   Per la legge italiana, questo è un reato: concorso in favoreggiamento perché le norme non permettono di trattare il prezzo e le modalità del pagamento del riscatto senza l'autorizzazione del giudice per le indagini preliminari. Seguito e pedinato dagli inquirenti, il nipotino di Mesina viene visto più di una volta a bordo della sua auto in compagnia di«amici di cui non voglio rivelare il nome». Una semplice precauzione per non inguaiare persone che con il sequestro non c'entrano? Oppure, il tentativo di nascondere una verità che stenta a venire a galla?   È quanto dovrà decidere l'8 marzo il giudice per le indagini preliminari, Michele Iacono. Che dovrà anche valutare un'altra dichiarazione di Crissantu: quella in cui chiama in causa il fratello Tonino e lo indica come la persona che ha accompagnato Mesina in una filiale del Banco di Sardegna per prelevare una somma di denaro. E, dato che Tonino è in carcere per i sequestri Vinci e Checci, il cerchio, secondo gli inquirenti, si chiude. Con la richiesta di rinvio a giudizio.