Becchi, ma non Contenti

Sulla Nuova Sardegna di tre giorni fa è apparsa una intervista all’ideologo del Movimento 5Stelle professor Paolo Becchi, questi che seguono sono i passi nei quali, persino in maniera esplicita, mi “sculaccia” per la scelta di candidarmi con Michela Murgia, subito dopo faccio seguire la mia risposta.

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Centrodestra e centrosinistra per voi sono uguali. Ma la Murgia? Gli indipendentisti?
«Io posso anche apprezzare, singolarmente, qualcuno. Anche se spesso sono solo foglie di fico dei soliti poteri. O capire posizioni come quelle indipendentiste, ad esempio, presenti nel Movimento in molte realtà locali. Ma nessun accordo politico è possibile. Noi abbiamo un programma, un progetto. Una visione. Che va oltre la Sardegna, l’Italia, l’Europa. Si chiama democrazia diretta, tramite l’intelligenza collettiva della rete. Nessuna alleanza è possibile. E men che mai nessun cambio di voto. Se pensi di poter lasciare il movimento è meglio che te ne vai».
Parla di Antonello Zappadu?
«Non ci si può candidare con un altro e dire che però rimani grillino. Non funziona così. E non si può pensare di guadagnare personalmente dalla militanza. Sono tentazioni passate nella testa di qualcuno che era meglio togliersi».

Ho contato fino a diecimila prima di convincermi che non potevo non confrontarmi con Becchi. I dubbi li ho avuti per due ordini di motivi, il primo per rispetto di un filosofo illustre e della filosofia in sé. Nella mia testa, di studente ai geometri, la filosofia è sempre stata una materia per cervelloni, per pensatori e, come dire, costruttori di mondi e di sogni immaginari, ma pur sempre possibili e ideali. E quindi non è facile per chi non sa davvero che Kant non sia una marca di sigarette, contrastare un pensiero “così alto”. Il secondo motivo è quello che molti amici mi hanno suggerito “lascia stare, ti ha fatto solo pubblicità, meglio non scherzare col fuoco”. Beh, ancora una volta, faccio di testa mia e provo a spiegare quel che non mi convince della sua “filosofia”, quantomeno nella parte applicata al sottoscritto ed alla Sardegna.

Schermata 2014-01-19 a 09.40.28Carissimo professore, credo che Lei sia davvero un grande pensatore ed un impareggiabile costruttore di sogni. Ma ci sono tre cose che lei non potrà mai essere e, di conseguenza, capire.
Lei non è né mai stato Sardo, e mai lo sarà.
Lei non è mai stato costretto ad emigrare per lavorare e, glielo auguro con tutto il cuore, mai lo sarà.
Lei non è mai stato senza lavoro e senza alcuna speranza di trovarlo.
Io queste tre cose lo sono e, a fasi alterne, lo sono sempre stato nella mia vita.
E quindi mi fa male sentire uno dei più importanti pensatori della “visione” politica che mi ha fatto decidere, per la prima volta in vita mia, di impegnarmi per cambiare le cose che “Noi abbiamo un programma, un progetto. Una visione. Che va oltre la Sardegna, l’Italia, l’Europa. Si chiama democrazia diretta, tramite l’intelligenza collettiva della rete.”
Questo modo aulico di mandare “affanculo” l’interlocutore, mi ricorda quando, da fotografo di giornale. mi mandavano agli incontri dei partiti e il politico di turno, a chi si lamentava di essere disoccupato e di non riuscire a far quadrare il pranzo con la cena, rispondeva serafico “vedi amico, devi capire, il problema è più complessivo, noi dobbiamo pensare anche ai problemi generali della gente”.
Cos’è, professore? Siamo uguali agli altri, solo cambiando i fattori? Abbiamo messo la rete al posto della gente? Ma non sono sempre le stesse cose: una il soggetto imprescindibile, l’altra lo strumento di partecipazione?
E poi, quale democrazia diretta? Caro professore, uno come me, seduto ad ascoltarla, magari in rete come adesso, le chiederebbe: Diretta da chi? Dalla rete, dalla gente? O da Lei o da Grillo?
Perché Noi M5S Sardi (tantos, locos e malaunidos) abbiamo sempre riconosciuto il carisma e l’autorevolezza o l’autorità (faccia lei) di chi è padre-fondatore, per decidere scelte di uomini e programmi. E, l’abbiamo imparato da piccoli in famiglia, quando chi ha l’autorità vede i figli che litigano, e DEVE intervenire, sempre con la scelta migliore. Scelta che, di sicuro, non può essere quella di sbatterli fuori di casa, a saltare un giro, quando fuori si gela e si muore con meno 50 gradi di freddo.

Lui, il direttore della democrazia diretta, non ha fatto il padre paziente e comprensivo, ha scelto di “saltare un giro” (come fossimo al ballo con la bottiglia) e Lei viene da noi, su un giornale locale, a spiegarci che la nostra “visione, va oltre la Sardegna”.
Lei inoltre chiama la Mia, la Nostra disperazione “una tentazione” che occorreva levarsi dalla testa.
Duecentosettantamila sardi che hanno dato un segnale immenso di presenza, di fiducia e di speranza non oltre la Sardegna, ma dentro la Sardegna, Lei le chiama tentazioni?
No, mi dispiace davvero, ma sono io che non la capisco.
E sa perché?
Perché io non sono “oltre”: Io sono Sardo, Sono senza Lavoro, Sono Emigrato….
E lo sono, lo siamo da così tanto tempo che “a fare il prossimo giro” non ci pensiamo nemmeno.
Con devozione, Antonello Zappadu

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