LA PACE E LA GUERRA DELLA COLOMBIA, CULLA DEL TRAFFICO DELLA COCAINA

Una guerrigliera delle Farc nel campo di El Ceral (Colombia) ... © A.Zappadu

Una guerrigliera delle Farc nel campo di El Ceral (Colombia) … © A.Zappadu

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di Antonello Zappadu
Dopo circa 4 anni di colloqui a Cuba, il governo colombiano e i guerriglieri delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) hanno firmato uno storico accordo di pace per porre fine all’ultima grande guerra civile dell’America Latina. Secondo queste intese firmate dai rappresentanti delle due parti, le Farc rinunceranno alle armi e reintegreranno migliaia di suoi guerriglieri nella vita civile del Paese sudamericano.
Insomma questo dovrebbe essere l’epilogo di oltre 50 anni di “guerra civile” senza quartiere e della fine di un incubo per tutti i colombiani. Debbo confessare, da Colombiano acquisito (vivo ormai in questa terra da oltre 7 anni), che non sono molto convinto che tutto sia così semplice.
Intanto mi chiedo come si è potuto chiedere ad un popolo se desiderala pace o la guerra? È come chiedere ad una persona sana di mente e di corpo se voglia esistere o morire?
Eppure, un’intera nazione di 46 milioni di abitanti è andata a votare in un referendum che ha visto, anche se di pochi voti, il NO alla pace.
“È uno scherzo?” commentava un amico sul mio profilo facebook.
No, non è uno scherzo.
Cionondimeno è davvero complesso spiegare le motivazioni e le ripercussioni che queste scelte che avranno sul futuro della Colombia e dell’intero continente latino americano, e non solo su di esso.
Intanto perché parlare o raccontare della Colombia crea ancora oggi un qualche disagio. Parliamo di un popolo meraviglioso che ha sofferto tanto e che continua a soffrire in una maniera inenarrabile, per questo problema e tutti i suoi delitti e pregiudizi che esso comporta. Per questo anch’io come tanti uomini di buona volontà, mi auguro che gli accordi di pace siano davvero preludio di serenità e di pace. Finalmente.

La questione, però, è più complicata. La firma dell’accordo di pace non implica la certezza assoluta di pace, anzi proprio perché è di Colombia che parliamo, personalmente. nutro forti perplessità.

La pace non solo non è certa, ma questa volta è lei, giusto la pace, ad esser distante anni luce da questo “quesito”.

Mi spiego meglio: se mi fosse stato concesso di votare e votassi con il cuore e la speranza, il mio sarebbe un SI incondizionato, perché per questo popolo voglio solo il meglio. E, ovviamente, la Pace è il solo orizzonte che i colombiani meritano, dopo tanti anni di sofferenze, lutti e mortificazioni.
Ma se avessi votare con la testa, con l’uso della ragione, della conoscenza e dell’esperienza avrei votato NO, convintamente.

In Colombia, ed in ogni parte dell’America Latina, non sì può firmare un accordo di pace di questo tipo senza tenere conto di un elemento determinate, del vero convitato di pietra di questo difficile dilemma: la cocaina.
È come in una maledetta equazione in cui i fattori sembrano essere solo due (pace o guerra) e si fa finta di non conoscere o, peggio di evitare, l’incognita: la cocaina.
Se non teniamo conto dell’incognita la pace voluta ed agognata rimarrà solo una pallida chimera.

Le Farc controllavano, e ancora oggi, le piantagioni di coca, processavano il solfato di coca, raffinavano il cloridrato di cocaina. Anche solo pensare che possano smettere di processare cocaina dall’oggi al domani, dopo che per più di un quarto di secolo hanno fatto soprattutto questo e solo questo è una folle e pericolosa illusione.
Il movimento anni addietro contava non meno di 37 mila uomini. Sembra che, in questi ultimi anni, per strada se ne siano persi almeno 25 mila, ma i “miliziani” ancora a disposizione sono sempre molti e, indipendentemente da quel che firmano, di fatto hanno consolidato il “controllo” della cocaina ed il suo mercato come unica ragion d’essere della loro stessa esistenza.

La possibilità che la Colombia possa tornare al periodo degli Escobar, dei Gacha e dei Rodriguez è oggettivamente molto concreta. Così come l’eventualità che tornino in auge i cartelli tradizionali è un dato pressoché certo. Questo accordo non elimina la probabilità che la Colombia diventi una pessima copia del Messico attuale.

