F35: un caso esemplare di tradimento degli interessi nazionali

controbuio

DI GIANNI DESSI

Partiamo da un punto fermo,chiaro e indiscutibile:
“I velivoli ci servono per bombardare il nemico insieme ai nostri alleati, o meglio bombardare quei nemici che la “comunità internazionale” ci indicherà (…)”
Chiariti i reali scopi politico militari per cui si acquistano gli F35 (si veda anche “armare la pace per fare la guerra” su Testelibere.it), diviene decisamente più facile capire alcune scelte di carattere preminentemente economico militare.
Innanzi tutto, il perché di un cacciabombardiere di tipo stealth, predisposto allo strike nucleare, e non un intercettore o un caccia multi ruolo.
Il perché e’ nella stessa premessa: non ha alcun scopo difensivo,ne nazionale ne internazionale, ma preminentemente offensivo e preventivo (first strike appunto). Ossia, per sgombrare il campo da ogni possibile equivoco, serve ad attaccare le Forze Armate di altre nazioni “nemiche” nella maniera più occulta e micidiale possibile; cosa che noi italiani intendiamo fare, insieme ai nostri alleati atlantici, il più a lungo e modernamente possibile. Per questo si è optato per la quinta generazione di cacciabombardieri,ancora sperimentale e futuribile, oltreché estremamente costosa e bisognosa di sviluppo.
I Costi di produzione sono un’altra variabile fondamentale. Gli Stati Uniti, nazione per la quale la Lockheed Martin (sempre USA) ha progettato i jet, stanno in ristrettezze economiche e gradiscono ripartire con gli “alleati”, a favore della loro industria nazionale, i costi (elevatissimi) dell’operazione di progettazione e sviluppo, oltre a quelli della messa in linea. Solo le briciole dei futuri introiti verranno elargite agli altri partner, sotto svariate forme di compartecipazione alla produzione e di ricavi di vendita a paesi terzi, in quote proporzionali all’ordinativo complessivo iniziale. Da qui, l’importanza di acquistarne il più possibile da subito. Non a caso il Ministro della Difesa Mauro, continua a indicare in 131 il numero di velivoli da acquistare. L’Italia ha già speso 2,5 miliardi in 10 anni e la spesa per i primi 3 apparecchi sarà di circa 1 miliardo di euro nella versione convenzionale F-35A e come acconto per i successivi 3 esemplari.
Naturalmente, il costo andrà decrescendo all’aumentare della quantità acquistata, fino ad arrivare nel 2020 al prezzo stimato di 85 milioni per un aeroplano completo.
Funziona come un mutuo a rate decrescenti. Inizialmente paghi tanto e quasi solo interessi, per poi arrivare a rate minori in cui prevale la quota capitale. Come nel mutuo, se interrompi le rate troppo presto (o ordini quantità ridotte di velivoli) hai di fatto pagato solo interessi e ti rimane l’intera somma presa a prestito da rendere. Nel caso nostro, comprando pochi velivoli o ritirandoci, pagheremo costi unitari per velivolo spropositati e l’investimento sarebbe disastroso. Un vero cappio a stringere. Questo comporta il fatto che gli ordini saranno cospicui e continueranno in futuro, salvo fare beneficenza a chi proprio non ne ha bisogno.
A questo, bisogna aggiungere il fatto che per fare volare anche un solo aereo, ci si deve dotare di una logistica indispensabile e costosissima: il sistema ALIS, senza il quale gli F35 sono una scatola vuota.
ALIS è un “insieme estremamente complesso di server, hardware di ogni genere, software e information technology. ALIS è stato concepito assieme all’aereo, anzi prima ancora dell’aereo. E’ il “tool”, lo strumento operativo di un concetto avanzato di logistica che va ben al di là di una semplice organizzazione del supporto e sottintende un insieme articolato di processi chiamato Autonomic Logistics Global Sustainment (ALGS)”. La sua base italiana dovrebbe essere a Cameri, dove costituirà il “Country Point of Entry” italiano dell’ALIS.
Altri milioni di euro e un problema centrale per una nazione libera: il “grande fratello abita, e non poteva essere diversamente, al di là dell’Atlantico, alla Lockheed Martin di Fort Worth”, sotto esclusivo controllo USA.
“In quanto anello di una catena che ha origine e termina negli Stati Uniti, il centro ALIS di Cameri sarà controllato direttamente dal Dipartimento della Difesa statunitense”
In sostanza, la nostra capacità militare aeronautica dipenderà totalmente dagli umori degli Stati Uniti.

