di Redazione in riflessioni
Intervista a Tiziana Ciampolini, Filippo Laurenti e Deana Panzarino.
L’incontro è a Torino presso Casa Mangrovia, una struttura della Caritas diocesana, nel quartiere Barriera di Milano. Il taxista che mi accompagna è irremovibile nell’intenzione di lasciarmi proprio davanti all’ingresso: “Sa, qui stanno chiudendo molti negozi e quando le saracinesche si abbassano le strade non sono più tanto sicure…”.
Che da qualche tempo l’atmosfera cittadina sia cambiata in senso depressivo è evidente. La crisi e le incertezze dei destini della Fiat si sono riversate, a cascata, sull’indotto e sull’intera area metropolitana. Lontani, lontanissimi, i tempi effervescenti delle Olimpiadi.
L’incontro è con Tiziana Ciampolini, responsabile dell’Osservatorio delle Povertà e delle Risorse del Piemonte e coordinatrice di numerosi progetti di Caritas Diocesana, Deana Panzarino della cooperativa sociale Liberitutti, esperta di rigenerazione urbana e di sviluppo di comunità, e Filippo Laurenti, counsellor dell’associazione Il Mondo di Joele Onlus.
Insieme stanno da tempo ragionando su come affrontare il problema dell’inserimento (e reinserimento) lavorativo in una città dove ora di lavoro ce n’è sempre meno. Secondo il Bollettino dell’Osservatorio Provinciale sul Mercato del Lavoro della provincia di Torino “Il secondo semestre del 2012 è stato dal punto di vista occupazionale il peggiore dall’inizio delle lunga fase recessiva conclamata alla fine del 2008”. Il numero dei disoccupati rilevato dall’Istat pare abbia superato per la prima volte le 100.000 unità, mentre sono oltre 60.000 le persone accolte presso i Centri dell’impiego provinciale. Quasi delle intere città di disoccupati.
Grazie ad una sempre più raffinata capacità di osservazione, ascolto e analisi della realtà torinese, le tre organizzazioni si sono trovate in sintonia sulla necessità di sovvertire le tradizionali prospettive di intervento e si sono poste le seguente domanda: “Se oggi è quasi impossibile “trovare lavoro”, come possiamo “crearlo”? Da qui l’avvio di un percorso che è insieme di pensiero e di pratiche. Un riflettere sperimentando che è la cifra degli innovatori sociali.
Tiziana: La nostra scommessa è quella di generare intrapresa. Vogliamo accompagnare le persone ad avviare cose nuove. Ma, attenzione, con dei distinguo. In questi ultimi anni c’è un grande fervore attorno al tema delle start up, del microcredito, della micro imprenditorialità. Noi ci stiamo convincendo sulla base di quanto osserviamo attraverso il lavoro quotidiano dei Centri di ascolto Caritas e i percorsi di accompagnamento che con il Mondo di Joele portiamo avanti qui, a Casa Mangrovia, che questi strumenti non sono risolutivi. Anzi spesso si trasformano in trappole…
D – In che senso?
Tiziana: Non possiamo pensare tutti quanti di aprire delle gelaterie o avviare un’attività di consegna a domicilio. Due le questioni che ci pare di dover porre: primo, il microcredito è troppo micro per sviluppare progetti di vera innovazione, quindi destinati a durare in quanto capaci di creare valore, cioè di essere sostenibili; secondo, da soli non si va molto lontano. Ciò che invece ci pare interessante è provare a sviluppare insieme idee robuste. E sottolineo “insieme”. Sto dicendo che occorre guardare più lontano e immaginare forme collettive – e non individuali – di produzione di lavoro, capaci di incubare progettualità importanti e valorizzare le capacità di più persone. È assurdo pensare di risolvere il problema del lavoro in chiave individuale. Questo vale anche per le organizzazioni che si stanno occupando di rispondere a questo drammatico bisogno sociale. Occorre creare nuove filiere del valore grazie alla convergenza di più soggetti, risorse, professionalità. Noi ci stiamo provando…
A Torino, Caritas ha svolto negli anni un ruolo di connettore. Una prima, importantissima, alleanza è quella con il Mondo di Joele. Caritas mette a disposizione Casa Mangrovia, uno spazio accogliente e caldo ideato appositamente per ospitare l’ascolto delle persone in difficoltà. Dopo questa prima fase intervengono i counsellor della cooperativa che accompagnano le persone a compiere un lavoro in profondità, personale, di riorientamento progettuale. Da questa intesa nasce il progetto Mangroviainascolto.
