Così è sparito il 27 del mese Stipendio sempre più in ritardo

Così è sparito il 27 del mese
Stipendio sempre più in ritardo

Medici, autisti, maestre d’asilo. Il salario arriva dopo mesi. Dipendenti pubblici costretti a indebitarsi con tassi a doppia cifra. È l’altra faccia dei mancati versamenti dello Stato alle imprese

di FEDERICO FUBINI

banner repubblicaÈ dal 1583 che i frati di San Giovanni Calibita mandano avanti l’ospedale Fatebenefratelli sull’Isola tiberina, nel cuore di Roma. Ed è dal 1977 che Salvatore De Santis entra quasi ogni giorno in sala operatoria per preparare i pazienti e assistere i chirurghi. Nell’ultimo anno però c’è stata una novità. Quando De Santis e i suoi colleghi inseriscono una protesi all’anca o asportano un tumore del volto, due specializzazioni della casa di cura, non sanno quando saranno pagati.

L’unica certezza è che il salario non arriverà più oggi. Il 27 del mese è scomparso: fra le mura rinascimentali sul Tevere la chirurgia resta precisa e puntuale, tutto il resto invece non lo è più. Il contagio dei ritardi di pagamento sugli stipendi e i salari dei dipendenti, un virus che sta silenziosamente corrodendo il tessuto della società italiana, è penetrato fino all’antica isola dei Papi.

A 59 anni De Santis fatica a abituarsi all’incertezza, anche se non ha un mutuo da pagare. “Ma per molti colleghi è più difficile”, ammette. I frati hanno prima rinegoziato la data di accredito del salario dal 27 al 5 del mese successivo, poi i bonifici hanno preso ad arrivare, a volte, con altri otto o dieci giorni di ritardo. Dai medici agli uscieri, i dipendenti iniziano a essere catturati dall’ansia ogni volta che si avvicina la fine del mese: la Regione Lazio paga il Fatebenefratelli sempre più tardi e Unicredit ormai rifiuta ai frati le linee credito a scadenza di oltre sei mesi.

La moneta lenta
A cascata, in questa Italia in cui la moneta circola sempre più lentamente, saltano le date dei mutui, gli affitti, le bollette degli infermieri e dei medici. C’è anche a chi va peggio di così, in verità. E non è solo il fatto che negli ospedali del San Raffaele, il gruppo degli Angelucci, i ritardi sono generalizzati e arrivano a 90 giorni per esempio a Cassino. Perché ciò che accade è qualcosa di più ampio e diffuso: quasi ovunque in Italia, da Nord a Sud, in quasi tutti i settori legati ai pagamenti dello Stato, si trovano lavoratori che hanno scoperto l’incertezza. Per loro il 27 del mese, la data simbolo della busta paga, è diventato un giorno di tensione, delusioni e espedienti per tirare avanti.

Il fenomeno è così nuovo che non sembrano esistere statistiche per catturarlo. Ma qua e là anche i dati, non solo gli aneddoti, ne rivelano la portata. In Sicilia una miriade di piccoli comuni sotto i 5000 abitanti è indietro negli stipendi ai dipendenti da quando è stato introdotto il federalismo fiscale ed è stata sospesa la prima rata dell’Imu, l’imposta municipale sugli immobili.

La provincia di Vibo Valentia non paga gli impiegati da quattro mesi e, stima Luciano Belmonte della Cisl, nel settore edile in Calabria un addetto su tre vanta arretrati dalla propria impresa. In provincia di Torino l’anno scorso quasi mille persone (più 26% sul 2011) si sono dimesse “per giusta causa”, un modo per ottenere un sussidio quando l’azienda smette di versare i compensi. A Roma il 10% dei casi dell’ufficio vertenze Cgil riguarda stipendi e salari versati in parte o niente affatto. Una grande impresa edile appaltrice dell’Anas come Impresa Spa non viene pagata dal committente e, accusa la Cgil, da tre mesi non paga i suoi 700 addetti.

Sempre nella capitale, si diffondono progressivamente i pagamenti dilazionati degli stipendi e dei salari anche nell’istruzione pubblica e privata: il Comune di Roma non paga per tempo gli asili nido convenzionati, che a loro volta non pagano le maestre; centinaia di supplenti della scuola pubblica lamentano alla Cgil ritardi nei compensi dovuti da parte del provveditorato agli Studi; e all’università La Sapienza, anch’essa statale, cento ricercatori con contratti a tempo determinato non vengono remunerati da otto mesi.

Gli esempi di morosità
Ma soprattutto, gli esempi di morosità abbondano dalla Sicilia alla pianura padana fra le municipalizzate: la SoriCal calabrese, che distribuisce l’acqua nella regione, è indietro dei sei mensilità; e in provincia di Messina non si trova uno solo dei 1200 addetti ai rifiuti urbani o ai trasporti pubblici che sia stato remunerato regolarmente negli ultimi otto mesi.