Sono innamorato della Colombia, ci vivo ed amo i colombiani.
Spero, con il cuore e con la testa, di sbagliarmi. Che tutto quel che temo non avvenga, ma ritengo che l’unica soluzione a questa Guerra Planetaria, sia rappresentata solo dalla legalizzazione della cocaina. So che a tanti essa appare estrema ratio e, anche per questo, essa è pervicacemente contrastata da governi ed opinione pubblica mondiale.
Il grande ed unico imputato a questo processo popolare di scelta tra alternative antitetiche (pace o guerra) è lei: La cocaina. Questa grande e generosa vacca con mille mammelle dove in molti vi si attaccano per succhiarne il latte, una vacca che rende: alcuni ricchissimi, altri ricchi ed altri meno poveri, ma tutti, nessuno escluso, colpevoli. Non solo chi si droga e ne alimenta il mercato, ma anche chi all’interno del simulacro della rispettabilità, fa finta che il problema non lo riguardi.
Trattare il narcotraffico dal punto di vista militare e penale è, non solo improduttivo e deprimente, ma da l’impressione che, volutamente, non si voglia capire il problema. Gli Stati devono affrontare criminali che hanno lo stesso loro potere – se non più grande – quantomeno dal punto di vista economico e della “comunicazione” con veri e propri eserciti di sudditi “conniventi”.

Se si attuasse il “pensiero” dell’attuale presidente della Colombia Manuel Santos che io condivido in pieno, cioè di legalizzare la cocaina, in Sud-America gli stessi movimenti di guerriglia cadrebbero in “disgrazia” e si troverebbero improvvisamente senza mestiere, senza arte né parte. E senza la cocaina, dato che sono i suoi proventi che rendono possibile la loro stessa esistenza, che riempiono le casse della guerriglia; così sì che la stessa firmerebbe qualsiasi trattato di pace che il governo Colombiano mettesse sul tavolo.
Al contrario, in un quadro proibizionistico, è improponibile ed illusorio che un trattato di pace vera con la guerriglia possa reggere. Visto che sino ad oggi la “guerriglia” ha fatto della cocaina l’unica vera fonte di finanziamento dello stesso movimento, visto che queste risorse e questa forza “bruta” e omicida garantiscono il controllo dei campi coltivati, i laboratori, la raffinazione, l’esercito armato e quello laborioso dei “campesinos” costretti a produrla. La cocaina, e non le idee o le pseudo ragioni politiche che la guerriglia professa, sono la vera forza motrice delle milizie di guerriglieri in Colombia. In Perù, prendendo esempio dai loro cugini, stanno ricostituendo il movimento di Sendero Luminoso al solo scopo del controllo della coca. Messo in archivio il Capitale di Carl Marx, le guerriglie preferiscono gli appunti chimici di Albert Niemann.

I narcotrafficanti hanno immense risorse che gli permettono di corrompere tutti: polizia, giudici, politici, governi e chiunque altro ritengano utile alla loro sopravvivenza di status mafioso-criminale. Hanno tutti i soldi del mondo per comprare o costruirsi banche, creare apparati paramilitari per proteggersi o per uccidere. Chi non si sottomette o non vuole vendere il suo consenso, sparisce o viene messo in condizioni di non nuocere. Uno Stato che si rifiuta di capire che il narcotraffico non è solo un problema militar-repressivo o giuridico-penale, è di sicuro uno Stato cieco e, anche involontariamente, diventa il più pericoloso dei complici di questi criminali.
Ho come la percezione che in Colombia, per uscire dal proprio incubo, con questa consultazione referendaria, provino solo ad “addormentare” la questione vera. Un po’ come avviene in tutto il pianeta dove, troppi, se non tutti i governi, fanno finta di credere che la Cocaina ed i suoi delitti si possano combattere con altrettanti miliardi di dollari o di euro d’investimento per le politiche antidroga o le repressioni poliziesche.
Tutti, in ogni parte del mondo, viviamo questo equivoco, anche perché non sono pochi quelli che “vivono” e sopravvivono grazie alle politiche proibizionistiche, dall’altra parte della barricata.
Il quesito referendario sarebbe dovuto essere proposto in termini più semplici e percettibili dalla massa, ma solo sulla legalizzazione del prodotto che è l’unica vera causa di tutti i mali e di tutte le mafie di ogni latitudine.
Un Referendum planetario dunque, non solo dei singoli paesi che, almeno ad uno sguardo superficiale, sembrano maggiormente coinvolti in questa ancora intangibile Peste umanitaria.
Legalizzare la Coca significa governarne il mercato, come si fa con l’alcool e con il tabacco; proibirla ha solo l’unico effetto di consentire alle mafie e solo ad esse la disponibilità quotidiana di queste “droghe atomiche” che, ogni anno, mietono oltre 250 mila morti, in maggioranza giovani.
L’unica Pace possibile si realizza eliminando l’oggetto del contendere.

 

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