Tiziana: Come Caritas noi non ci occupiamo direttamente di lavoro, però negli anni abbiamo sviluppato questa idea: che l’ascolto sia centrale per far ripartire le persone. Ma deve essere un ascolto qualificato e finalizzato a orientare in nuove direzioni. Noi abbiamo scelto di sperimentare la professionalizzazione dell’ascolto utilizzando il counselling. Da qui il link con Filippo e la sua cooperativa. Dobbiamo però chiarire subito che il servizio Mangroviainascolto è attivato solo per persone che hanno davvero voglia, che si mettono in discussione… Accanto all’ascolto offriamo un aiuto condizionato, che abbiamo chiamato il “Paniere dei beni relazionali”, come a dire ciò che conta veramente sono le relazioni che si creano, non tanto l’aiuto economico in sé, che comunque offriamo. Si tratta di un contributo fino a 3.000 euro per ciascuna famiglia che serve ad attivare un primo pezzo di progettualità, un primo importantissimo passo che ci siamo presto resi conto non essere sufficiente. Ecco l’idea di un’altra connessione con il progetto Urban promosso dal Comune di Torino.
D : Di cosa si tratta?
Filippo – Il Comune aveva corpose risorse finanziarie destinate alla riqualificazione professionale. Il loro mandato non prevedeva, però, di accompagnare e orientare le persone, così capitava che molti non capivano come poter utilizzare il voucher e far fruttare questa formazione professionale e l’idea stessa di intrapresa restava molto astratta. Le persone venivano lasciate da sole ad affrontare individualmente un problema enorme, dove tutto il rischio era in capo a loro e nel migliore dei casi per partorire delle esperienze lavorative minute… Da qui la nuova connessione orientamento- formazione.
Tiziana – Abbiamo capito che è centrale accompagnare le persone a riorientarsi verso l’imprenditorialità. Le persone semplici, normali, non si avvicinano all’autoimprenditorialità, non fa parte della cultura italiana… In America entri in un bar e parli di business! Da noi quando pensi al lavoro ti riferisci a quello dipendente! Aiutare le persone a spostarsi nella direzione di diventare “creatori di lavoro” è un processo culturale che richiederà molto tempo, ma che al tempo stesso non è dato! L’idea non è quella di fare delle forzature, ma di cogliere, laddove sussistono, dei segni di autoimprenditorialità nelle persone e aiutarle a spostarsi in quella direzione, tuttavia non nell’ottica individuale, ma in una logica collettiva e cooperativa.
Filippo: Il collegamento col progetto Urban è stato significativo perché abbiamo voluto vincolare l’accordo al fatto che, nel momento in cui una persona venga seguita da Mangroviainascolto e dal Comune, ci sia un coordinamento tra i soggetti. Non una delega dell’uno all’altro, ma un lavorare insieme, in modo che le azioni messe in atto generino veramente qualcosa… Con queste premesse ti si aprono davanti possibilità molto più ampie e robuste. Quando questa convergenza tra operatori avviene, il terreno su cui la persona in difficoltà riesce a muoversi diventa immediatamente più solido. Certamente questo modo di lavorare non è scontato, ma il beneficio che si genera tocca entrambe le organizzazioni. Ora stiamo cercando di mettere a punto la prima idea di imprenditorialità collettiva… Vedremo.
