IL NOBEL TONI MORRISON: “SENZA MANDELA OGGI NON CI SAREBBE OBAMA – EMANAVA UN VIGORE FISICO E MORALE QUASI SOPRANNATURALE. NON AVEVA UNA SOLA GOCCIA DI ODIO NEL SUO CUORE”

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Secondo i biografi amava molto le donne. “E le donne amavano lui. Era un uomo così attraente, carismatico, virile. Migliorava con l’età, e capisco perché molte si siano innamorate di lui. Per quanto mi riguarda, l’ho sempre considerato un re”…

Alessandra Farkas per il “Corriere della Sera”

«Ho pregato molto per lui, rimpiangendo le tante opportunità di andare a trovarlo». Al telefono dalla sua casa a nord di Manhattan, l’82enne decana della black literature Toni Morrison parla con affetto e nostalgia dell’amico Nelson Mandela, conosciuto a Stoccolma nel 1993, l’anno in cui lei vinse il Nobel per la Letteratura, lui quello per la Pace.

«Arrivò alla cerimonia da Oslo e ricordo ancora il nostro lungo incontro al margine del Premio», racconta l’autrice di capolavori quali Jazz, Sula e L’Occhio più azzurro (Frassinelli). «Mi sembrò subito un uomo singolare e diverso da tutti gli altri. Non mi era mai capitato di trovarmi di fronte a un tipo tanto saggio, erudito e insieme forte, duro e coraggioso. Emanava un vigore fisico e morale quasi soprannaturale».

Come lo ricorderanno tra cento anni i libri di storia?
«Tutti parleranno del suo storico appello all’amnistia attraverso la Commissione per la Verità e la Riconciliazione che raccolse la testimonianza delle vittime e dei perpetratori dei crimini commessi durante l’apartheid. Dopo aver trascorso quasi tre decenni nella prigione di Robben Island, chi altro sarebbe potuto diventare il guru della non violenza e del perdono? Nessun individuo o Paese al mondo, neppure l’Onu, ha mai osato tanto».

Eppure già da allora non sono mancate le critiche.
«I detrattori sbagliano. Mandela non aveva una sola goccia di odio nel suo cuore e in un mondo dominato da vendetta e castigo, solo pochi riescono a capirlo. Persino Winnie Mandela fu costretta a fare mea culpa di fronte alla Truth and Reconciliation Commission».

Che cosa guidava i suoi imperativi morali?
«Credo che i lunghi anni di prigionia l’abbiano profondamente trasformato, inducendolo a rinunciare alla violenza e alle idee rivoluzionarie di un tempo. Non so se anche la religione l’abbia ispirato perché con me non ha mai toccato questo tema. Però mi ha parlato molto della sua infanzia».

Che cosa le ha detto?
«Di essere tornato dopo la prigione nel piccolo villaggio natale di Mvezo, sulle rive del fiume Mbashe, e di aver cercato tra le capanne il suo migliore amico d’infanzia. Quando finalmente l’ha trovato, è rimasto sbalordito da quanto fosse invecchiato, ricurvo e pieno di rughe. “Questo è il prezzo che paghi quando vivi una realtà così dura”, mi ha spiegato. Mi ha anche parlato di Nat Bregman, il suo primo, grande amico bianco, un comunista ebreo».

Secondo i biografi amava molto le donne.
«E le donne amavano lui. Era un uomo così attraente, carismatico, virile. Migliorava con l’età, e capisco perché molte si siano innamorate di lui. Per quanto mi riguarda, l’ho sempre considerato un re. E non tanto perché veniva da una stirpe nobile ma perché si era guadagnato il titolo con la sua compassione, intelligenza e coraggio».

Come si comportava nella vita privata?
«Quando lavoravo come editor alla Random House di New York qualcuno mi parlò di una raccolta di appassionate lettere d’amore tra Nelson e Winnie, scritte quando lui era in prigione. Feci di tutto per mettervi mano e pubblicarle ma poi sono sparite dalla circolazione».

Parlava mai di F. W. de Klerk?
«No, ma dopo il loro Nobel ex-equo ogni volta che Mandela entrava in un luogo dove c’era anche de Klerk ricordo che tutti si voltavano a guardare Mandela, facendo ingelosire il rivale. Gli rubava i riflettori, ovunque andassero».

E l’America?
«Non dimenticherò mai il ricevimento in suo onore organizzato in un club superaffollato di Manhattan. A un certo punto Mandela si alzò in piedi per ringraziare il pugile Joe Frazier seduto in platea. «In prigione tu eri il mio eroe», gli disse, spiegando che insieme agli altri detenuti aveva studiato a memoria ogni suo colpo, cercando di imitarlo. Frazier, molto più basso di lui, si alzò commosso e appoggiò la testa sulla spalla di Mandela, come un bambino. Nelson era anche questo: un uomo tenero e sensibile».

Mandela è stata una fonte di ispirazione?
«Non esiste autore americano – bianco, nero o di un’altra razza – che non sia stato influenzato dal suo mito. Mandela è, con Martin Luther King e Gandhi, uno dei pochissimi leader che sono riusciti ad abbattere ogni barriera di razza, colore e religione facendoci apparire tutti uguali di fronte alla sofferenza e ai trionfi della vita. L’era che ci ha dato il buio – Mussolini, Hitler e Stalin – ci ha regalato anche la luce: Mandela. Senza di lui oggi non ci sarebbe Barack Obama».

Che cosa intende dire?
«Il modello di Mandela e quello di Martin Luther King hanno influenzato in maniera profonda la politica americana e l’elezione di Obama. Parlo del simbolo: altruisti che hanno rischiato tutto, sfidando le gerarchie razziali e usando il potere non per se stessi ma per cambiare il mondo. Sono loro i semi che hanno fatto germogliare il fiore della nuova America».

 

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