TEMPIO. Protagonisti e non comparse nella brutta storia di Farouk Kassam ricostruita dall'accusa: tradotto in anni di carcere fanno ventotto. La pena richiesta dal pubblico ministero Mauro Mura è la conclusione logica di oltre quattro ore di requisitoria tesa a dimostrare che Mario Asproni e Ciriaco Marras sono sequestratori a tutti gli effetti. Legati a filo doppio all'imputato fantasma Matteo Boe. Nelle fotografie che tengono in piedi il processo la pubblica accusa vede tre amici-complici e non due sprovveduti in visita casuale. Ha citato Blow up il pubblico ministero e come il fotoreporter del film di Antonioni scopre casualmente un delitto ingrandendo alcuni fotogrammi, lui istruisce un processo su quelle fotografie che Matteo Boe -tradito da sconcertante ingenuità o da spavaldaria - portava con sè. Vi sono ritratti i due imputati che oggi ascoltano il j'accuse. Con lo sguardo fisso nel vuoto Ciriaco Marras, un accennato sorriso sarcastico Mario Asproni. Il magistrato ripercorre il sequestro dall'inizio, assolutamente convinto che i banditi volessero proprio lui, Farouk, e non il padre che si era presentato come giardiniere. «Sequestrare Farouk significava ridurre a zero il rischio perchè il bambino è indifeso, non ha capacità critica, ripone fiducia in chiunque ed è un elemento depistante per le indagini». Ma il piccolo Kassam ha una memoria prodigiosa. «La capacità di ricordo di Farouk fu una scoperta imprevedibile ed imprevista. Farouk svolge un ruolo determinante e non solo per il riconoscimento fotografico che pure è importante. Quando gli mostriamo quaranta fotografie ne sceglie solo una, quella di Matteo Boe identificato dal bambino come il custode Antonio». La grotta sul Montalbo è uno dei punti chiave del processo. «Farouk descrive la sua prigione subito dopo il rilascio con una grande ricchezza di particolari, racconta la sua vita in quel covo. Gli abbiamo fatto vedere tante grotte e sempre ha detto "no, non è questa". Quando il capitano Bono, dopo la scoperta delle fotografie, ha trovato la grotta sul Montalbo ha avuto subito la senzazione che si trattasse della prigione di Farouk. C'era il buco sul pavimento, i disegni che Farouk aveva fatto, le strisce di carta di giornali». Unico neo quando il bimbo racconta di aver visto il mare abbastanza vicino con gli alberi delle barche. «In particolari condizioni atmosferiche il mare si vede, ma quella volta probabilmente Farouk è stato tratto in inganno». Ma il pilastro sono le fotografie. E l'unico campo di battaglia possibile tra accusa e difesa il periodo in cui furono scattate. «Sono state sicuramente scattate in un certo lasso di tempo - e può anche essere che qualcuna sia di settembre - ma non v'è dubbio che buona parte di esse risalgano al periodo di marzo-aprile quando Farouk era prigioniero. In quelle foto non leggo nessuna ironia, nessuno scimmiottamento, non vedo un bandito e un conoscente che gioca a fare il bandito. Non c'è niente che faccia pensare a foto souvenir. Sono state scattate in un ambiente difficile, con il pericolo a mille, durante un sequestro complicato. Mi pare che sostenere che si tratti di foto ricordo sia assurdo». E allora perchè sono state scattate? Il processo non l'ha detto. Il pubblico ministero affonda su Ciriaco Marras. Forse proprio perchè le sue foto sono le meno compromettenti. E allora sfodera qualche altra arma. «Dopo l'arresto di Boe la situazione è tesa. Asproni e Marras sanno che ci sono quelle fotografie e che da un momento all'altro può venir fuori tutto. I carabinieri il venti novembre lo vedono per due volte mentre cerca di seguire quello che avviene nei pressi della grotta». Su quel mese e mezzo che separa la cattura di Boe dal ritrovamento del covo ci sono le intercettazioni nella cella che Ciriaco Marras divideva con Gianfranco Casu, in carcere per il sequestro Decandia-Brais. Il Pm legge alcune frasi integralmente: Praticamente dove appoggia un bandito. C'era di tutto, miracolo che non hanno trovato quello. Hanno portato giù dodici casse di roba, me l'ha detto l'avvocato. C'era formaggio, sacchi a pelo, cappucci, coperte di ogni tipo. Il rimedio suggerito da Casu per evitare a suo tempo la scoperta della grotta? «Una bomba». In altre intercettazioni si parla confusamente di un bambino, di prove, di emissari. Un Mario Asproni messaggero tra Matteo Boe e la sua donna non convince l'accusa. «Può essere che i servizi segreti si siano occupati della costituzione di Boe ma questo non ha niente a che vedere col processo. Perchè sul fatto che Asproni facesse da tramite c'è solo la parola di Laura Manfredi. Non c'è logica in questo: i contatti con Boe li ha sempre tenuti la Manfredi». Mauro Mura cerca di affidare un ruolo ad Asproni: «Io non credo che sia lui Peppe, il secondo custode che stava quasi sempre con Antonio e Farouk. Probabilmente è una di quelle tre persone che si recavano abbastanza spesso alla grotta. Ma attenzione, non è un semplice vivandiere, partecipa a tutti gli effetti al sequestro». Graziano Mesina merita una sola citazione di striscio e sull'eterno mistero del riscatto il Pm si sofferma pochissimo. «Questo è un sequestro a scopo di estorsione e tale resta, indipendentemente dal fatto che il riscatto sia stato pagato o meno. Questo processo non ci ha detto niente in merito. Ma è fuori discussione che i sequestratori abbiano fatto tutto il possibile, l'impossibile e il disumano per ottenere quei soldi». L'accusa ha raccontato la sua storia, domani tocca alla difesa. Ma la parola definitiva spetterà martedì prossimo ai giudici.
CATERINA DE ROBERTO