Tiziana: Un aspetto merita di essere sottolineato perché è la filosofia dell’intero intervento: l’idea imprenditoriale parte sì da un’organizzazione che seleziona delle persone ritenute capaci di coltivarla, ma le persone vengono accompagnate! Io, organizzazione, ti do “veramente” credito tanto che mi assumo delle responsabilità nei tuoi confronti! È diverso rispetto ad anni fa in cui si facevano start up e spin off a livello sociale… Ora io ti do l’idea e chiedo a te di corrispondervi appieno, assumendoti le tue responsabilità e accendendo un debito per avviarla, ma io, organizzazione, non ti lascio solo. Inoltre queste idee vogliono restare incardinate in un territorio! Non a caso nascono con il sostegno di associazioni che lavorano dentro al quartiere che ospiterà l’idea imprenditoriale. Quest’ultima verrà condivisa con il territorio e sostenuta dallo stesso. È quello che sta accadendo con il progetto del Mercato di piazza Fioroni di cui si sta occupando Deana.
Deana – Lo scorso anno mi capita di assistere a una riunione dei commercianti del mercato di Piazza Fioroni, un mercato rionale del quartiere Barriera di Milano, e resto colpita dalle loro riflessioni. I commercianti condividono l’idea che il mercato – così come lo hanno sempre visto – probabilmente morirà. In quel momento riescono ancora a mantenersi, ma fino a quando? Si interrogano su come sopravvivere aumentando i loro canali di vendita. In tutta onestà, sono rimasta molto sorpresa dalla loro capacità progettuale! Parlavano di indagini di mercato per capire come si muoveva la clientela dei mercati rionali! Così siamo intervenuti come cooperativa e abbiamo proposto loro di inserirsi in un piano formativo d’area. Queste persone cominciano a studiare i nuovi elementi di marketing e di comunicazione e vanno a scuola con un fondo regionale per la formazione. Le cose iniziano a muoversi: noi li stimoliamo con dei formatori che arrivano da mondi totalmente diversi dal loro; questi signori incominciano a sviluppare il commercio online, quello a domicilio a km zero dove non si paga la consegna perché il commerciante la effettua mentre ritorna a casa, quindi senza consumo di benzina… Insomma prendono forma una serie di cose innovative…
Contestualmente succede che una delle realtà che si è occupata del piano formativo d’area vince un bando e decide di aiutarci con la comunicazione sociale. In una delle nostre riunioni emerge dai commercianti l’idea di regalare l’invenduto fresco del fine mercato come attività di promozione sociale per far pubblicità al mercato, però in realtà mettendoci anche una parte sociale molto forte: a fine giornata già arrivano delle persone a chiedere parte del residuo, ma i commercianti non riescono comunque a smaltire tutto l’invenduto e ci si interroga su come queste risorse destinate alla distruzione possano invece essere reimmesse in circolo. Soluzione: immaginiamo che all’interno del mercato ci siano degli stand che dicono: “Oggi compra un kg di pesche anche per il tuo vicino di casa!” Azione anche di marketing, perché permette al commerciante di vendere qualcosina in più! L’idea viene presentata al tavolo povertà della circoscrizione e coglie l’interesse di Caritas ma anche l’interesse del servizio sociale e insieme si cerca di capire come procedere.
Considerato che Torino e provincia lavorano già da tempo con i tirocini e le borse lavoro all’interno delle aziende, ma che in questo periodo molte aziende non accolgono neanche gratuitamente i tirocinanti, perché banalmente non hanno nulla da fargli fare e tante stanno addirittura chiudendo, ci siamo interrogati su quello che poteva essere la nascita di “nuove” professionalità. L’obiettivo era immaginare nuove possibilità per integrare quelle persone che altrimenti al mondo del lavoro non accederanno più. Faccio il caso del signore di 50 anni con la licenza media presa con le 150 ore nel periodo in cui poteva farlo, ma che non ha le abilità professionali richieste anche per un inserimento nella catena di montaggio, che peraltro è ferma, al momento, perché l’indotto industriale è praticamente fermo… Purtroppo siamo nell’ordine di una o due aziende al giorno, sull’hinterland della provincia di Torino, che comunicano la chiusura al centro per l’impiego. Questi papà di famiglia, queste donne che non hanno la capacità di reinventarsi all’interno di un’azienda perché banalmente il curriculum non lo permette, nell’ambito di una logistica semplice di un mercato rionale dove ci sarà questo progetto di consegna della spesa alle famiglie in difficoltà, forse possono essere inseriti! Da lì l’idea di sperimentare la logistica dell’invenduto e la consegna a domicilio e provare a capire se sia possibile creare alcuni posti di lavoro in cui anche le persone che non hanno una laurea possano nuovamente in qualche modo reintegrarsi…
D – Quali sono gli obiettivi del progetto?
