di Francesca Sironi
Aprile 2003. Per una settimana il museo nazionale di Baghdad resta indifeso, nemmeno un soldato a presidiare i corridoi che conservano l’origine della civiltà mediterranea. In pochi giorni le gallerie vengono saccheggiate e distrutte. Spariscono oltre 170 mila pezzi datati fino al 7 mila a.C.: teste di alabastro, leoni in pietra, sculture, bassorilievi, manoscritti.
Nel 2006, però, grazie anche alla collaborazione fra gli archeologi torinesi del Centro di ricerche e scavi e le autorità locali il museo ricomincia a funzionare. Le collezioni islamiche e la prima sala assira aprono su prenotazione.
A luglio verrà inaugurata anche la seconda ala dedicata agli Assiri. Buone notizie che rendono ancora più grottesca l’impresa del nostro ministero degli Affari Esteri che ha speso 800 mila euro per la ricostruzione virtuale in 3D del museo (come ha già denunciato “l’Espresso” nel maggio del 2005). Perché ai responsabili dell’istituto iracheno, il viaggio in tre dimensioni del Cnr è piaciuto così poco che sul sito web non c’è traccia di link al percorso virtuale costato tanto agli italiani.
Ma non basta. Gli iracheni si sono costruiti da soli un servizio simile ma considerato migliore. Come? Con Google street view chiunque, da qualunque parte del mondo, può esplorare le sale, zoomando sugli oggetti, scoprendo non solo i reperti ma anche la loro esposizione. Il tutto senza spendere un euro e senza togliere i reperti dal loro contesto.
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