Suicidi di Civitanova Marche: la decrescita infelice

controbuiodi Paolo De Gregorio, 7 aprile 2013

Purtroppo la crisi che ci colpisce duramente, che arriva a determinare suicidi di imprenditori e operai, è crisi da DECRESCITA:  meno investimenti, meno consumi, meno domanda, più fallimenti, più disoccupazione, più difficoltà per far fronte agli interessi che paghiamo sul nostro debito pubblico.

La causa principale di questa situazione è la globalizzazione economica, l’adesione alla WTO che consente la libera circolazione di merci e di capitali, fattore che negli ultimi 20 anni ha consentito a decine di migliaia di imprenditori italiani di delocalizzare le proprie imprese dove pagano meno tasse e hanno manodopera a buon mercato (nella sola Romania sono andate oltre 20.000 imprese italiane)..

Al contempo abbiamo visto fallire interi settori produttivi per l’entrata in scena di competitori come Cina, India, Brasile, mentre i pezzi più pregiati del Made in Italy sono finiti tutti in mani straniere ed i profitti di queste imprese vanno all’estero: Banca Nazionale del lavoro, Parmalat, Galbani, Invernizzi, Bulgari, Gucci, Ferrè, COIN sono finiti in Francia; Valentino in Inghilterra, Standa e Ducati in Germania, Safilo in Olanda, Buitoni, Motta, Perugina acque minerali come San Pellegrino sono andate alla svizzera Nestlè, gli elettrodomestici Rex, Zoppas, Zanussi, Molteni sono passati alla svedese Electrolux, e l’elenco non è finito.

La maggior colpa della politica negli ultimi 20 anni, con responsabilità preponderante di PDL e PD, non è quella delle ruberie e dei privilegi di Casta, ma quella di non aver governato, di non aver capito dove ci avrebbe portato la globalizzazione che, con le sue ferree leggi di mercato (ampiamente prevedibili), ha premiato chi possiede grandi multinazionali, grandi banche d’affari, chi possiede materie prime, chi ha milioni di operai a basso costo.

Nessuno dei nostri grandi cervelloni politici, nemmeno i bocconiani, si è accorto che l’Italia non ha nulla di tutto questo, che sarebbe stata presto in declino con le parti pregiate della sua industria acquistate dalle nazioni europee più ricche. E l’appartenenza all’Europa non è servita a nulla, non ha fermato la crisi, e non potendo fare manovre con una nostra moneta nazionale, l’appartenenza all’euro si è rivelata più una gabbia che un vantaggio.

Siamo da anni in recessione conclamata, non vi è un solo indicatore economico positivo,  la ricerca scientifica non viene finanziata, i nostri cervelli scappano e vanno a rinforzare i paesi più forti, rischiamo la bancarotta per non essere più in grado di rifinanziare il debito pubblico.

Il “liberismo” ci ha portato in questa palude, per uscirne vi è una sola strada: governare l’economia almeno in alcuni settori essenziali, vitali, in un progetto di autosufficienza energetica e agricola,  difendendo questi sistemi dalla concorrenza straniera per creare in Italia milioni di nuovi posti di lavoro.

Il tutto deve essere affidato a piccoli e piccolissimi operatori, sia agricoli che energetici, in modo da soddisfare capillarmente i bisogni del territorio, senza speculatori, né mafiosi, per una economia in cui gli scambi siano prevalentemente tra produttori e consumatori.

Oggi i prezzi agricoli li fanno le mafie che controllano i mercati generali con la connivenza del potere politico e affamano i produttori. Le energie rinnovabili sono in mano alle mafie che con corruzione e minacce si fanno dare le concessioni per gli impianti e le vendono agli speculatori nazionali e internazionali.

E’ necessario dunque un piano energetico nazionale che finanzi prioritariamente ogni struttura produttiva, sia essa un capannone industriale o artigiano o una stalla o una cascina, con finanziamenti a fondo perduto, per rendere autosufficienti energeticamente con le rinnovabili queste strutture produttive, con un enorme vantaggio per chi produce, per chi fabbrica pannelli e rotori eolici, per chi li installa e per chi si occupa della manutenzione.

Tutta la filiera deve essere italiana perché è in Italia che abbiamo il problema della disoccupazione (nel solo 2012 si è perso un milione di posti di lavoro) e questo è il solo modo serio di affrontarla.

E’ evidente che si tratta di una rivoluzione. Si tratta di trasformare la Banca d’Italia in una vera Banca Nazionale senza fini di lucro che finanzi questi progetti, e i soldi vanno trovati tagliando spese militari (bombardieri, sommergibili), tagliando tutte le missioni militari all’estero, tagliando opere inutili tipo TAV, tagliando le province e i finanziamenti pubblici a politica e editoria, accorpando i comuni con meno di cinquemila abitanti.

Certamente per avere una svolta del genere ci vuole una classe politica totalmente nuova, credibile, capace di leggere l’infausto destino dell’Italia globalizzata e invasa da immigrati, capace di proporre a milioni di persone nuovi lavori, seri, moderni, in cui si possa vedere un futuro stabile sia per l’economia  sia per le persone.

Vi voglio fare un piccolo esempio per un settore che conosco abbastanza bene che è quello della pesca: noi, con  oltre settemila  km di costa, importiamo buona parte del pesce che consumiamo e a livello mondiale lo sforzo di pesca è così grande che le risorse ittiche si vanno esaurendo.

Se vogliamo raggiungere l’autosufficienza in questo settore e ottenere il ripopolamento sono due i provvedimenti essenziali da prendere: l’abolizione della distruttiva pesca a strascico con distruzione incentivata del naviglio addetto, e la costituzione ogni 100 km di ampie aree marine protette e sorvegliate dove è vietata ogni tipo di pesca.

In pochissimi anni la fauna ittica si riprodurrebbe in modo esponenziale e consentirebbe al piccolo naviglio costiero con reti da posta di pescare abbondantemente senza quegli enormi consumi di gasolio della pesca a strascico, consumi che vengono in buona parte pagati dallo stato perché senza queste integrazioni la pesca a strascico sarebbe fuori mercato.

Nell’isola di Ustica, in Sicilia, dove un progetto di protezione delle coste è operativo da tempo, i vantaggi per la piccola pesca sono evidenti, riconosciuti anche dai pescatori che in un primo tempo si stracciavano le vesti e accusavano i promotori del parco di volerli affamare.

Questo tipo di impostazione per risolvere i problemi dovrebbe essere la regola del governare, in tutti i settori, guardando le cose a lungo termine, tenendo conto della sostenibilità, non come oggi che si tutelano i profitti di pochi a danno dell’ambiente e dei piccoli operatori.

Una nuova politica deve parlare di questo, di come risolvere i problemi in ogni settore, con proposte serie, credibili, finanziabili, indicando quali sprechi tagliare, al fine di creare occupazione stabile, al fine di produrre beni essenziali per i consumi interni, e se l’Europa diventasse un ostacolo insormontabile a questa svolta, bisogna chiedere ai cittadini italiani, con un referendum, cosa pensano sia meglio per loro.

La realtà ci impone di immaginare un futuro incerto, in cui la nostra irresponsabile dipendenza dall’estero ci espone in pochi giorni, in caso di una guerra o di una crisi petrolifera, a uno scenario di freddo, buio, fame. Raggiungere una moderna autosufficienza nel settore energetico ed in quello agricolo attraverso un piano trentennale di riconversione e sviluppo è essenziale per guardare al futuro con concreto ottimismo, e i cittadini devono affidare il potere politico a chi propone progetti in questa direzione.

 

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