Deana – Direi duplici. Da un lato, sostenere la cosiddetta quarta o terza settimana. Si sono già sperimentate su altri territori forme di redistribuzione dell’invenduto a famiglie in stato di necessità, ma noi qui lo faremo a partire da un mercato rionale, cioè in forma diretta. Dall’altro lato, come dicevo, inserire in questa nuova filiera coloro che restano esclusi dall’accesso al lavoro.
T – C’è un elemento aggiuntivo. Siccome di distribuzione a pioggia di viveri ne abbiamo già vista, abbiamo deciso di investire su poche famiglie individuate tra quelle che già stanno facendo un percorso di intrapresa con noi. La logica è quella dello scambio, non della beneficenza: io ti do la spesa e, insieme, inventiamoci delle forme di restituzione. Un esempio può essere quella dell’anziano in salute che cucina per altri anziani. Ci stiamo lavorando, però l’idea è la seguente: questo cibo che entra in circolo facciamolo circolare ancora ed ancora…
Deana: Una delle forme di restituzione che abbiamo previsto è la contribuzione di queste famiglie o di queste persone sostenute all’organizzazione dei momenti pubblici che abbiamo in programma per la promozione del progetto e la costruzione della rete. Abbiamo pensato di chiedere alle famiglie di essere coadiutrici, perché questo è anche un modo per riattivare la socialità. Una famiglia che partecipa alla vita del quartiere in qualche modo perde quell’alone di invisibilità tipico di chi è in sofferenza, perché nel momento in cui mamma e papà non lavorano e faticano a riconoscersi come persone attive tendono a restare nelle mura di casa e uscirne con fatica.
Un altro elemento è la logica dell’evitare gli sprechi. Ci rendiamo conto che questo è un nervo scoperto perché ogni qualvolta ne parliamo viene qualcuno e ci chiede: ma non possiamo sperimentare questa filiera da un’altra parte? Non possiamo trovare altri luoghi in cui riveicoliamo il cibo?
D – L’avvio di questa filiera potrà produrre però solo un numero limitato di posti di lavoro. Questo investimento non è sproporzionato ai risultati?
Deana – Ciò che vogliamo avviare è un circuito di lavoro, dunque è chiaro che un solo mercato rionale non basta. Quello di Piazza Fioroni possiamo considerarlo un esperimento che potrebbe essere replicato e diffuso. Ma anche questo è evidentemente un obiettivo limitato. Ancor più interessante è la logica con cui stiamo cercando di creare lavoro…
Tiziana – È la ratio con cui il processo è ideato e costruito ad essere interessante! Stiamo dicendo: “Tu, commerciante, metti in circolo l’invenduto e ricevi l’immagine social! Aiutaci a sollecitare il tuo acquirente ad acquistare di più per qualcun altro e ne ricavi un di più di venduto! Tu, lavoratore escluso nel processo produttivo, ti inserisci in un nuovo circuito della produzione e ti impegni ad aiutarci a sperimentare il progetto! Tu, famiglia in difficoltà, che ricevi una spesa di qualità (i prodotti del mercato sono freschi mentre solitamente le famiglie in stato di bisogno si riforniscono ai discount…), ti rimetti in gioco dandoci una mano ad organizzare i nostri momenti pubblici!” Stiamo attrezzando – dentro rapporti di reciprocità – nuove filiere di produzione del valore, dove questo è sempre economico e, insieme, sociale! Inoltre lo facciamo grazie ad un paziente lavoro di costruzione di alleanze tra soggetti diversi ognuno dei quali ci mette risorse e competenze diverse.
D – Cosa manca per partire?