In parte sarà probabilmente solo l’altra faccia dei mancati pagamenti dello Stato alle imprese, i famosi quasi cento miliardi di arretrati. Qualunque ne sia la causa, Natalina Condò ha varcato la soglia della finanziaria Agos Ducato in via Chiesa della Salute a Torino e ha cercato di fare i conti con i tassi d’interesse di un prestito per poter pagare l’affitto. Natalina Condò, 53 anni, fa le pulizie nell’ospedale Maria Vittoria di Torino per conto di una ditta appaltatrice di nome Etr Reunion Group. Prima era un impiego a tempo pieno, poi negli ultimi anni anche lei è entrata nella schiera del milione di italiani passati (involontaramente) al part-time dal 2008 ad oggi. A un certo punto, spiega con l’accento calabrese che non ha perso dopo mezzo secolo di vita a Torino, iniziano le sorprese: con due o tre giorni di ritardo le vengono accreditati dalla ditta solo i due terzi del salario, 440 euro; il resto dopo altre due settimane. “È sempre così”, constata.

Spending review familiare
Facile capire il perché. La Asl di Torino è in ritardo di pagamento su Etr Reunion di almeno otto mesi su un totale di debiti da quasi un milione e l’azienda non è abbastanza capitalizzata – e non trova credito in banca – per stipendiare normalmente i dipendenti. Con un marito in scadenza di assegni di mobilità, Natalina Condò inizia la sua personale spending review, come la chiama il governo (che non l’ha ancora fatta): rinvia alcune visite mediche, anche per il cuore, riduce il consumo di carne a una sola volta la settimana e varca la porta della Agos Ducato per rinegoziare un prestito già acceso da 4.000 euro. La finanziaria, controllata dal gruppo francese Crédit Agricole, senza che lei lo richieda le consegna una carta di credito revolving da cui può prendere i soldi per sostenere la rata mensile del finanziamento precedente. A che tassi d’interesse? “Zero virgola qualcosa… Non ricordo bene”, dice.
Per l’esattezza, il credito al consumo della Agos Ducato costa il 10,90% l’anno ma la carta revolving arriva al 16,50%. Crédit Agricole invece si è finanziato presso la Bce per cinque miliardi di euro a scadenza di tre anni a un tasso variabile fra l’1% e lo 0,5% annui.

La catena del credito
Così funziona la catena alimentare del credito nell’Italia del 2013, un paese strozzato dal contagio della moneta lenta. Non pagando le imprese, di fatto lo Stato impone loro un prestito forzoso a interessi zero a proprio vantaggio. A loro volta le imprese impongono lo stesso tipo di trattamento ai propri dipendenti, trattenendo e ritardando la paga senza pagare gli interessi di mora. E sempre più spesso i dipendenti senza stipendio, l’ultimo anello della catena, chiudono il cerchio rivolgendosi alle finanziarie che hanno accesso alla Bce a tassi quasi zero ma chiedono loro tassi d’interesse a doppia cifra.

A Messina accanto al Vittorio Emanuele, il magnifico teatro risorgimentale della città, c’è una filiale della finanziaria Compass, gruppo Mediobanca. Il teatro è coperto di lenzuoli di protesta (“tante promesse e solo bugie, ce ne ricordemo”) perché la Regione è sempre in ritardo nel versamento degli stipendi al personale. Fuori il traffico in strada è come impazzito: l’Atm, la municipalizzata dei trasporti, non paga gli autisti da aprile e anche per questo motivo circola meno di metà degli autobus esistenti.

Dentro la sede della Compass invece regnano la calma e l’ordine. L’impiegata risponde con cortesia a chi le chiede un finanziamento da 5.100 euro: prima il tasso d’interesse totale (Taeg) era al 9% ma adesso è salito al 16,87%, mentre per la carta di credito revolving siamo al 17,87%, circa l’1,4% al di sotto della soglia del tasso di usura. Mediobanca si è finanziata alla Bce per 7,5 miliardi a meno dell’1% a tre anni in Bce. Quei tassi alla clientela non sono un po’ cari? “Dobbiamo tenere conto del rischio – risponde l’impiegata – . Vengono molti statali a chiederci un prestito, perché hanno arretrati sullo stipendio. Ma per noi un posto nel settore pubblico non rappresenta più una garanzia”.

Non pagati da dicembre
Per Francesco Bertuccelli, 58 anni, dal 1988 impiegato nei servizi sociali a Messina per 1.100 euro al mese, il cerchio in qualche modo si è chiuso. La Cooperativa Europa per la quale lavora assiste gli anziani per conto del Comune. Il problema è che lui e gli altri 130 colleghi non sono pagati da dicembre perché la giunta non salda gli arretrati (in precedenza l’azienda aveva usato le liquidazioni accumulate per stipendiarli). Bertuccelli ha due figli e un mutuo, dunque ha dovuto prendere un prestito di 11 mila euro al Banco Posta a circa il 10% di interessi. In sintesi: un ramo dello Stato non paga la sua azienda, che non paga lui, che deve chiedere un prestito a un ramo dello Stato come Banco Poste, che pratica tassi insopportabili. In primavera Cooperativa Europa per un mese ha smesso di funzionare, ma Bertucelli ha continuato a visitare gli anziani ogni giorno a spese proprie. “Ci sono novantenni fermi a letto che hanno lavorato tutta la vita, qualcuno dovrà pur cambiarli una volta al giorno – dice lui, sedendo nella sede della Cisl di Messina – . Ma questo per favore non lo scriva: sembra di voler fare l’eroe”.

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