Una messinscena il rogo del Cayenne di Mesina

Gli inquirenti: «Non ci risulta alcuna telefonata di scuse ricevuta da Mesina per la sua Porsche bruciata in Baronia. Il suv era fermo almeno da un mese»

banner_nuova_sardNUORO. «Non ci risulta alcuna telefonata di scuse ricevuta da Mesina per la Porsche Cayenne bruciata in una cava dismessa in Baronia. Ci risulta invece che quel Suv fosse fermo da almeno un mese». I carabinieri del comando provinciale nuorese l’hanno precisato ieri mattina nella conferenza stampa in cui sono stati svelati i dettagli del clamoroso arresto dell’ex ergastolano con l’accusa di associazione per delinquere. Il riferimento è a un episodio del marzo scorso, quando venne denunciato il furto dell’auto in uso a Mesina. Suv utilizzato per accompagnare i turisti nel Supramonte. Gli investigatori non hanno mai creduto a un furto e a un successivo sgarbo contro l’ex ergastolano. Che, poi, aveva dichiarato di aver ricevuto una telefonata di scuse dall’autore dell’attentato. «Mi ha chiesto scusa, sono cose che capitano», aveva detto Mesina ai mass media. Una versione che non torna affatto agli inquirenti, che da anni lo tenevano sotto controllo e lo intercettavano. Non lo dicono ufficialmente, ma sospettano che a fare incendiare il Suv, zeppo di microspie, possa essere stato proprio lui, l’ex latitante tornato in libertà dopo aver ricevuto la grazia dal presidente Ciampi nel 2004. «La Porsche Cayenne non era neppure coperta da assicurazione, ma lui non lo sapeva». (t.s.)

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