Deana – Stiamo mettendo insieme tutti i pezzi. Attualmente 16 banchi del mercato hanno aderito all’iniziativa. È ancora poco, ma nel giro di pochi mesi di attività il numero crescerà perché sarà evidente che c’è anche un ritorno economico, magari minimo, ma c’è. E oggi, con la crisi, anche questo aiuta. Stiamo formando i mercatali a dire: “Questo me l’hanno già comprato… Mi mancherebbero due kg di arance, me ne compra un kg?” Questo funziona molto bene sul mercato dove ci sono ancora rapporti fiduciari, perché la gente che compra lì ci compra da un sacco di anni… In questo momento storico non è cosa banale. Interessante è anche vedere che il tuo donare non passa attraverso un centro di volontariato o una associazione, ma è un donare semplice: io compro un kg di verdura che questa sera, domani o dopodomani verranno cucinate da una famiglia che ne ha bisogno. Nel frattempo si sta costruendo la modalità di segnalazione delle famiglie, attivando una rete di collaborazione con Caritas, il servizio sociale e le parrocchie…
Tiziana: Ritorniamo nuovamente al territorio: il lavoro che abbiamo fatto fino ad oggi con le parrocchie di Barriera di Milano sta servendo proprio a questo, a tessere trame di socialità in grado di sostenere le fragilità delle persone e a promuovere percorsi di prevenzione all’esclusione derivanti dalla mancanza di lavoro.
Deana: L’elemento di grande difficoltà che stiamo vivendo è dato dal fatto che a livello istituzionale si fatica a intercettare nuove ipotesi di lavoro come questa e farle proprie. Si è molto distanti…
Tiziana: Li si blocca l’innovazione sociale. Una filiera come questa sarebbe già pronta per essere sperimentata su larga scala, invece bisogna farla piccola piccola, non fare troppo rumore perché possa partire…
D – Come si fa, allora, a fare sopravvivere l’innovazione sociale? Come si fa a far diventare “istituzione”, cioè valore riconosciuto capace di produrre e stabilizzare valori condivisi, ciò che è ritenuto buono e meritevole di essere sostenuto collettivamente, come un’innovazione sociale?
Tiziana: Anzitutto è imprescindibile l’elemento relazionale. Ci sono delle figure porose in ogni organizzazione che consentono di entrare e creare dei ponti… Nel passato una cosa partiva a livello micro, poi veniva “mangiata” dall’istituzione e, nel corso del tempo, quasi inevitabilmente finiva per essere ingigantita, ingessata così che moriva. Adesso mi pare che questo “mangiare” dell’istituzione non ci sia più! Inoltre, come diceva prima Filippo, oggi occorre sperimentare luoghi ibridi che non siano solo istituzione e non siano solo organizzazione periferica. Si fa fatica, ma è lì, in questo incontro, che è possibile cambiare modelli di lavoro e provare a far circuitare delle cose diverse…
Deana – C’è un’altra questione, quella della cornice. Se non predisponi le condizioni perché le innovazioni sociali possano crescere e prosperare, molti sforzi sono inutili. Molto concretamente, mettere su un’impresa, anche con partita IVA individuale, oggi è un’avventatezza che non tutti si possono permettere: per portare a casa uno stipendio di 1000 euro al mese una persona deve uscire di casa e produrre per 180 euro al giorno. Questi sono dati che ci devono far riflettere! È impossibile promuovere l’imprenditoria senza avere un sistema di defiscalizzazione che permetta a un’impresa di stare in piedi. Sono degli elementi che non possiamo non tener presente quando promuoviamo l’autoimprenditoria.
Ciò che resiste ancora è la cooperazione. Per questo occorre muoversi verso forme cooperative di nascita di impresa, perché c’è una fiscalizzazione ancora relativamente sostenibile e ci sono dei meccanismi che ti permettono di rimanere sul mercato ma senza rincorrere modelli di crescita insani…
Tiziana: Sperimenteremo. Qui ci si gioca il tutto per tutto e nel momento in cui fai il passo per l’emersione puoi fallire… Ma è questo il passo dell’intrapresa, un passo che spinge avanti il futuro. Questo momento storico lo richiede! Ma non lo possiamo fare da soli. Purtroppo quello che manca è la possibilità di stringere alleanze serie e competenti con chi ha dei ruoli di governo e con persone che sanno come si fa ad attraversare i ponti. Ci vogliono degli audaci. Così non si può rimanere. Non abbiamo più niente da perdere.
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