Federal Reserve in bilico tra bugie e verità

Dopo aver spaventato il mercato introducendo il ‘tapering’ è possibile che ora stia zitta per un po’. Migliora l’Europa. 

Di Alessandro Fugnoli

banner_wall_street_ITNEW YORK (WSI) – Byung-Chul Han è un filosofo tedesco di origine coreana. La rivista olandese Filosofie, sulla base di un sondaggio tra i lettori, lo ha inserito tra i 20 pensatori più interessanti del nostro tempo. I suoi libri, molto letti nel nord europeo, sono una critica dello stile di vita contemporaneo da un punto di vista vagamente anticapitalista. La Società della stanchezza è stato tradotto in italiano. La Società della trasparenza ancora no. In Italia la trasparenza è ritenuta di sinistra, ma Byung-Chul Han la considera un tratto delle forze mercatiste neoliberali e la assimila alla pornografia e al voyeurismo. La società della trasparenza è un Panopticon totalitario in cui tutti guardano e controllano tutti. Il prezzo è la perdita di valori come la riservatezza e la fiducia. Che in Occidente non ci siano le idee chiare sulla trasparenza è evidente.Schermata 2013-07-27 a 04.04.34

Gli antichi chiamavano Eraclito lo Skoteinòs, l’Oscuro, e lo facevano con ammirazione. Greenspan era l’Oscuro della Fed, quando la mancanza di trasparenza era considerata una componente essenziale dell’arte del central banking. Per questa sua oscurità Greenspan era ritenuto molto cool. Bernanke, in sintonia con i tempi nuovi e con la fine degli arcana imperii, ha fatto invece della trasparenza una bandiera e per questo è stato a sua volta molto lodato.

Ai bambini viene insegnato a dire sempre la verità. Al tempo stesso si spiega loro che non la devono dire sempre. Si può cioè pensare che la persona con cui si sta parlando è brutta, ma non si deve dirglielo. Si cresce destreggiandosi tra questi due imperativi e si impara strada facendo.
La Fed, ad esempio, sta imparando che se si dice tutto quello che passa per la testa a ogni singolo membro del Fomc, il mercato, che è lì apposta, si adegua immediatamente. Ma se il mercato si adegua immediatamente, a sua volta la Fed deve ricalibrare la sua tattica e spostare i suoi
obiettivi dichiarati. E se la Fed sposta gli obiettivi il mercato si adegua di nuovo e così via, all’infinito, come in un gioco di specchi.

La Fed, dopo avere introdotto il tapering come un fulmine a ciel sereno (oltretutto in un momento di economia non particolarmente brillante), ha convinto il mercato a vendere qualsiasi asset, buono e meno buono. Questa reazione così forte ha spaventato la Fed e l’ha indotta a tornare sui
suoi passi, almeno a livello retorico. Il risultato sono i nuovi massimi azionari e un mutamento nei rapporti di forza tra Fed e mercati. La Fed ha perso credibilità e i mercati si sentono più invulnerabili.

Adesso la Fed starà zitta per qualche tempo. Mediterà, studierà i dati e non racconterà quello che pensa fino a settembre. Con l’avvicinarsi del Fomc decisivo del 17 settembre il mercato tornerà nervoso e il suo senso di invulnerabilità andrà ridimensionandosi. In pratica sono da ritenere probabili due cose. La prima è che le borse, a fine anno, saranno su un livello più alto dell’attuale. La seconda è che, da qui a fine anno, ci saranno momenti in cui i mercati saranno più in basso di adesso. Su questa ipotesi sarebbe dunque il caso di ridurre leggermente le posizioni azionarie per potere approfittare di fasi meno brillanti da qui all’autunno.

Guardando al mondo reale, la percezione più diffusa in questo momento è che l’America non abbia problemi, che la Cina ne abbia invece di seri e che l’Europa sia sulla strada giusta per alleggerire i suoi. Sappiamo però che gli umani amano creare problemi quando non ce ne sono e tendono a cercare di risolverli quando ci sono. L’America, che ha una piccola accelerazione da scorte partita a fine giugno e avrà una più grande accelerazione all’inizio del 2014 per il venir meno degli effetti fiscali restrittivi che stanno pesando sul 2013, sembrerebbe un paese senza problemi. Vedendo però che Obama si sta preparando a girare il paese per farsi bello dei miglioramenti dell’economia, i repubblicani hanno fatto capire che ritireranno fuori il tema dei tagli di bilancio. La pace fiscale, uno dei pilastri su cui si sta reggendo il massimo storico della borsa, potrebbe dunque essere rimessa in discussione. Per il momento quella repubblicana sembra soprattutto un’azione di disturbo, ma è comunque da tenere d’occhio.

