NEW DELHI – È morta dopo sette giorni di agonia Pavitra Bhardwaj, l’assistente universitaria indiana che si è data fuoco davanti al palazzo del Governo a causa di uno stupro e della conseguenrte perdita del posto di lavoro.
Pavitra Bhardwaj, 40 anni, assistente nel laboratorio di chimica del college Bhim Rao Ambedkar dell’Università di New Delhi, il 30 settembre si è immolata davanti alla sede del governo nella capitale, urlando di essere stata violentata dai colleghi tre anni fa. Ma oltre allo stupro, Pavitra ha subìto anche l’umiliazione di essere licenziata dopo aver dichiarato di voler denunciare i suoi aggressori.
È arrivata all’ospedale di Lok Nayak con il 90% del corpo ustionato: “Sapevamo che non ce l’avrebbe fatta”, ha commentato un medico che si è occupato del caso. Secondo suo fratello Vinay, Pavitra aveva scelto di darsi fuoco come estremo atto di protesta: negli ultimi sette mesi aveva cercato invano di denunciare il caso alla polizia locale, al nucleo Crimini contro le donne, all’ufficio del capo di governo Sheila Dikshit, al vice-cancelliere dell’Università di Delhi. Nemmeno suo marito Dharmender Bhardwaj, che lavora come capo poliziotto a Delhi, è riuscito ad aiutarla. Nell’agonia, Pavitra ha riferito alla polizia di aver commesso il gesto perché “nessuno aveva ascoltato le sue grida d’aiuto in altri modi”.
Pavitra è solo l’ultima vittima dell’ondata di violenza che colpisce ogni giorno le donne indiane. Dopo la morte della ragazza brutalmente satuprata in un autobus, molte sono state le proteste contro le leggi che in India non tutelano le donne vittime di violenza. Per la prima volta l’opinione pubblica è scesa in piazza. E dalla tv alla tecnologia sono arrivati i primi segnali di una cultura che lentamente, passo dopo passo, vuole cambiare.
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