SEPARATE DALLA POLIZIA PER DUE GIORNI

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banner_huffingtonSono state addirittura tre le irruzioni della polizia nella villa di Casalpalocco dove vivevano Alma Shalabayeva e la piccola Alua, moglie e figlia del dissidente kazakoMukhtar Ablyazov. La prima, nella notte tra mercoledì 28 e giovedì 29 maggio. Le altre due la mattina di venerdì 31, a poche ore una dall’altra. Mentre a Ciampino era già pronto l’executive che le avrebbe rimpatriate con un provvedimento di espulsione su cui adesso il governo italiano sta rischiando una crisi interna, e di credibilità internazionale.

Il giorno chiave in cui si decide il destino di Alma e di sua figlia Alua è proprio venerdì 31 maggio. La donna è già rinchiusa da 48 ore nel centro di detenzione di Ponte Galeria. Alua invece è rimasta a Casalpalocco, temporaneamente affidata alla coppia di domestici ucraini che si occupano della villa, dove ci sono anche sua zia e due cuginette.

Verso le sette di mattina, una squadra di agenti della Mobile di Roma si presenta in forze con un mandato di perquisizione, ma soprattutto con la segreta speranza di trovare Ablyazov. Nello stesso momento il legale di Alma, Riccardo Olivo, è in viaggio verso Ponte Galeria per discutere la procedura di trattenimento della moglie del dissidente.

Appena la polizia fa irruzione nella villa, il domestico ucraino chiama allarmato al telefono l’avvocato Olivo, che invia a Casalpalocco due legali del suo studio. Dopo aver cercato invano Ablyazov, gli agenti cominciano a rastrellare tutto quello che avevano già trovato la notte tra il 28 e il 29 e non avevano portato via: carte, effetti personali, tutto. La perquisizione è meticolosa e concitata. Intanto sono arrivati i due legali dello studio Olivo, e dopo una discussione con toni accesi sul luogo in cui verbalizzare il sequestro del materiale (sul posto, secondo gli avvocati; alla Mobile, impongono gli agenti), si decide di andare in Questura. Nella villa rimangono i due domestici, Alua, due cuginette e la zia.

Passano poche ore e, a sorpresa, verso le 13, ecco scattare il terzo blitz. A Casalpalocco arriva un’altra squadra di poliziotti. Stavolta non ci sono più carte da sequestrare, c’è solo da portare via la piccola Alua. Ma prima bisogna convincerla. I domestici si oppongono, vogliono avvertire i legali. Gli agenti, secondo la ricostruzione degli ucraini, minacciano di gettare i loro cellulari in piscina. Quindi, in un inglese stentato, unica lingua nella quale il funzionario di polizia riesce a comunicare con la piccola Alua, comincia la trattativa.

“La mamma è in questura e vuole riabbracciarti, ti ci accompagniamo noi”, è la frase con cui riescono a convincerla. Falso, perché i poliziotti sanno benissimo che Alma Shalabayeva è nel centro di detenzione di Ponte Galeria. La bambina cede. Vogliono farla salire su un’auto della polizia. Il domestico ucraino si mette ancora una volta di traverso: “La porto con la mia macchina”, dice. Il funzionario è costretto a cedere. Il domestico si mette al volante con accanto Alua, dietro salgono due agenti. In testa e in coda al convoglio, le auto della polizia. Si parte, ufficialmente per la questura.

E invece, no. Durante il tragitto, arriva una telefonata. La bambina deve essere condotta subito a Ciampino. Li c’è già pronto l’executive organizzato dal governo di Astana per il rimpatrio, il console kazako attende impaziente. Per Alma e sua figlia non c’è più niente da fare. Nessuna opposizione legale, nessuna protesta impediscono che madre e figlia vengano imbarcate sull’aereo. Alle sette di sera il decollo. Il resto è nelle parole e nelle spiegazioni che il governo italiano deve ancora fornire.

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