L’imprenditore: italiani senza fame Pioggia di telefonate: assumici

disoccupazione lavoro

La reazione di sindacati e categorie tra perplessità e mezze ammissioni dopo la denuncia di Pagotto (Arredo Plast) che risponde alle critiche e ammette: «Esaminerò i cv»

banner_corseraTREVISO – Stranieri disponibili a lavorare su tre turni, sette giorni su sette, e italiani troppo esigenti, senza fame. E quindi anche senza un’occupazione, a piedi. L’intervista-denuncia dell’imprenditore trevigiano Giovanni Pagotto, presidente di Arredo Plast Spa, che ha confessato «trovo solo stranieri da assumere perché gli italiani non hanno fame», ha creato una grossa spaccatura nel mondo imprenditoriale e sindacale. E pure nel web, con centinaia di commenti divisi tra «Amara verità» e «Cazz..e», e scivolati pure negli insulti, a suon di «Vergogna» e «Vada via». Allineati sulla sponda del «non è vero, con la crisi gli italiani sono disponibili a qualunque lavoro», o schierati sul fronte opposto, assieme a Pagotto, nel sostenere che «noi italiani diciamo di no alle mansioni pesanti, non c’è la mentalità e le aspettative sono altre». «So che con le mie affermazioni mi sono inimicato molte persone, ma ho solo illustrato la mia realtà» dichiara il fondatore e presidente di Arredo Plast Spa, primo fornitore europeo di Ikea, che si è visto intasare fax e posta elettronica con i curriculum di trevigiani, pronti ad indossare la tuta da lavoro.

«Mandino pure, li valuteremo tutti , vediamo quanta voglia hanno. Col nuovo anno è previsto un aumento della produzione e dovrò assumere nuovi operai, oltre a due ingegneri da formare e mandare all’estero » spiega Pagotto che incendia la polemica su italiani-stranieri. «Rimane il fatto che senza stranieri la mia azienda non sarebbe cresciuta. L’ho detto da imprenditore. Non sono un politico e problemi come questi dovrebbero essere sollevati dai rappresentanti di categoria, non spetterebbe a me» continua l’ex operaio che replica anche a chi, sulle pagine Facebook del Corriere e del Corriere Veneto gli imputa «Prende gli stranieri perché vuole sottopagarli e sfruttarli il più possibile». «Ma quale sottopagati, vengano a lavorare da me: un capo turno prende 1600-1700 euro senza straordinari – sbotta il titolare del colosso di Ormelle – Ho fatto per 19 anni il dipendente e so bene cosa significa la busta paga. Noi ci appoggiamo agli uffici interinali, perché gli italiani non si iscrivono?». «Purtroppo quanto sostiene Pagotto è vero – afferma Gerardo Colamarco, segretario regionale della Uil – Dobbiamo far capire ai nostri autoctoni che sono cambiate le condizioni di lavoro, e che non si può dire di no al ciclo continuo, anche se ciò va a modificare gli affetti familiari, la quotidianità. Bisogna accettare anche le situazioni più pesanti. Altrimenti l’imprenditore darà lavoro solo a chi è disponibile o, peggio, delocalizzerà». Di parere opposto la referente veneta della Cisl. «E’ un’assurdità: sono migliaia i nostri che lavorano su ciclo continuo, nelle fonderie oppure nelle aziende tessili, sabato e domenica – sbotta il segretario regionale Franca Porto – E poi negli ultimi due anni ho solo visto persone che cercavano lavoro, e qualunque tipo di lavoro». Eppure una risposta al rifiuto di determinate posizioni c’è. «Il problema – spiega Porto – è che in molti, negli ultimi dieci anni, hanno pensato di aver raggiunto un miglioramento delle condizioni di vita, che è stato frenato dalla crisi, e a questo non erano preparati. L’importante, ora, è cogliere l’opportunità: anche se non è il lavoro della propria vita bisogna occupare quei posti; bisogna pensare che è una fase transitoria, che è necessario per tirare fuori dalla crisi il Paese».

Non ci prova nemmeno a scalfire l’immagine degli italiani grandi lavoratori, infine, Emilio Viafora, segretario regionale della Cgil. Soprattutto riguardo le nuove generazioni. «Certo che i giovani vorrebbero un lavoro più in linea con le loro aspettative, ma io vedo solo ragazzi assunti con contratti precari, a pochi soldi al mese, costretti a fare più lavori – commenta – Che cosa devono fare di più? Non si può scaricare su di loro tutte le colpe». Parla di aspettative anche Daniele Marini, direttore scientifico della Fondazione Nord Est, istituto di ricerca sociale ed economico. «E’ difficile generalizzare – commenta – ma è pur vero che gli italiani, soprattutto le nuove generazioni, hanno aspettative alte, o molto alte in merito al lavoro e tendono a non accettare incarichi che richiedono dei sacrifici in termini di tempo e fatica». «E’ una dimensione culturale ed economica » specifica Marini. Uno scalino che imprenditori come Giovanni Pagotto vorrebbero veder superati. Come gli italiani, più giovani, si possano concedere il lusso di rinunciare ad un’opportunità di lavoro, quindi a un reddito, è presto spiegato. «Probabilmente una parte di loro può godere delle risorse accumulate negli anni dalla famiglia, e si può permettere di non accettare» continua il direttore scientifico della Fondazione Nord Est. «Ed ecco spiegato come alcuni posti non vengano riempiti dai locali ma si debba ricorrere alla manodopera straniera». Ma non è la regola. «Complice la crisi, dall’altra – prosegue Marini – si è ritornati a fare anche le badanti, prima esclusivo patrimonio delle straniere». Eppure c’è chi sostiene che questa sia solo un’eccezione alla regola.

 

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