indice 

 

Il pm accusa subito l'ex latitante

 

Ciriaco Baldassarre Marras è il solo presente in aula Mario Asproni alla macchia

Coinvolto nelle indagini commerciante ucciso a Olbia

 

TEMPIO. «Lui è Antonio»: pochi giorni dopo il rilascio, Farouk Kassam indica la foto segnaletica di Matteo Boe. E, qualche mese più tardi, nelle foto sequestrate all'ex latitante di Lula al momento dell'arresto, riconosce il suo carceriere: il capo della banda, quello che gli ha tagliato l'orecchio. E' incentrata sull'imputato che non c'è la dura accusa del pubblico ministero Mauro Mura nella prima udienza del processo Kassam, al Tribunale di Tempio. Ufficialmente si giudicano Ciriaco Baldassare Marras, operaio forestale di Lula, e Mario Asproni, il compaesano neolatitante, accusati di aver fatto parte della banda che il 15 gennaio del 1992 rapì Farouk Kassam, sette anni, dalla villa di Pantogia e lo tenne prigioniero fino alla misteriosa liberazione del dieci luglio del 1992. Ma la relazione del magistrato (antipasto di un lungo processo, piatto forte della giornata dopo una lunga diatriba su questioni procedurali) non ha dedicato che poche righe al ragazzotto di Lula stretto tra i suoi avvocati e sorvegliato a vista dai carabinieri e a quell'altro suo compagno che ha preferito iniziare la vita di macchia. Mauro Mura va dritto al cuore del processo, anche di quello che si dovrà ancora celebrare. Il racconto del pubblico ministero inizia da quella gelida notte del 15 gennaio. «Sono le 20,30 quando tre persone entrano nella villa della famiglia Kassam a Pantogia. Abbiamo le prove che si sono trattenuti per buona parte del pomeriggio in un cantiere vicino, dove abbiamo trovato il lucchetto spezzato e il cancello aperto. Sono arrivati a casa Kassam, passando dal giardino di una villa vicino. Prima hanno cercato di sfondare la vetrata ma non ci sono riusciti, allora sono entrati dalla porta della cucina. Hanno immobilizzato Fateh Kassam e poi la moglie, che hanno spinto verso la lavanderia. Sono saliti verso la camera dei bambini che erano già andati a letto. Hanno portato via Farouk in pantofole». I banditi sono scappati su una Y 10 rubata ad Olbia e ritrovata il 3 febbraio. Dove, come e perché lo racconteranno oggi gli inquirenti che finora avevano tenuto nascosto questo particolare, evidentemente giudicato importante per le indagini. Le prigioni di Farouk: «Il bambino ha trascorso parte della notte in auto. Poi per un certo periodo, una settimana, è rimasto in una grotta, altri dieci giorni in una tenda e tutto il resto della prigionia nella grotta di Janna antro 'e voes». I momenti caldi del sequestro sono quelli delle comunicazioni (scarse) tra la famiglia e i sequestratori. «Fino al 15 marzo non c'è nessun contatto certo. Il primo messaggio ufficiale è quello che arriva a Battista Isoni, una lettera piuttosto lunga, di quattro paragrafi. Il bambino riferisce di averne scritto una molto più breve, mentre era nella tenda, quindi all'inizio della prigionia». Quella lettera mai pervenuta ha probabilmente complicato notevolmente il sequestro. Perché Fateh Kassam, quando riceve la lettera recapitata da Isoni, ignora completamente le richieste dei banditi. Che nei successivi messaggi diventano sempre più minacciosi. «La seconda lettera, carica di ingiurie e minacce, arriva alla fine di aprile. La terza lettera, ai primi di giugno, parla di supposte intese tra la famiglia, la magistratura e le forze dell'ordine e minaccia per metà giugno la mutilazione del bambino». Che arriva atrocemente puntuale: «Il 16 giugno viene ritrovato un involucro con parte del padiglione auricolare e la minaccia che presto il piccolo sarebbe stato ulteriormente mutilato». Sulla liberazione dei misteri, poche parole ribadiscono la verità ufficiale: «Il rilascio è avvenuto nella notte tra il 10 e l'11 luglio nell'agro di Dorgali, vicino al lago Cedrino. E' stato trovato libero e restituito alla famiglia». Ma le indagini, spiega il pubblico ministero, si muovono già per le strade che portano a Orune ed Orgosolo. Nell'aula rimbalza un nome nuovo per le cronache delle indagini sul sequestro di Farouk Kassam: quello di Matteo Lostia, commerciante originario di Oniferi, ucciso ad Olbia nel febbraio dello scorso anno. «Le indagini si sono mosse subito verso una serie di famiglie della zona e subito sono emersi indizi su un coinvolgimento nella vicenda di Matteo Boe, filo conduttore delle indagini assieme a un certo gruppo di personaggi. Ci sono stati una serie di incontri a casa di Matteo Lostia, ai quali ha partecipato Boe». Mauro Mura non aggiunge altro sulla figura del commerciante olbiese d'adozione. Ufficiosamente si sapeva di un coinvolgimento di Lostia nelle indagini su alcuni sequestri di persona messi a segno in Gallura. I crismi dell'ufficialità gettano una nuova luce sull'omicidio rimasto senza un colpevole. L'attenzione del pubblico ministero resta puntata su Boe. Boe e le sue fotografie. «Sono state a lungo studiate sotto diversi profili. E' stato identificato abbastanza presto il territorio di Lula». Poi si è proceduto con diversi ingrandimenti per cogliere anche il minimo particolare. Così si è arrivati alla località funtana 'e deu dove sono stati trovati alcuni documenti falsi rubati al Comune di Lodè e una macchina per scrivere. Successivamente si è arrivati alla grotta. «Un'impalcatura ne nascondeva l'imboccatura e corrispondeva in pieno alla descrizione fatta da Farouk. Era una grotta viva con generi alimentari, giornali, una macchina fotografica Polaroid, i graffiti sulla parete». Farouk la riconosce sulle foto e più tardi anche nel sopralluogo: alcuni di quei graffiti li aveva disegnati lui. Il bambino ha una memoria prodigiosa per volti, oggetti, particolari. E alcuni oggetti sequestrati nella casa dove vive Laura Manfredi, compagna di Boe, diventano altri indizi. «In una fotografia Boe scolpisce una statuetta di legno. La stessa statuetta trovata in casa con l'incisione Matheus 1992. Farouk riconosce anche due sacchi a pelo». Ma se sa dire con precisione chi è Antonio, Farouk non riconosce Beppe, l'altro carceriere, nè in Mario Asproni nè in Ciriaco Baldassarre Marras. I due però sono nel mirino degli inquirenti da subito. La notte del quindici gennaio i carabinieri bussano nelle due case. All'ora del sequestro non c'è nessuno. Due ore dopo Asproni è in casa, ma Marras non c'è. L'operaio forestale dal giorno prima del sequestro e per una decina di giorni si assenta dal lavoro per un infortunio. Un infortunio sospetto se chi ha firmato il certificato sarà interrogato come indagato di reato connesso. Tutte circostanze che dovranno diventare prove durante il dibattimento. Oggi il processo riprende con due testimoni: il capitano Marco Piccoli, all'epoca comandante del reparto operativo dei carabinieri di Sassari e l'allora capo della squadra mobile Antonello Pagliei. L'attuale capo della Criminalpol sarda, uno dei cervelli storici dell'antisequestro, ha seguito da vicino, la tormentata vicenda di Farouk Kassam: oggi il suo racconto in aula.

CATERINA DE ROBERTO