La Cina, che è invece piena di problemi, ha in compenso la voglia di affrontarli. I problemi non sono il 7.5 per cento di crescita piuttosto che il 7.2 o il 7.0, quanto il modello di sviluppo del paese. L’espansione del credito, che in passato ha permesso di risolvere tanti problemi, sarà sempre meno utilizzabile su larga scala e dovrà essere riservata ai momenti di emergenza. Il cambio non potrà essere svalutato per motivi politici. L’ambiente degradato metterà un freno alla diffusione delle auto, che negli ultimi mesi hanno dato un contributo significativo alla crescita. Si impone quindi un ripensamento radicale e la discussione è in corso da quasi un anno. A ottobre, in occasione della conferenza economica, vedremo le decisioni. Al momento tutto fa pensare che privatizzazioni e liberalizzazioni saranno il piatto forte.

Resta l’Europa. La differenza in meglio rispetto alla Cina è che il quadro macro europeo appare in fase di stabilizzazione. La differenza in peggio è che non si sa quanta voglia ci sia di affrontare i problemi strutturali. E sappiamo che i problemi strutturali, proprio perché tali, non passano mai da soli. Tutti, inclusi i mercati, si sono ormai rassegnati ad aspettare la sera del 22 settembre per sapere che governo avrà la Germania e capire come verrà impostata la strategia europea. I paesi del sud europeo (destre e sinistre insieme), gli Stati Uniti e i mercati sperano che la Merkel esca indebolita. Si usa uno schema semplificato secondo cui la Merkel forte significa austerità e rischi per l’euro e per l’economia mondiale, mentre una Merkel debole equivale a spesa pubblica europea e salvezza per l’euro e per il mondo. Le cose non sono però così semplici.

Il punto debole dell’analisi è che mette al centro di tutto la Merkel (che è per inciso molto più pragmatica di come la si dipinge) mentre viene quasi totalmente trascurato il dibattito in corso sull’euro nella sinistra tedesca. Si è abituati a pensare che la destra tedesca accetti l’euro per dovere e che la sinistra lo voglia da sempre con entusiasmo. Non è più così. Dentro la Spd il dibattito è vivace e solo le elezioni imminenti impediscono che venga pienamente alla luce, facendo emergere le divisioni strategiche nel partito.

Abituata ad atteggiarsi come più filoeuropea della Cdu, la Spd ha cambiato atteggiamento già nell’estate del 2012, quando ha capito che il filoeuropeismo le faceva perdere voti. Il no agli eurobond e l’appiattirsi sulle posizioni della Merkel hanno arrestato il declino dei consensi, ma non hanno portato a un’inversione di tendenza. Chi è euroscettico o eurotiepido continuerà a preferire la Merkel rispetto alle imitazioni.

La novità degli ultimi mesi è il nascere all’interno della Spd (e ancora di più nella Linke, che è però fuori dai giochi) di una critica da sinistra all’euro. Blog molto seguiti come quello di Joachim Jahnke, ex vicepresidente della Bers di area Spd, parlano dell’euro come di un errore. Intellettuali come Fritz Scharpf e Wolfgang Streeck, molto influenti nell’area socialdemocratica, propongono apertamente l’uscita dall’euro. In particolare Wolfgang Streeck, direttore dell’area dedicata alla sociologia del Max Planck (la più prestigiosa istituzione di ricerca della Germania), ha da poco pubblicato un libro, Tempo Comprato, in cui si sostiene che il l’Unione Europea sta diventando strumento di interessi capitalistici che sfruttano la crisi per ripristinare il loro controllo autoritario sul continente. Uscire dall’Europa e tornare agli stati nazionali, dice Streeck, permetterebbe di ricostituire le condizioni per la democrazia.

Tra i grandi intellettuali di sinistra, a difendere a spada tratta il progetto europeo rimane solo il vecchio Habermas, che nel suo idealismo neokantiano e universalista polemizza con Streeck e propugna l’accelerazione del progetto di integrazione europea come vero strumento di democrazia compiuta. Habermas è ancora potente, è l’ideologo della Bundesrepublik e del patriottismo della costituzione, l’interlocutore privilegiato di Joseph Ratzinger (che ha invece sempre respinto il relativismo dell’altro grande nume della filosofia tedesca contemporanea, Peter Sloterdijk), ma ha anche 84 anni. Anche nella prospera Germania sembra che l’Europa stia davvero a cuore solo agli ultimi rappresentanti della generazione che l’ha fondata.

Rimaniamo neutrali sui bond nel breve termine e suggeriamo di accumulare dollari con calma e solo in fasi di debolezza come l’attuale. Tra le borse preferiamo il Giappone. L’Europa, sottopesata nei portafogli globali, può fare meglio dell’America se saprà confermare i segnali di stabilizzazione. Resta però, per tutti i discorsi che abbiamo fatto, un investimento eminentemente speculativo.

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