Per fare questa convenientissima operazione, ci informa con dovizia di particolari Gianandrea Gaiani in “Analisi Difesa”, il nostro governo e’ arrivato a bloccare nel 2010 l’ultimo lotto di forniture degli Eurofighter Typhoon (25), mentre, alla chetichella, vengono messi sul mercato dell’usato 24 Typhoon ancora nuovi, per fare posto agli F35.
Ancora, Gaiani riporta testualmente “Se avessimo mantenuto la commessa prevista di 121 Typhoon, aggiornando i primi esemplari,  avremmo già i velivoli necessari a tutte le esigenze dell’Aeronautica con un forte risparmio generale, dal costo di acquisizione a quello logistico determinato dal disporre di un solo aereo da combattimento e col vantaggio di puntare su un prodotto europeo nel quale la nostra industria è progettista, produttrice ed esportatrice”.
Ma non ci avevano detto che era una impellente necessità e non vi erano alternative valide? Balle e ancora balle, per nascondere il più vile atto di sottomissione economica e militare della storia italiana.
Tanto è vero che sia i Britannici che i Tedeschi (che fanno a meno degli F35) utilizzano questi velivoli anche per gli attacchi al suolo.
La stessa Finmeccanica ci informa che il Eurofighter Typhoon “è un velivolo multiruolo (Swing Role) con ruolo primario di caccia da superiorità aerea e intercettore, caccia di quarta generazione e mezza. Viene considerato semi-stealth ed è ritenuto “uno dei più efficienti velivoli correntemente in servizio”
Potremo definirlo un’ ottima ed economica alternativa, nazionale ed Europea, al F35 (33% per la British Aerospace, 33% per la DaimlerChrysler Aerospace (DASA) tedesca, 21% per Alenia Aeronautica e 13% per la CASA spagnola).Talmente competitiva da essere direttamente concorrenziale alla produzione “made in USA”, dunque scomoda in periodo di crisi.
Tutto questo, mentre gli USA portano avanti la politica autarchica del “buy American”, rimandandoci indietro numerose commesse già chiuse di G-27J (38) per la sua Guardia Nazionale e G-222 per le forze Afghane. Il “made in Italy” sarà (strano, ma vero!) sostituito da forniture Lockheed Martin, diretta concorrente di Alenia Aermacchi – Gruppo Finmeccanica.
Se i costi da sostenere sono ripartiti in maniera proporzionale,così non e’ per la condivisione della tecnologie e la ripartizione delle quote di ricavo.
Per quanto cerco disperatamente un lato favorevole, proprio non lo trovo.
Dalle munizioni (le nostre, come il missile “storm scado” sono attualmente incompatibili con il F35) ai ricambi, dalle centraline alle manutenzioni, dai software all’addestramento, sarà USA dipendente.
La cosa è resa ancora più tragicomica dal fatto che, a budget difesa immutati, non potremo proprio mantenerli. I fondi di esercizio (manutenzioni,carburante,addestramento) sono nel bilancio 2012 pari al 12%, quasi inesistenti all’interno della voce “funzione Difesa” che pesa circa il 0,92% del PIL.(fonte Ministero della Difesa)
I ritorni economici,comunque residuali e marginali, sono ancora discussi e discutibili. Si lascia il certo per l’incerto, dando un colpo pesantissimo all’industria strategica nazionale, già ferita per via giudiziale e prossima alla svendita.
Eppure, oggi più che mai, il settore delle armi, proprio grazie a Finmeccanica, si presenta in piena salute, nonostante la crisi.
L’export italiano è cresciuto del 57% in 4 anni e la quota mondiale di mercato è cresciuta di ben 0,8 punti percentuali.
Le famose alternative necessarie al ricambio della nostra vetusta flotta aerea le avevamo in casa e di ottima qualità.
Per quale motivo, in piena recessione economica e crisi occupazionale diffusa, si favorisce il diretto concorrente colpendo la nostra industria più competitiva?
Per quale motivo, si rimettono le chiavi dell’intero motore difesa in mano agli USA per i prossimi decenni?
Per quale motivo, ci si prepara palesemente a nuove e più disastrose guerre totalmente autolesionistiche?
La risposta è ovvia. Mi limito a dire che, se esistesse ancora il reato di alto tradimento della Patria, saremmo davanti alla sua più alta espressione. Ma così non è perché una Patria esiste se ha “proprie leggi”, ma la nostra Costituzione non è mai stata applicata, se ha la “borsa”, cioè quella sovranità finanziaria ed economica ceduta alla BCE e se ha “la spada”, cioè una autonomia militare, quella che abbiamo ceduto agli USA, volenti o nolenti, ora non c’è più una Patria da tradire.

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