«Io rianimavo una ragazza dopo l’incidente Gli altri mi filmavano»

L’autista viaggiava alcuni metri dietro la ventitrenne coinvolta in uno schianto a Osio Sotto. «La soccorrevo, tutti guardavano e nessuno mi aiutava». Poi la beffa: furgone sequestrato e alcoltest

banner_corseraQuando ha visto la ragazza a terra che non respirava, per una frazione di secondo è tornato indietro di 20 anni. In quell’istante come allora si è trovato davanti a un bivio: soccorrere o aspettare che qualcun altro lo facesse. Per la seconda volta ha imboccato la prima strada. Flavio Volpi, 56 anni, di Nembro, tecnico degli impianti della birra, è l’uomo che è sceso dal suo furgone e si è precipitato a soccorrere Jessica L., 23 anni, di Boltiere, che venerdì l’altro si è schiantata con la sua Fiat 500 contro una Bmw, a Osio Sotto. Un botto tremendo. È grave, in ospedale, sedata, ma l’intervento di Volpi in attesa dell’arrivo dell’ambulanza le ha salvato la vita.

Flavio VolpiDettagli, questi, sui cui lui, faccia da buono, donatore Avis, sostenitore Aido, ipovedente per un infortunio sul lavoro avvenuto anni fa (un tubo gli scoppiò in faccia), passa sopra. Pazienza, cose che capitano. Procedure ingessate. Invece non riesce ad accettare che nessuno sia intervenuto per aiutarlo, lì con quella ragazza a terra, gravissima, una brutta ferita alla testa che sanguinava, i capelli che sentivano di bruciato come se stessero prendendo fuoco da un momento all’altro e l’asfalto invaso dalla benzina fuoriuscita dal serbatoio rotto dell’automobile.Bene. Non del tutto. Perché a fronte del suo gesto, l’uomo si è ritrovato in un groviglio di beffe. La prima. Il suo furgone, mezzo di lavoro, è rimasto sotto sequestro per una settimana. Una ruota dell’auto della giovane ha colpito il portellone e, quindi, di fatto Volpi è risultato coinvolto nell’incidente. Così ha dovuto prendere un avvocato per chiedere il dissequestro del mezzo. Ce l’ha fatta. Ma per una settimana è andato avanti e indietro per mezza provincia con la sua automobile. Non solo. Il giorno dell’incidente la polizia locale gli ha fatto i test dell’alcol e della droga: negativi.

Anzi, quando si è girato per invocare aiuto con lo sguardo a una cinquantina di persone rimaste lì ad assistere alla scena, ha notato che qualcuno riprendeva con il telefonino, «come se stessero assistendo a uno spettacolo, ma si può?», dice. E quando qualche giorno dopo, al bar, ha raccontato che cosa gli era accaduto mica ha trovato comprensione. Tutt’altro. Gli hanno quasi dato del matto perché era intervenuto. Lui sbotta: «Ma poteva essere la figlia di chiunque di noi. Come si faceva a non intervenire? Sono corso verso la sua auto. I finestrini erano giù. Lei non c’era. L’ho vista a terra, sull’asfalto, sbalzata fuori dall’abitacolo. Attorno si è fatto un capannello di 50-60 persone, ma nessuna si è fatta avanti. E almeno un paio avevano in mano il telefonino, lo tenevano basso per non farsi vedere, ma sono sicuro che stessero fotografando o filmando. Mi sono detto “ma va, va” e mi sono rigirato pensando solo al bene della ragazza».

Si è ricordato le manovre memorizzate 6-7 anni prima, guardando i soccorritori del 118. «C’era stato uno scontro auto-bici proprio fuori da casa mia. Avevo visto uno di loro estrarre la lingua del ferito per farlo respirare». Così ha fatto con Jessica: «Rantolava, era chiaro che non respirava. Poi l’ho tenuta immobile con l’aiuto dell’automobilista contro cui era finita nel caso avesse delle fratture. Ci siamo fermati lì, giustamente. Solo il necessario. Nel frattempo è arrivata l’ambulanza». Vent’anni fa, invece, Volti caricò una ragazza ferita in auto e la portò in ospedale. Rischiò di finire sotto accusa: «Erano le 18 di novembre, c’era buio e percorrevo una strada deserta di Bianzano. L’ho trovata sul ciglio della strada. Era scivolata sulla ghiaia all’altezza di una curva cieca con il motorino Ciao. Non c’erano i telefonini cellulari. Come facevo a chiamare i soccorsi? La giovane era ferita alla tempia. Alla fine l’ho caricata in auto e l’ho portata in ospedale. Mi hanno sottoposto a una settimana di fermo di polizia. Insomma, non potevo muovermi da casa, in attesa che si capisse se il mio gesto le aveva procurato danni». È finito tutto bene.

Ma certo che venerdì ha pensato a quella volta. Intervenire o non intervenire? Ma Volpi dà l’idea di essere una di quelle persone che non fa troppi conti quando di mezzo c’è qualcuno che ha bisogno. «È giovane, dovevo fare qualcosa, nella vita qualcuno deve pur prendersi delle responsabilità – racconta -. Mi sono detto che non potevo lasciarla lì». Arrivato il 118, lui ha fatto un passo indietro e a quel punto le emozioni gli sono piombate addosso: «Ho chiamato mia moglie e poi per la tensione sono scoppiato a piangere. Non mi vergogno a dirglielo». Paura, rabbia, adrenalina. Passate. Ma la delusione è rimasta per quelle persone che sono rimaste a guardare. Peggio ancora nei giorni successivi: «Ma pensi, quando ne ho parlato in giro, mi dicevano “io non l’avrei mai toccata” oppure “no, no, non raccontarmi niente”. Ho capito che il 99% delle persone non sarebbe mai intervenuto. Insomma, quasi quasi sono passato per stupido. Ma voglio che si sappia che ci sono persone disposte ad aiutare, che per gli altri darebbero la vita».

Ma il riscatto per lui è arrivato sabato sera, quando è andato in ospedale a trovare la ragazza. Lì si è imbattuto nella mamma, nel compagno e negli amici di Jessica. Loro lo stavano cercando dal giorno dell’incidente «ma avevano un numero di cellulare sbagliato». Commozione. Tanta emozione. Diversa da quel misto di paura, adrenalina e poi delusione, del giorno dell’incidente. Abbracci, ringraziamenti, abbracci. «L’ho vista, sì che l’ho vista – racconta Volpi riferendosi alla ragazza -. In ospedale hanno detto alla mamma che ho salvato la figlia. Lei mi ha portato nella stanza della figlia. Ho detto alla ragazza “sai, io ero lì vicino a te”. Anche la madre le ha parlato. Le ha sussusrrato “c’è qui il tuo angelo custode”. Lei ha aperto gli occhi e poi li ha richiusi. Per me questa è stata una grande emozione ed è stata anche una soddisfazione. Ho già dimenticato quella delusione di quel giorno e di quelli successivi».

 

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